L’esercizio del diritto di rivalsa nel patto di manleva sotteso ad un contratto di cessione di quote
di Eleonora Giacometti, Avvocato Scarica in PDFParole chiave: cessione di quote – patto di manleva – adempimento nel contratto di cessione di quote – risoluzione contratto – contratto di cessione – garanzia dei soci
Massima: “Il patto mediante il quale, al momento della cessione delle quote di una società a responsabilità limitata, i soci cedenti assicurano l’inesistenza di passività e si impegnano verso gli acquirenti al pagamento di eventuali sopravvenienze passive inerenti all’attività pregressa è un patto di manleva”.
Costituisce presupposto logico, intrinseco ed indefettibile del diritto di rivalsa azionato da una parte in forza di un patto di manleva, il fatto che il preteso manlevato abbia, in concreto, anticipato il pagamento del debito oggetto dell’obbligo di garanzia assunto dal mallevatore. Infatti, secondo consolidato e costante orientamento giurisprudenziale di legittimità, il diritto di manleva diventa azionabile nel momento in cui il debitore (manlevato) effettua il pagamento in favore del creditore, posto che, in assenza dell’adempimento, il manlevato non ha interesse ad agire nei confronti del mallevadore; anzi, è proprio al momento del pagamento che sorge quell’obbligazione di natura eventuale e condizionata sospensivamente, caratteristica propria del patto di manleva.
Disposizioni applicate: artt. 1411 c.c., 1453 c.c., art. 1455 c.c.
Nel caso in esame, gli attori sono i soci di una società a responsabilità limitata che hanno convenuto in giudizio gli ex soci, da cui hanno acquisito l’intero capitale sociale, lamentando la sopravvenuta emersione di passività non contabilizzate nei bilanci sociali ed imputabili alla pregressa gestione, passività costituite in minima parte da interessi di mora derivanti da un avviso di addebito INPS (per un totale di circa 1.000 Euro), e per la maggior parte dai corrispettivi relativi a due contratti di affiliazione commerciale e dai ratei di retribuzione e TFR spettanti ai lavoratori dipendenti.
Gli ex soci si sono costituiti in giudizio chiedendo il rigetto delle domande attoree ed, in via riconvenzionale, l’accertamento del grave inadempimento degli attori alle obbligazioni loro derivanti dal contratto di cessione delle quote della società, inadempimento consistente nel mancato versamento dei decimi di capitale sociale non ancora sottoscritti, per un totale di € 22.500,00, quale quota-parte del maggior corrispettivo dovuto dai nuovi soci cessionari.
Conclusa la fase istruttoria, nell’ambito della quale è stata espletata anche una CTU, il Tribunale delle Imprese di Bologna ha preliminarmente dichiarato la carenza di legittimazione attiva in capo alla società di cui si discute, richiamando la giurisprudenza ormai consolidata secondo la quale “il patto mediante il quale, al momento della cessione delle quote di una società a responsabilità limitata, i soci cedenti assicurino l’inesistenza di passività e si impegnino verso gli acquirenti al pagamento di eventuali sopravvenienze passive inerenti all’attività pregressa, non costituisce contratto a favore di terzo o contratto parasociale, con la conseguenza che il patto non può essere fatto valere né dalla società (che non può qualificarsi terzo ai sensi dell’art. 1411 c.c., poiché riceve solo indirettamente un vantaggio economico dal patto) né suo liquidatore” (così, Cass. Civ. 27/03/1985, n. 2155).
Nel merito, il Tribunale ha poi rilevato che il presupposto logico, intrinseco ed indefettibile di un diritto di rivalsa azionato in forza di un patto di manleva sta nel fatto che il preteso manlevato abbia, in concreto, anticipato il pagamento del debito oggetto dell’obbligo di garanzia assunto dal mallevatore, come confermato dal consolidato orientamento di legittimità secondo cui “il diritto di manleva diventa azionabile nel momento in cui il debitore (manlevato) effettua il pagamento in favore del creditore, posto che, in assenza dell’adempimento, il manlevato non ha interesse ad agire nei confronti mallevadore; anzi è proprio al momento del pagamento che sorge quell’obbligazione di natura eventuale e condizionata sospensivamente, caratteristica propria del patto di manleva” (v. da ultimo Cass. Civ. Sez. VI – 01/12/2021, n. 37709).
Applicando tale principio al caso in esame, era quindi onere degli attori che avevano invocato il patto di manleva dimostrare di aver saldato i debiti relativi alle contestate sopravvenienze passive, giustificando, in tal modo, l’esercizio del diritto di rivalsa insito nella manleva medesima.
Gli attori avevano però fornito la prova documentale del pagamento della sola sopravvenienza passiva costituita dall’addebito INPS, con la conseguenza che la domanda attorea è risultata infondata con riguardo alle ulteriori sopravvenienze lamentate, e ciò anche per il fatto che la CTU svolta in corso di istruttoria aveva evidenziato l’inidoneità della documentazione fiscale e contabile acquisita agli atti a fornire ulteriori elementi significativi di valutazione a supporto dell’assunto attoreo.
Il Tribunale di Bologna ha inoltre ritenuto priva di fondamento anche la domanda riconvenzionale formulata dai convenuti, domanda ex art. 1453 c.c. di risoluzione del contratto di cessione delle quote per il grave inadempimento asseritamente costituito dal mancato versamento, da parte dei convenuti soci cedenti, dei decimi di capitale sociale da loro non ancora sottoscritti.
Tale obbligazione, infatti, era stata adempiuta, seppur in ritardo rispetto al termine previsto nel contratto, in corso di causa.
Al riguardo, il Tribunale ha osservato che, sebbene l’ultimo comma dell’art. 1453 stabilisca che “dalla data della domanda di risoluzione l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione”, un adempimento effettuato tardivamente deve comunque essere preso in considerazione dal giudice, potendo costituire una circostanza idonea a rendere l’inadempimento di scarsa importanza, con diretta influenza sulla risolubilità del contratto ex art. 1455 c.c. (cfr. Cass. Civ. n. 6367/1993).
Sul punto, i convenuti hanno allegato unicamente l’esistenza di un possibile vincolo di solidarietà in relazione all’obbligazione di versamento del capitale sociale, tra soci cedenti e cessionari, in caso di fallimento della società ex art. 150 L.F, senza tuttavia dimostrare l’esistenza di condizioni economico-patrimoniali che potessero porre la società a rischio di insolvenza o di decozione.
In difetto di allegazione e di prova, il Tribunale ha quindi escluso un interesse concreto dei convenuti ad un tempestivo adempimento dell’obbligazione in questione.
In conclusione, il Tribunale ha accolto solo in parte la domanda attorea, limitatamente alla sopravvenienza costituita dall’addebito INPS, e ha rigettato la domanda riconvenzionale dei convenuti, compensando, in ragione delle reciproche soccombenze, le spese di lite.
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia