10 Gennaio 2023

Il danno da occupazione illegittima è normale (o presunto) e può essere liquidato in via equitativa

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. un., 15 novembre 2022, n. 33645 – Pres. Virgilio – Rel. Scoditti

Parole chiave: Immobile – Occupazione senza titolo – Danno da perdita subita – Prova – Liquidazione – In via equitativa – Danno da mancato guadagno – Specifico pregiudizio subito

[1] Massima: “In caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno emergente è la perdita della possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione in godimento ad altri dietro corrispettivo; se tale danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato. Nella medesima ipotesi, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito, quale quello derivante dall’impossibilità, in conseguenza dell’occupazione, di concedere in godimento o vendere il bene per un corrispettivo superiore o più conveniente rispetto a quello di mercato”.

Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1223, 1226, 2043, 2056

CASO

Una società, dopo avere acquistato numerose unità immobiliari, ne rivendeva la maggior parte, conservando la proprietà di aree circostanti escluse dalla vendita.

Lamentando che le condotte poste in essere dagli acquirenti e dal condominio che tra gli stessi si era costituito avevano impedito l’alienazione a terzi di tali aree, con conseguente pregiudizio di carattere economico derivante dall’impossibilità di ricavarne il corrispettivo della vendita, la società agiva in giudizio al fine di ottenere il risarcimento del danno.

La domanda veniva respinta sia in primo che in secondo grado; la sentenza d’appello, tuttavia, era cassata con rinvio, ma, una volta riassunto il giudizio, la pretesa risarcitoria era nondimeno rigettata, giacché, pur essendo vero che, secondo la giurisprudenza, il danno subito dal proprietario per effetto dell’occupazione illegittima di un immobile è da considerarsi in re ipsa, esso presuppone l’allegazione di un pregiudizio derivante dall’impossibilità non di alienare il bene lucrando il prezzo della vendita, ma di utilizzarlo.

La società proponeva, quindi, un nuovo ricorso per cassazione, la cui decisione veniva rimessa alle Sezioni Unite, affinché fosse affrontata e risolta la delicata questione dell’identificazione e della qualificazione del danno da occupazione senza titolo.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e cassato con rinvio la sentenza impugnata, delineando i contorni e i presupposti del danno da occupazione illegittima o sine titulo, soprattutto per quanto concerne i profili di carattere probatorio e liquidatorio.

QUESTIONI

[1] Dopo che l’annoso dibattito in merito alla qualificazione giuridica del danno da occupazione illegittima aveva condotto alla pronuncia di sentenze (non solo di merito, ma anche di legittimità) discordanti, discutendosi se tale danno fosse da considerarsi in re ipsa o, al contrario, potesse essere risarcito nel solo caso in cui fosse stata fornita la prova rigorosa del pregiudizio subito dal proprietario, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con due pronunce coeve (a quella annotata, infatti, si affianca la n. 33659 sempre del 15 novembre 2022), sono giunte alla conclusione per cui si tratta di un danno normale o presunto, quantomeno per la componente ascrivibile al cosiddetto danno emergente (che va tenuto distinto dal lucro cessante).

Vediamo qual è il percorso logico-giuridico che ha condotto a questo arresto e quali sono le implicazioni – di carattere sostanziale e processuale – che ne discendono.

In primo luogo, nella sentenza che si annota, si distinguono tre situazioni.

La prima è quella del sopravvenuto venire meno del titolo che giustificava l’occupazione dell’immobile: in questo caso, l’art. 1591 c.c., dettato in materia di locazione, prevede che alla protrazione del godimento da parte del conduttore corrisponde l’obbligo di pagamento, fino alla riconsegna, di un corrispettivo pari al canone dovuto in costanza di rapporto, fatto salvo il risarcimento del maggiore danno.

La seconda è quella delineata dall’art. 2041 c.c., in cui l’assenza di giusta causa dello spostamento patrimoniale, che giustifica la reintegrazione della posizione giuridica del soggetto depauperato, non riveste il carattere dell’antigiuridicità, ovvero dell’illiceità.

La terza, specificamente trattata dalla Corte di cassazione, è quella dell’occupazione abusiva, caratterizzata dall’originario difetto di un titolo e dunque illegittima: tale circostanza, ossia la riconducibilità a un fatto illecito della diminuzione patrimoniale da cui scaturisce la pretesa risarcitoria, rappresenta l’elemento che contraddistingue questa ipotesi tanto da quella in cui il titolo sussisteva ed è solo successivamente venuto meno, quanto dall’arricchimento senza causa e ne determina l’assoggettamento al regime della responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c.

Detto questo, la tesi del danno in re ipsa deriva dalla concezione normativa, in base alla quale l’oggetto del danno coincide con il contenuto del diritto violato, sicché il pregiudizio sussiste per il solo fatto della violazione: con riferimento al danno da occupazione senza titolo di un immobile, il suo carattere in re ipsa viene fatto discendere dalla natura fruttifera del bene e dalla sua indisponibilità secondo criteri di normalità, ferma restando la possibilità per il convenuto di dimostrarne l’insussistenza, per essersi il proprietario intenzionalmente disinteressato dell’immobile.

