Le conseguenze della violazione del dovere di comportamento seconda buona fede in pendenza della condizione sospensiva
di Mirko Faccioli, Avvocato e Professore associato di diritto privato Scarica in PDFCass. civ., sez. II, ord. 6 luglio 2022, n. 21427 – Pres. Di Virgilio, Rel. Poletti
Parole chiave: Contratto preliminare – condizione sospensiva – Dovere di comportamento secondo buona fede – inadempimento – risoluzione del contratto – risarcimento del danno.
Massima: “In caso di inadempimento dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede in pendenza della condizione sospensiva ai sensi dell’art. 1358 c.c., il momento dell’inadempimento – utile ai fini della determinazione del danno risarcibile e della sua decorrenza – va individuato in quello (ultimo) in cui risulta che la parte non si sia attivata per consentire il verificarsi della condicio facti (nella specie, l’ottenimento del mutuo agevolato, da parte del promissario acquirente, da perfezionarsi entro sette mesi dalla sottoscrizione del preliminare di vendita) e non già nel successivo momento della proposizione, ad opera della parte in mala fede, della domanda giudiziale di risoluzione del contratto (già inefficace per mancato avveramento della condizione)”.
Disposizioni applicate:
Artt. 1358, 1453 c.c.
CASO
Una società di costruzioni conclude con una persona fisica un preliminare di compravendita immobiliare, avente per oggetto un appartamento situato all’interno di un edificio in costruzione, sospensivamente condizionato all’erogazione di un mutuo agevolato in favore del promissario acquirente nel termine di sette mesi dalla stipulazione del contratto di cui sopra.
Dopo averla immessa nel godimento dell’immobile, la società promittente venditrice conviene in giudizio la controparte proponendo domanda di risoluzione del contratto per inadempimento della stessa, il rilascio dell’immobile e il risarcimento dei danni subiti (o, in subordine, il pagamento di un indennizzo a titolo di ingiustificato arricchimento conseguito dal convenuto per avere goduto dell’immobile senza averne titolo).
Tali domande vengono respinte all’esito di entrambi i giudizi di merito, i quali accertano che il contratto definitivo non era stato stipulato a causa del comportamento della società promittente venditrice: quest’ultima si era infatti resa inadempiente all’obbligo di consegnare la documentazione (certificato di fine lavori e di abitabilità) necessaria per la concessione del mutuo agevolato al promissario acquirente, così contravvenendo al dovere di buona fede pendente condicione contemplato dall’art. 1358 c.c. e determinando il mancamento della condizione sospensiva apposta al preliminare. Come conseguenza, la società stessa viene pure condannata a risarcire al promissario acquirente il danno sofferto per la mancata realizzazione dell’affare, quantificato nella differenza tra il prezzo pattuito e il maggior valore commerciale del bene stimato al momento della data della proposizione della domanda di risoluzione da parte della società de qua.
Quest’ultima propone allora ricorso per cassazione, affidato a diversi motivi, due dei quali interessa esaminare in questa sede.
In primo luogo, la società promittente venditrice lamenta che la Corte d’Appello, nel considerare la violazione della buona fede della ricorrente stessa, non avrebbe valutato il comportamento dalla medesima complessivamente tenuto nella vicenda, omettendo in particolare di considerare, a comprova della correttezza del suo comportamento, l’avvenuta spontanea consegna dell’immobile alla controparte. In secondo luogo, viene censurato il ragionamento seguito dal giudice di secondo grado per quantificare il danno cagionato dalla violazione del dovere di buona fede ex art. 1358 c.c.: secondo la ricorrente si sarebbe dovuto tenere conto, per identificare il momento del definitivo inadempimento da parte sua del dovere di cui sopra, non già della data in cui essa aveva proposto domanda di risoluzione per inadempimento, bensì della scadenza del termine per l’ottenimento del mutuo da parte del promissario acquirente, termine fissato nel preliminare in sette mesi dalla sua sottoscrizione (o, in ogni caso, nella scadenza dei due mesi dalla consegna dell’immobile previsti per la stipula del rogito definitivo).
SOLUZIONE
Il primo dei due motivi di ricorso sopra riportati viene agevolmente respinto dalla Suprema Corte osservando come il giudizio sulla violazione del dovere di buona fede in pendenza della condizione, realizzata dalla società promittente venditrice omettendo di consegnare i documenti necessari all’erogazione del mutuo dedotto ad oggetto della condizione stessa, non sia in alcun modo influenzato dal fatto che la società stessa avesse immesso la controparte nel possesso dell’immobile promesso in vendita prima della stipulazione del contratto definitivo.
Diversa sorte tocca al secondo e ben più interessante motivo di ricorso che è stato precedentemente esposto.
Rilevano, infatti, gli Ermellini come non si possa condividere il ragionamento, seguito nei primi due gradi di giudizio, secondo cui la società promittente venditrice doveva considerarsi inadempiente all’obbligo di fornire la documentazione necessaria all’erogazione del mutuo agevolato alla controparte solo dal momento in cui la stessa aveva proposto la domanda di risoluzione del preliminare per inadempimento, perché fino ad allora era possibile l’adempimento mediante la produzione dei documenti richiesti: tale conclusione è infatti sorretta dal richiamo all’art. 1453 c.c. e agli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali relativi alla quantificazione del risarcimento del danno da risoluzione subito dal contraente fedele, mentre nel caso di specie si discute della quantificazione del pregiudizio sofferto dall’acquirente sotto condizione sospensiva in conseguenza dell’inefficacia del contratto imputabile alla controparte per avere omesso un comportamento necessario per il verificarsi della condizione.
