28 Febbraio 2023

Responsabilità degli amministratori per mancata corretta tenuta delle scritture aziendali e liquidazione del danno

di Giulia Ferrari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. Civ. Sez. I, Ord. (data ud. 27.04.2022) 12.05.2022, n. 15245

Parole chiave: responsabilità degli amministratori, mancanza delle scritture contabili, sommarietà di redazione delle scritture contabili, non intellegibilità delle scritture contabili, nesso di causalità, onere della prova, quantificazione del danno, prova del danno, liquidazione equitativa, fallimento.

Massima: “Nell’ambito delle azioni di responsabilità grava sempre su chi agisce in giudizio l’onere di fornire la prova del danno e del nesso di causalità materiale tra questo e le condotte che si assumono tenute in violazione di doveri inerenti alle funzioni gestorie svolte dagli amministratori. La mancanza di scritture contabili, ovvero la sommarietà di redazione di esse o la loro non intelleggibilità non è in sé sufficiente a giustificare la condanna dell’amministratore in conseguenza dell’impedimento frapposto alla provo corrente ai fini del nesso rispetto ai fatti causativi del dissesto”.

Disposizioni applicate: Artt. 146 R.D. 16.03.1942 n. 267; Artt. 2390, 2697 c.c.

CASO 

Gli amministratori Alfa e Beta della società Gamma srl, che nel tempo si erano avvicendati dalla sua costituzione fino alla dichiarazione del fallimento di Gamma, in forza di azione promossa dal curatore fallimentare ex articolo 146 L.F. sono stati condannati in solido dal tribunale di Palermo al risarcimento del danno in misura pari alla differenza tra il passivo e l’attivo fallimentare, in ragione della cattiva gestione dimostrata dalla mancata corretta tenuta delle scritture aziendali.

In particolar modo la curatela aveva dato prova del fatto che gli amministratori avevano omesso di annotare sulle scritture contabili: pagamenti, prelevamenti, fatture di acquisto a fronte di operazioni di cessione di merce, oltre agli incassi da clienti per contanti, senza però dare prova della quantificazione del danno che il giudice di prime cure aveva liquidato utilizzando il noto criterio equitativo del deficit fallimentare.

La Corte d’Appello di Palermo respingeva il gravame interposto dagli amministratori che quindi proponevano ricorso in Cassazione.

SOLUZIONE 

La Suprema Corte, cassando la sentenza della Corte di Appello di Palermo, ha ribadito il principio secondo il quale nell’ambito delle azioni di responsabilità, grava sempre su chi agisce in giudizio l’onere di fornire la prova del danno e del nesso di causalità materiale tra questo e le condotte che si assumono tenute in violazione di doveri inerenti alle funzioni gestorie svolte dagli amministratori.

Con riferimento alla declinazione di tale principio nel caso in cui il curatore riscontri la mancanza di scritture contabili, ovvero la sommarietà di redazione delle stesse o la loro non intelleggibilità, la Corte ha sostenuto che tali circostanze non sono in sé sufficienti a giustificare la condanna dell’amministratore per il fatto che la mancanza di scritture contabili – ancorché addebitabile allo stesso amministratore – impedisca di ricostruire l’effettivo andamento dell’impresa prima della dichiarazione del fallimento e quindi sia di ostacolo alla prova del nesso causale e della quantificazione del danno. La condanna dell’amministratore per mala gestio presuppone invece per essere valorizzata in chiave risarcitoria, nel contesto di una liquidazione equitativa, che sia comunque previamente assolto l’onere della prova circa la esistenza di condotte perlomeno astrattamente causative di un danno patrimoniale. Pertanto, il criterio del deficit fallimentare resta sì applicabile, ma soltanto come criterio equitativo per l’ipotesi di impossibilità di quantificare esattamente il danno in conseguenza dell’affermazione di esistenza della prova almeno presuntiva di condotte di tale genere.

QUESTIONI

La sentenza in esame ci offre la possibilità di approfondire le questioni inerenti la natura della responsabilità, e l’individuazione del danno risarcibile ed il relativo criterio di liquidazione nelle azioni di responsabilità promosse dai competenti organi di una procedura concorsuale nei confronti di amministratori di società di capitali dichiarate insolventi ai quali si è imputato di aver tenuto un comportamento contrario ai doveri loro imposti dalla legge dall’atto costitutivo o dallo statuto sociale.

Nel caso in esame la mala gestio si concretizza nella mancata corretta tenuta delle scritture contabili, circostanza che di fatto rende difficile la ricostruzione dell’effettivo andamento dell’impresa prima della dichiarazione di fallimento, ostacolando la prova dell’entità del danno. Sotto tale profilo la sentenza in esame torna quindi a riflettere sui limiti di utilizzabilità, ai fini dell’accertamento e della liquidazione del danno nelle azioni di responsabilità, del dato costituito dalla differenza tra il passivo e l’attivo fallimentare accertati nell’ambito della procedura fallimentare, criterio di cui si è avvalso il giudice dell’Appello di Palermo.