L’opposto orientamento, invece, fa leva sull’assunto per cui il pregiudizio risarcibile non è dato dalla lesione della situazione giuridica, ma dal danno che deriva, come conseguenza, dall’evento corrispondente a detta lesione, dovendosi dunque ravvisare due distinte sequenze causali, ciascuna caratterizzata da un autonomo nesso eziologico che il danneggiato deve dimostrare: quella concernente la mancata disponibilità dell’immobile per effetto dell’occupazione abusiva (che consente di imputare quel determinato evento a una specifica condotta, parlandosi anche di causalità materiale) e quella inerente al rapporto tra tale situazione e il pregiudizio che ne deriva (che consente di ricondurre il danno proprio a quel determinato evento, parlandosi anche di causalità giuridica). In quest’ottica, ammettere un risarcimento a prescindere dalla prova dell’evento di danno significherebbe snaturarne la funzione, venendosi a configurare un danno punitivo al di fuori delle condizioni previste per la sua ammissibilità.

Tra le due tesi, le Sezioni Unite ritengono di dovere privilegiare quella per cui la violazione del contenuto del diritto è suscettibile di tutela non solo reale, ma anche risarcitoria, coerentemente al significato di danno risarcibile quale perdita patrimoniale subita in conseguenza di un fatto illecito, sia pure a certe condizioni.

I giudici di legittimità, infatti, distinguono la tutela di carattere reale (che mira al ripristino dell’ordine formale violato, mediante la rimozione dello stato di fatto contrario al diritto soggettivo) dalla tutela di carattere risarcitorio (che costituisce misura riparatoria della lesione del bene della vita subita in conseguenza della condotta abusiva, avente natura compensativa); a tale distinzione fa da contraltare la non coincidenza dei fatti costitutivi delle rispettive azioni, nel senso che il danno risarcibile rappresenta l’elemento caratterizzante della tutela risarcitoria, restando invece estraneo alla tutela di carattere reale.

Posto che l’evento dannoso è giuridicamente rilevante solo se effettivamente produttivo di un concreto pregiudizio al bene della vita, la violazione del diritto di proprietà e la lesione che ne deriva può attingere la cosa o il contenuto del diritto. In questo secondo caso, il danno risarcibile è rappresentato dalla perdita della possibilità di esercitare la facoltà di godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo, in conseguenza dell’occupazione abusiva, atteso che tra la violazione del diritto di proprietà – costituente l’evento di danno – e la concreta possibilità di godimento che è andata persa – integrante il danno conseguenza da risarcire – sussiste un nesso di causalità giuridica.

Ricollegando il danno suscettibile di risarcimento alla concreta possibilità di godimento persa, il contenuto del diritto violato è suscettibile di trovare ristoro, a condizione che sia ravvisabile uno specifico collegamento tra la violazione giuridica e la perdita subita, in modo tale che al presunto danneggiante non sia impedito di fornire la prova contraria (ciò che accadrebbe qualora il risarcimento spettasse sempre e comunque, a fronte della denunciata compressione del diritto di godere della cosa quale astratta posizione riconosciuta dall’ordinamento).

Per questo motivo, i giudici di legittimità, ravvisando l’equivocità della nozione di danno in re ipsa, coniano quella di danno normale o presunto, stante la tendenziale normalità del pregiudizio al godimento del proprietario che scaturisce dall’illegittima occupazione di un immobile.

In questi casi, pertanto, è richiesta l’allegazione della concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento che è andata persa, mentre il non uso resta insuscettibile di risarcimento, configurando una manifestazione del contenuto del diritto su un piano meramente astratto.

La perdita subita risarcibile, dunque, attiene al godimento – diretto o indiretto, mediante il corrispettivo del godimento concesso ad altri – e l’attore avrà l’onere di allegarla, con possibilità per il convenuto di contestarla specificamente, opponendo che giammai il proprietario avrebbe esercitato il diritto di godimento, quand’anche non si fosse verificata l’occupazione illegittima; a fronte di tale specifica contestazione, l’attore dovrà fornire la prova del godimento perso, ben potendo ricorrere alle nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza o a presunzioni semplici. Una volta ravvisatane la sussistenza, il danno potrà essere valutato equitativamente, ai sensi dell’art. 1226 c.c., facendo riferimento al canone locativo di mercato quale valore economico del godimento nell’ambito di un contratto tipizzato dalla legge.

Quando, invece, il proprietario lamenti di avere perduto la possibilità di vendere o di locare l’immobile a un prezzo maggiore rispetto a quello di mercato, l’onere di allegazione riguarderà gli specifici pregiudizi patiti, potendosi pure in questo caso ricorrere alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza e alle presunzioni semplici.

In definitiva, la Corte di Cassazione opera una sintesi dei due orientamenti che si fronteggiavano il campo: se, con riguardo al cosiddetto danno emergente (cioè da perdita subita), esso deve considerarsi eziologicamente insito nell’occupazione illegittima, così da costituirne conseguenza normale o presunta, di modo che il proprietario potrà limitarsi ad allegarne la sussistenza, salvo dovere provare la perdita a fronte di una contestazione specifica da parte del responsabile convenuto in giudizio, con riferimento al cosiddetto lucro cessante (cioè al mancato guadagno), l’onere probatorio del proprietario leso sarà più gravoso, nel senso che occorrerà fornire fin dall’inizio la dimostrazione degli specifici pregiudizi subiti (in termini di impossibilità di ricavare un corrispettivo superiore a quello di mercato, cui resta parametrato il danno emergente) e della loro diretta riconducibilità alla condotta illegittima dell’occupante sine titulo.

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