Per risolvere tale questione, occorre muovere dal rilievo secondo cui la violazione del dovere di buona fede pendente condicione contemplato dall’art. 1358 c.c. costituisce una fattispecie di inadempimento attuale e immediatamente rilevante, che di per sé stesso cagiona una lesione della situazione giuridica soggettiva, detta di aspettativa, che fa capo alle parti durante la fase di pendenza: una concezione, questa, che verrebbe apertamente disconosciuta laddove si considerasse la società promittente venditrice inadempiente all’obbligo di fornire la documentazione necessaria all’erogazione del mutuo solo dal momento in cui la stessa aveva proposto la domanda di risoluzione del preliminare per inadempimento, essendo fino ad allora era possibile la produzione dei documenti in discorso. Di converso va riconosciuto come, già nel momento del mancato avveramento della condizione, il promissario acquirente avrebbe potuto attivarsi per rinvenire un nuovo immobile sul mercato, visto il fallimento dell’operazione economica concordata con la società promittente venditrice, a nulla rilevando, sul piano delle conseguenze risarcitorie, il fatto che quest’ultima avrebbe potuto, in un momento successivo, mettere a disposizione della controparte la documentazione necessaria ai fini dell’ottenimento del prestito.
La controversia viene quindi rinviata al giudice di secondo grado, il quale dovrà riconsiderare il capo della sentenza impugnata attenendosi al principio espresso nella massima dell’ordinanza riportata in epigrafe.
QUESTIONI
Occorre precisare come il principio che individua il momento da considerare ai fini della quantificazione del danno da risoluzione per inadempimento nella data della proposizione della domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c. da parte del contraente fedele trova ampio riscontro sia in dottrina che in giurisprudenza (fra i tanti v., anche per i relativi riferimenti giurisprudenziali, C.M. Bianca, Diritto civile, 5, La responsabilità, 3a ed., Milano, 2021, p. 316; A. Zaccaria, Della risoluzione per inadempimento, in Comm. Cian-Trabucchi, 15a ed., Padova, 2022, p. 1478).
Tale principio, com’è già stato messo in luce, è però inconferente nel caso di specie, che la Suprema Corte ha, quindi, correttamente risolto richiamandosi alla tesi dell’attualità del dovere di buona fede in pendenza della condizione stabilito dall’art. 1358 c.c. e dall’autonoma risarcibilità che la violazione del dovere in discorso cagiona, comportando la lesione dell’aspettativa di cui è titolare l’acquirente sotto condizione sospensiva (così come l’alienante sotto condizione risolutiva).
In passato non era, a dire il vero, mancato chi aveva sostenuto l’opposta soluzione secondo cui il dovere in parola sarebbe anch’esso sottoposto a condizione sospensiva durante la pendenza, sicché il suo inadempimento non potrebbe innescare pretese risarcitorie, per mancanza di un danno attuale ed effettivo subito dalla controparte, se non se e dopo l’avveramento della condizione medesima (G. Gabrielli, Il rapporto giuridico preparatorio, Milano, 1974, p. 220 ss.); al limite si potrebbe ammettere, secondo un’altra similare impostazione, che il titolare dell’aspettativa condizionale possa ottenere, durante la pendenza, l’adempimento coattivo del dovere di correttezza ex art. 1358 c.c. tramite l’esecuzione forzata in forma specifica, ma dovrebbe poi rimborsare le spese sostenute dalla controparte in caso di mancato avveramento della condizione (U. Natoli, Della condizione nel contratto, in Codice civile. Libro delle obbligazioni, I, in Comm. D’Amelio – Finzi, Firenze, 1948, p. 459 ss.).
Già da diverso tempo, tuttavia, la dottrina e la giurisprudenza di gran lunga maggioritarie hanno preferito adottare la diversa tesi, sostenuta anche dall’ordinanza in commento, che riconosce l’autonoma ed attuale rilevanza delle violazioni del dovere di buona fede ex art. 1358 c.c. realizzate durante la pendenza della condizione, attribuendo alla parte fedele il diritto – oltre che di reagire alle medesime tramite il compimento di atti conservativi ex art. 1356 c.c., pure – di risolvere il contratto e ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del prematuro scioglimento del vincolo negoziale per causa imputabile alla controparte e della conseguente lesione della situazione di aspettativa attribuita dal contratto risolto (in questo senso v., fra gli altri, M. Faccioli, Il dovere di comportamento secondo buona fede in pendenza della condizione contrattuale, Padova, 2006, passim; U. La Porta, Il trasferimento delle aspettative, Napoli, 1995, p. 46 ss.; V. Putortì, La risoluzione anticipata del contratto, in Rass. dir. civ., 2006, p. 121 ss.; Id., Inadempimento e risoluzione anticipata del contratto, Milano, 2008, p. 158 ss.; per la giurisprudenza v., fra le tante, Cass., 19 giugno 2014, n. 14006, in Contr., 2015, p. 270, con nota di N.A. Vecchio, La risoluzione per inadempimento nel contratto sospensivamente condizionato; Cass., 12 febbraio 2014, n. 3207, in Contr., 2014, p. 637, con nota di P. Criscuoli, Preliminare condizionato sospensivamente e violazione degli obblighi di buona fede; Cass., 3 giugno 2010, n. 13469, in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, p. 115, con nota di G. Salvi, Finzione ex art. 1359 cod. civ. e diritto del professionista al compenso in caso di mancato avveramento della condizione imputabile alla P.A.).