Da un punto di vista generale, come noto la responsabilità degli amministratori nei confronti della società ha natura contrattuale, pertanto, la condanna al risarcimento dei danni implica la prova della condotta illecita, del nesso di consequenzialità tra la condotta di mala gestio addebitata agli amministratori e il danno occorso alla società stessa oltre che la prova del danno stesso. Si ricorda che la Suprema Corte in una pronuncia a sezioni unite ha infatti avuto modo di affermare, con riferimento alle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, che “l’inadempimento rilevante nell’ambito delle azioni di responsabilità da risarcimento dei danni nelle obbligazioni cosiddette di comportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisca causa (o concausa) efficiente del danno” sicché “l’allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento qualunque esso sia, ma ad un inadempimento per così dire qualificato e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno” (Cass. Civ. Sez. Unite n. 577/2008).

Con riferimento poi all’onere della prova del danno nel caso di mancata o irregolare tenuta delle scritture e applicazione del criterio equitativo va ricordato che “il mancato rinvenimento delle scritture contabili (ma lo stesso potrebbe dirsi per la loro irregolare tenuta) [che] non consenta al curatore del fallimento di ricostruire con sufficiente certezza le vicende che hanno condotto all’insolvenza dell’impresa può essere forse addotta, essa stessa, come una causa di danno almeno nella misura in cui ciò comporti un maggiore onere nell’espletamento dei compiti del curatore ed, eventualmente, un aggravio dei costi della procedura destinato ad incidere negativamente sull’attivo disponibile. Né può in assoluto escludersi l’eventualità di altri effetti dannosi ricollegabili alla mancanza di dette scritture; ma neppure in questo caso appare logicamente plausibile il farne discendere la conseguenza dell’insolvenza o dello sbilancio patrimoniale della società divenuta insolvente. La contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa non li determina; ed è da quegli accadimenti che deriva il deficit patrimoniale, non certo dalla loro (mancata o scorretta) registrazione in contabilità” (Cass. Civ. Sez. Unite n. 9100/2015).

Gli Ermellini nell’arresto in commento, richiamandosi a tali principi e ad altri precedenti conformi (Cass. Civ. n. 38/2017; da ultimo Cass. Civ. n. 13220/2021)  hanno sostenuto che in caso di azione di responsabilità promossa dal curatore, a norma della articolo 146 comma due L.F., la mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove però ne sussistano le condizioni e sempre che il ricorso a esso sia giustificato dalle circostanze del caso concreto logicamente plausibile e sempre a condizione che l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.

Sulla scorta di tali argomentazioni la Suprema Corte ha censurato la pronuncia della Corte d’appello di Palermo, affermando che la stessa si è posta in contrasto con i principi sanciti dai precedenti giurisprudenziali consolidati.

L’impugnata sentenza ha infatti mancato di indicare in quale senso gli addebiti mossi agli amministratori, ossia la mancata corretta tenuta delle scritture aziendali, si siano posti in relazione causalistica con gli effetti dannosi dell’attività gestoria. La sentenza impugnata infatti ha menzionato alcune circostanze relative alla condotta di mala gestio quali: pagamenti non annotati, prelevamenti e fatture di acquisto e incassi in contanti non riportati nelle scritture, ma senza offrirne “un pur minimo significato in termini di nocumento patrimoniale conseguente per la società”.

Conseguentemente la Suprema Corte ha altresì censurato il fatto che la Corte d’Appello di Palermo, con riferimento non solo al nesso di causalità ma anche alla quantificazione del danno, abbia sostenuto una conclusione “astratta”, peraltro opposta a quella invalsa nella giurisprudenza richiamata e cioè che “ove faccia difetto la regolarità contabile l’intero deficit fallimentare debba essere automaticamente attribuito ad atti di mala gestio a prescindere dalla identificazione di tali atti e dalla loro finanche solo presunta idoneità pregiudizievole”.

Nell’ambito delle azioni di responsabilità, infatti, grava sempre in linea di principio su chi agisce in giudizio l’onere di fornire la prova del danno e del nesso di causalità materiale tra queste e le condotte che si assume tenute in violazione di doveri inerenti alle funzioni gestorie svolte dagli amministratori. la mancanza di scritture contabili ovvero la sommarietà di redazione di esse o la loro non comprensibilità non è in sé sufficiente a giustificare la condanna dell’amministratore in conseguenza dell’impedimento frapposto alla provo corrente ai fini del nesso rispetto ai fatti attivi del dissesto;  essa presuppone invece per essere valorizzata in chiave risarcitoria nel contesto di una liquidazione equitativa che sia comunque previamente assolto l’onere della prova circa l’esistenza di condotte perlomeno astrattamente causative di un danno patrimoniale sicché il criterio del deficit fallimentare resta si applicabile ma soltanto come criterio equitativo per l’ipotesi di impossibilità di quantificare esattamente il danno in conseguenza dell’affermazione di esistenza della prova almeno presuntiva di condotte di tale genere.

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