14 Marzo 2023

L’offerente può impugnare l’esclusione dalla gara con l’opposizione agli atti esecutivi

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2022, n. 23338 – Pres. De Stefano – Rel. Rossi

Massima: “L’offerente escluso dalla partecipazione a un esperimento di vendita è legittimato a proporre opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso il relativo provvedimento del giudice dell’esecuzione, indipendentemente dalla ragione giustificativa di quest’ultimo (e, quindi, anche in caso di dichiarazione di inammissibilità dell’offerta per vizi formali), perché, sotto il profilo oggettivo, l’atto è immediatamente lesivo del diritto del soggetto estromesso a concorrere per l’aggiudicazione del bene pignorato e, dal punto di vista soggettivo, l’offerente è interessato al regolare svolgimento della procedura e destinatario degli atti della stessa che siano idonei a cagionargli un pregiudizio”.

CASO

In una procedura esecutiva pendente innanzi al Tribunale di Como, la figlia degli esecutati presentava un’offerta d’acquisto dell’immobile pignorato, che veniva esclusa dal giudice dell’esecuzione perché, in precedenza, la medesima offerente era stata dichiarata decaduta dall’aggiudicazione per non avere versato il saldo prezzo.

All’esito dell’esperimento di vendita, il bene era aggiudicato a un altro soggetto.

L’offerente esclusa, tuttavia, reagiva contro il provvedimento che le aveva negato la partecipazione all’asta, proponendo opposizione ex art. 617 c.p.c., che veniva accolta, con conseguente revoca degli effetti dell’aggiudicazione nel frattempo intervenuta.

A questo punto, l’aggiudicatario ricorreva per cassazione avverso la sentenza di accoglimento dell’opposizione agli atti esecutivi, sostenendo la non impugnabilità del provvedimento di esclusione da parte dell’offerente escluso.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, affermando che, con il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi, può essere impugnato ogni provvedimento del giudice dell’esecuzione che abbia una concreta incidenza sullo svolgimento del processo esecutivo e possieda un’astratta capacità lesiva per coloro che vengano a subirne gli effetti, ivi compreso l’offerente che non si sia reso aggiudicatario dell’immobile staggito o che non abbia potuto partecipare alla gara, il quale, sebbene non assuma la qualità di parte processuale in senso proprio, è nondimeno portatore di un interesse che lo legittima ad avvalersi del mezzo di impugnazione previsto dall’ordinamento per il controllo della legittimità degli atti del giudice dell’esecuzione.

QUESTIONI

[1] Il sistema delle vendite esecutive è configurato in maniera tale da consentire la massima partecipazione, per addivenire alla più proficua liquidazione del bene pignorato.

Per questo motivo, negli anni, sono state implementate – grazie anche alle prassi virtuose affermatesi presso alcuni uffici giudiziari e ben presto diffusesi sull’intero territorio nazionale – modalità di pubblicità della vendita forzata che consentono di raggiungere in modo capillare il pubblico dei potenziali offerenti, con l’abbandono della carta stampata (ormai divenuta obsoleta) e il passaggio a siti internet appositamente dedicati alle aste giudiziarie, fino ad arrivare all’istituzione del Portale delle Vendite Pubbliche, che rappresenta il fulcro del sistema pubblicitario apprestato dal legislatore.

Del resto, l’efficienza e il successo delle vendite esecutive passa per una massiccia partecipazione agli esperimenti di vendita, che favorisce la gara tra gli offerenti, i rilanci e il raggiungimento di un prezzo di aggiudicazione che consenta, da un lato, la migliore soddisfazione del ceto creditorio e, dall’altro lato, la maggiore esdebitazione possibile dell’esecutato.

