4 Aprile 2023

La personalizzazione del danno non patrimoniale

di Daniele Calcaterra, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., 3 marzo 2023, n. 6378, Ord., G. Relatore Dott. G. Cricenti

Danno non patrimoniale – Personalizzazione: presupposti e limiti – (art. 2059 c.c.)

Massima: “La quantificazione del danno non patrimoniale consente un aumento a titolo di personalizzazione solo ove si verifichino conseguenze anomale o del tutto peculiari, diverse da quelle ordinariamente derivanti in casi simili o per categorie simili di danneggiati”. 

CASO

Tizio viene investito da un’automobile condotta da Caio, mentre percorre in bicicletta una pista ciclabile.

Il tribunale adito, accertata la responsabilità del conducente del veicolo ma quantifica il danno in una somma di denaro nettamente inferiore a quella domandata dal danneggiato.

La Corte d’appello riforma parzialmente la sentenza di primo grado, aumentando il quantum del risarcimento, ma disattende la richiesta di personalizzazione del danno, ossia l’attribuzione di una somma di denaro ulteriore che riconosca le particolari conseguenze dell’incidente nella sfera del danneggiato.

Tizio ricorre in Cassazione chiedendo la riforma della sentenza (anche) sotto il profilo del mancato riconoscimento della personalizzazione del danno. Lamenta infatti che i postumi riportati gli impediscono di utilizzare in futuro la bicicletta e cioè il mezzo che era solito usare per gli spostamenti, mentre ora è invece costretto a fare ricorso ai mezzi pubblici o ad altri mezzi di locomozione e non è quindi più autonomo negli spostamenti.

SOLUZIONE

La Cassazione rigetta il ricorso.

QUESTIONI

Il tema centrale affrontato dalla Corte, per quello che ci interessa, attiene alla personalizzazione del danno alla persona e in particolare ai criteri e ai presupposti affinché si arrivi al riconoscimento della stessa.

La liquidazione del danno alla persona infatti, da un lato, deve garantire uniformità di trattamento e parità di conseguenze, ma, dall’altro, deve garantire che di eventuali peculiarità del caso concreto si tenga adeguatamente conto nella monetizzazione del risarcimento. Non esistono cioè due individui assolutamente identici ed è quindi evidente che una lesione con esiti permanenti produrrà effetti diversi da individuo a individuo, a seconda del genere di vita condotto prima del sinistro.

Se lo strumento rivelatosi più adeguato per soddisfare la prima esigenza è la predisposizione di criteri standard per la liquidazione, la seconda esigenza invece viene soddisfatta attraverso la cosiddetta personalizzazione del risarcimento e cioè la variazione in aumento o in diminuzione dell’importo risultante dall’applicazione del criterio standard.

Affinché il risarcimento del danno alla salute sia il più equo possibile, occorre quindi tenere conto della quantità e della qualità delle rinunce cui la lesione e i suoi postumi hanno costretto il danneggiato.

La corretta personalizzazione del risarcimento deve allora considerare che:

  • il danno alla persona è un danno disfunzionale: occorre tenere conto cioè delle attività svolte dal danneggiato prima del sinistro e che non posso più esserlo a causa delle lesioni ovvero non possono più essere svolte con la stessa frequenza e intensità;
  • un individuo può praticare due tipi di attività: attività necessariamente svolte da tutti gli esseri umani (mangiare, camminare, ecc.) e attività che non sono comuni a tutti, ma sono praticate dal singolo individuo (una determinata pratica sportiva o un determinato impegno politico sociale);
  • le perdite e le rinunce causate dal danno devono riguardare attività che il danneggiato svolgeva in modo non saltuario e che costituivano per lui fonte di soddisfazione e gratificazione (se, ad esempio, il danneggiato andava a sciare una volta all’anno per pochi giorni, non potrebbe pretendere una personalizzazione del risarcimento a causa della perduta possibilità di sciare per colpa altrui, perché il tempo e le energie dedicate all’attività perduta sarebbero del tutto trascurabili);
  • deve trattarsi di una perdita che ha subito quella persona a causa di quella invalidità e non di una conseguenza che inevitabilmente patirebbero tutte le persone per lo stesso tipo di invalidità (ad esempio, la cecità assoluta comporta necessariamente la perduta possibilità di vedere film o partite di calcio, per cui chi patisse tale infermità non potrebbe pretendere una personalizzazione del risarcimento per tenere conto della perduta possibilità di vedere il film o le partite di calcio, perché questa conseguenza è necessariamente ricompresa nella misura dell’invalidità permanente).

Possiamo dunque affermare che la liquidazione del danno alla salute deve sempre partire dall’applicazione dei criteri standard attraverso i quali si risarcisce la perdita o la compromissione delle attività ordinarie, che sono uguali per tutti. Dove poi sia allegato e dimostrato che la lesione ha causato non soltanto una compromissione delle ordinarie attività esistenziali, ma anche la compromissione o la soppressione di attività extralavorative particolari o comunque non comuni rispetto all’ordinario, di ciò dovrà tenersi conto aumentando l’entità del risarcimento (all’opposto, ove fosse dimostrato che nel singolo specifico caso i postumi hanno provocato conseguenze meno gravi rispetto all’ordinario, si dovrà procedere ad una riduzione del risarcimento standard).

Occorre sottolineare a questo punto che, affinché il risarcimento venga personalizzato, è necessario che il danneggiato alleghi e dimostri quale fosse effettivamente il concreto tipo di vita condotto prima del sinistro e come questo tenore di vita si sia modificato per effetto dei postumi.

Sul piano dell’allegazione è necessario che il danneggiato descriva quante e di che tipo siano state le conseguenze negative del fatto illecito (ad esempio se il danneggiato ha patito l’accorciamento dell’arto inferiore ed è perciò costretto a zoppicare, l’onere di allegazione sarà adempiuto sostenendo che la zoppia impedisce la prosecuzione di una determinata attività sportiva).

Sul piano della prova, è necessario invece dimostrare la perdita causata dalle lesioni e quindi ad esempio che la vittima ha dovuto rinunciare a una parte o tutte le relazioni sociali, tranne quelli che rientrano nella comune esperienza (così, ad esempio, chi ha subito l’accorciamento di un arto, non dovrà dimostrare che quando passeggia è costretto a zoppicare, perché tale circostanza costituisce una conseguenza normale di quel tipo di lesione, che il giudice può porre a fondamento della propria decisione anche in assenza di una prova storica e solo sulla base di una presunzione semplice).

Ciò chiarito, si può comprendere allora il motivo che ha indotto la Corte a confermare la decisione del precedente grado di giudizio.

Tizio, infatti, si era limitato ad addurre di non poter utilizzare la bicicletta e cioè un pregiudizio che, per lesioni fisiche come quelle riportate, è del tutto comune ad ogni soggetto che subisce quel tipo di danno. Non solo. Quello lamentato, oltre a essere un danno tipicamente conseguente a quel tipo di lesione, di per sé non è neanche un danno specifico, perché l’impossibilità di andare in biciletta non priva di autonomia negli spostamenti il danneggiato, che avrà pur sempre la possibilità di usufruire di altri mezzi privati o pubblici. Questo in sintesi il ragionamento della Corte, la quale rileva che poiché Tizio non aveva allegato e provato che vi fosse stata un’incidenza particolare della lesione nel caso specifico che lo riguardava, la personalizzazione del danno non poteva essere riconosciuta e la sentenza di merito doveva quindi considerarsi corretta.

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