Ben si comprende, pertanto, perché le limitazioni alla presentazione di offerte di acquisto sono tassativamente indicate dal legislatore e non sono suscettibili di interpretazione analogica, in quanto comportano una limitazione della generale capacità negoziale riconosciuta a ogni individuo: in particolare, ferme restando le limitazioni imposte da norme sostanziali (quali gli artt. 323, 378 e 1471 c.c., che si riferiscono, rispettivamente, ai genitori esercenti la responsabilità genitoriale, al tutore e al protutore del minore, agli amministratori di beni pubblici affidati alla loro cura, agli ufficiali pubblici rispetto ai beni che sono venduti per loro ministero, a coloro che per legge o per atto della pubblica autorità amministrano beni altrui e ai mandatari rispetto ai beni che sono incaricati di vendere), l’art. 571 c.p.c. (al pari del successivo art. 579 c.p.c.) stabilisce che ognuno tranne il debitore è ammesso a offrire per l’acquisto dell’immobile pignorato. Proprio per quanto appena detto, per esempio, si dubita che tale divieto di partecipazione all’asta si estenda al coniuge dell’esecutato in regime di comunione legale.

Sotto altro profilo, l’offerta deve provenire dal soggetto che parteciperà all’esperimento di vendita e chiede l’aggiudicazione del bene, non potendo egli avvalersi di un mandatario o di un procuratore munito dei poteri normalmente idonei per acquistare validamente in nome e per conto altrui, salvo che non si tratti di un avvocato (nel quale caso questi è legittimato anche a presentare offerte per persona da nominare, come stabilito dall’ultimo comma dell’art. 579 c.p.c., richiamato pure dall’art. 571 c.p.c.).

L’offerente, pur non divenendo parte del processo esecutivo, ha interesse al regolare svolgimento dell’esperimento di vendita e, così, a reagire avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione che gli impedisca di parteciparvi.

Con l’ordinanza che si annota, i giudici di legittimità hanno individuato lo strumento di reazione di cui può avvalersi l’offerente escluso nell’opposizione agli atti esecutivi, evidenziando che il suo perimetro oggettivo deve reputarsi esteso a qualunque provvedimento che abbia una concreta incidenza sullo svolgimento del processo esecutivo, ovvero un’astratta potenzialità lesiva per coloro che vengono a subirne gli effetti, restandone così esclusi i soli provvedimenti (definiti come atti preparatori) che hanno finalità di mera direzione del processo o di interlocuzione con le parti processuali o con gli ausiliari, che, in quanto tali, restano privi di autonoma rilevanza come momento dell’azione esecutiva.

In altre parole, il discrimine tra atto suscettibile di opposizione ex art. 617 c.p.c. e provvedimento inoppugnabile è segnato dalla produzione di un pregiudizio, sicché l’ammissibilità del rimedio dipende dall’idoneità dell’atto (che si assume viziato nella forma o nei presupposti) a incidere nella sfera giuridica dei suoi destinatari, in capo ai quali sorge dunque un interesse giuridicamente rilevante alla sua rimozione.

Alla luce di tale inquadramento sistematico, il provvedimento del giudice dell’esecuzione che esclude un offerente dalla partecipazione a un esperimento di vendita è senz’altro opponibile ai sensi dell’art. 617 c.p.c., anche nel caso in cui l’offerta sia stata dichiarata inammissibile per vizi di carattere formale, in quanto immediatamente lesivo del diritto dell’offerente estromesso di concorrere per l’aggiudicazione del bene staggito.

A ciò non osta il fatto che, come detto, l’offerente non sia e non divenga parte del processo esecutivo, dal momento che, sulla scorta di un consolidato orientamento giurisprudenziale, egli, essendo comunque destinatario degli atti della procedura, ha interesse al regolare svolgimento di quest’ultima e, in particolare, alla rimozione di quei provvedimenti (che reputa non conformi alla legge) che possono provocargli un pregiudizio, come accade quando la sua posizione soggettiva sia messa in discussione, per l’insorgenza di un contrasto con altri partecipanti alle operazioni di vendita, la cui risoluzione richieda l’intervento regolatore del giudice dell’esecuzione.

Non si dubita, d’altro canto, che l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. sia mezzo esperibile non solo dalle parti del processo esecutivo, ma anche dagli altri interessati, ossia da tutti quei soggetti che, a vario titolo, assumono un ruolo effettivo e concreto (e non meramente ipotetico ed eventuale) nella procedura esecutiva, perché divengono destinatari di atti e di provvedimenti, oppure perché hanno compiuto un atto – a efficacia o di rilievo processuale – che costituisce l’immediato presupposto per l’esercizio di potestà giurisdizionale od ordinatoria da parte del giudice dell’esecuzione o degli organi dell’ufficio esecutivo.

In quest’ottica, la presentazione di un’offerta d’acquisto denotante l’inequivoca volontà di partecipare alla vendita giudiziaria, su cui il giudice dell’esecuzione si è pronunciato, decretandone l’inammissibilità, connota di effettività e di concretezza il ruolo dell’offerente, che da semplice potenziale interessato assurge a legittimo aspirante partecipe del subprocedimento di vendita, come tale legittimato a impugnare il provvedimento che gli preclude la partecipazione alla gara.

Sempre in tema di rimedi offerti al soggetto che si ritenga leso nell’ambito ovvero in occasione dell’esecuzione forzata, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 37847 dell’1 dicembre 2021, ha affermato che:

  • deve proporre l’opposizione di terzo ex 404 c.p.c. chi assume di essere titolare dello stesso diritto oggetto della sentenza pronunciata inter alios e messa in esecuzione in suo danno;
  • deve proporre l’opposizione di terzo ex 619 c.p.c. chi non contesta la legittimità del titolo esecutivo azionato, ma sostiene che l’esecuzione sia esorbitante rispetto al contenuto dello stesso, finendo con l’investire un bene diverso da quello che avrebbe dovuto formarne oggetto e con l’incidere sulla posizione di un soggetto formalmente terzo;
  • deve proporre l’opposizione ex 615 c.p.c. chi, pur non contestando la legittimità del titolo, né l’erroneità dell’esecuzione, lamenta che, dopo la formazione del titolo, si sia avverato un fatto estintivo o impeditivo della pretesa creditoria.

Nel caso di specie, l’esclusione dell’offerta era stata motivata dal giudice dell’esecuzione con l’omesso versamento del saldo prezzo da parte dell’offerente dopo che si era reso aggiudicatario del medesimo immobile all’esito del precedente esperimento di vendita.

Tale circostanza, tuttavia, non era affatto idonea a impedirne la partecipazione a quello successivo, giacché le conseguenze che possono prodursi in capo all’aggiudicatario inadempiente, che non versi nel termine perentorio all’uopo fissato con l’ordinanza che dispone la vendita ai sensi dell’art. 585 c.p.c. il saldo del prezzo, sono solo ed esclusivamente:

  • la decadenza dall’aggiudicazione;
  • la perdita della cauzione, che viene incamerata a titolo di multa, come disposto dall’art. 587 c.p.c.;
  • l’emissione, da parte del giudice dell’esecuzione, di un decreto che dispone, a carico dell’aggiudicatario inadempiente, il pagamento della differenza tra il prezzo da lui offerto e quello minore per il quale è avvenuta la vendita, qualora, all’esito degli esperimenti di vendita successivi a quello rispetto al quale è stata dichiarata la decadenza, il bene sia aggiudicato per un prezzo inferiore a quello che era stato offerto dall’aggiudicatario inadempiente (art. 177 disp. att. c.p.c.).

Per completezza, va rammentato che – come chiarito recentemente – l’inadempimento rilevante ai fini della decadenza dall’aggiudicazione riguarda il mancato o il tardivo versamento del prezzo e non anche delle somme inerenti alla tassazione del trasferimento immobiliare, che, pur essendo parimenti a carico dell’aggiudicatario (tenuto quindi al loro pagamento), non costituiscono parte integrante del prezzo (così Cass. civ., sez. III, 18 maggio 2022, n. 15912 e, da ultimo, Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2023, n. 4447).

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