Per gli errori contenuti nel decreto di trasferimento occorre proporre opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., non istanza di correzione di errore materiale
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. III, 19 maggio 2022, n. 16219 – Pres. De Stefano – Rel. Saija
Massima: “In tema di espropriazione immobiliare, l’eventuale erronea indicazione, nel decreto di trasferimento, di servitù attive o passive riguardanti il bene trasferito può essere fatta valere con l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. e non attraverso il procedimento di correzione di errore materiale di cui all’art. 287 c.p.c., in quanto trattasi di profilo che concerne non già un mero difetto di corrispondenza tra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, bensì aspetti sostanziali che incidono sul contenuto di ciò che è trasferito rispetto a quanto è stato posto in vendita”.
CASO
Nell’ambito di una procedura esecutiva, venivano aggiudicati due lotti derivanti dal frazionamento di un unico complesso di fabbricati e terreni che appartenevano al debitore esecutato.
Successivamente, il giudice dell’esecuzione, con correzione annotata in calce a entrambi i decreti di trasferimento, eliminava il riferimento a un diritto di passaggio a carico dell’immobile di cui al primo lotto e a favore del secondo che era contenuto anche nell’avviso di vendita, reputando che si trattasse di un mero errore materiale.
L’acquirente del primo lotto proponeva opposizione avverso il provvedimento di correzione, che veniva respinta, in quanto, ritenuto applicabile anche al decreto di trasferimento il procedimento disciplinato dagli artt. 287 e 288 c.p.c., la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia – pure configurabile in seno a un processo esecutivo – non era considerata ammissibile in presenza di disposizioni di segno contrario del giudice dell’esecuzione (che, nel caso di specie, aveva richiamato la relazione dell’esperto, che un tale effetto non contemplava).
La sentenza così emessa veniva gravata con ricorso per cassazione, con il quale era contestata, in particolare, la possibilità per il giudice dell’esecuzione di attribuire all’aggiudicatario qualcosa di diverso da ciò che era previsto dall’ordinanza e dall’avviso di vendita, nonché di correggere il decreto di trasferimento che sia divenuto inoppugnabile per decorso del termine di cui all’art. 617 c.p.c., quando non si sia in presenza di un errore materiale, ma di una pretesa illegittimità del provvedimento, per avere attribuito un diritto (di servitù) al di fuori dei casi previsti dalla legge.
SOLUZIONE
[1] La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, affermando che la modifica del decreto di trasferimento mediante il procedimento di correzione degli errori materiali – a fronte di una descrizione del bene conforme a quella presente nell’avviso di vendita, su cui fanno affidamento gli offerenti e l’aggiudicatario – non è ammissibile quando non si sia in presenza di un mero difetto di corrispondenza tra ciò che intendeva esprimere il giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, ma si vada a incidere, sotto il profilo qualitativo o quantitativo, sulle posizioni soggettive delle parti coinvolte in relazione a ciò che è stato trasferito.
QUESTIONI
[1] Il decreto di trasferimento è il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione, una volta effettuato il versamento del saldo prezzo, trasferisce all’aggiudicatario il bene staggito, intima all’esecutato o al terzo che non vanti un diritto opponibile alla procedura la liberazione del bene e ordina la cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti (nonché dei sequestri conservativi) e delle iscrizioni ipotecarie insistenti sul bene aggiudicato.
Quando sia affetto da errori materiali, anche il decreto di trasferimento può essere emendato secondo il procedimento di correzione delineato dagli artt. 287 e 288 c.p.c., applicabile pure al processo esecutivo, senza che sia necessario convocare le parti per l’instaurazione del contraddittorio, stante la natura non conteziosa del provvedimento di cui all’art. 586 c.p.c. e la sua insuscettibilità di produrre effetti analoghi al giudicato.
La correzione, peraltro, può essere disposta – d’ufficio dal giudice dell’esecuzione, ovvero su segnalazione degli ausiliari o su istanza dell’interessato – fino a quando il decreto non abbia avuto esecuzione (in ossequio alla regola generale dettata dall’art. 487 c.p.c.) e purché si tratti di questioni di carattere formale (ossia involgenti, per esempio, l’identificativo catastale del bene o le formalità da cancellare), senza che vi siano contestazioni sull’oggetto del trasferimento che possano incidere sulle posizioni soggettive dell’esecutato e dell’acquirente in sede esecutiva. In altre parole, la correzione del decreto di trasferimento non può comportare alcuna modifica che alteri ciò che è stato trasferito dal debitore all’aggiudicatario.
Nel caso portato all’attenzione dei giudici di legittimità, l’errore di cui si discuteva consisteva nella previsione, nel decreto di trasferimento riguardante uno dei due lotti posti in vendita, dell’esistenza di una servitù di passaggio a favore di tale lotto e a carico dell’altro (il cui decreto di trasferimento, a propria volta, dava conto dell’esistenza della medesima servitù passiva), sulla scorta di quanto riportato nell’avviso di vendita (in cui veniva inequivocabilmente menzionata l’esistenza della servitù), che rinviava alla perizia di stima (che, del pari, vi faceva riferimento, evidenziandosi che al cortile ricompreso nel primo lotto si accedeva anche dalla porzione di terreno ricadente nel secondo lotto); pertanto, considerato che l’avviso di vendita, unitamente alla relativa ordinanza emessa ai sensi dell’art. 569 c.p.c., costituisce lex specialis di gara, su cui gli offerenti fanno pieno e legittimo affidamento, la previsione e la menzione del diritto di passaggio nell’avviso di vendita – giuste o sbagliate che fossero – valevano a connotare il perimetro complessivo di ciò che era stato posto in vendita.
Come evidenziato nell’ordinanza che si annota, del resto, nulla esclude che, anche in sede esecutiva, possa costituirsi una servitù per destinazione del padre di famiglia, ai sensi dell’art. 1062 c.c., per effetto ovvero in conseguenza della suddivisione in lotti distinti di un unico immobile originariamente appartenente al debitore esecutato (data la facoltà del giudice dell’esecuzione di accorpare o scorporare i cespiti assoggettati a espropriazione forzata, al fine di conseguire un migliore risultato dalla loro vendita), dal momento che una tale servitù può sorgere pure se la divisione del fondo sia stata disposta, anziché dal proprietario, dal giudice dell’esecuzione con il decreto di trasferimento dei lotti risultanti dal frazionamento del terreno, salvo che non risulti una diversa volontà (individuabile, per esempio, nell’ordine di rimozione delle opere o dei segni apparenti che avrebbero integrato il contenuto della servitù).
Di conseguenza, nella fattispecie esaminata, non poteva predicarsi la sussistenza di una mera difformità tra l’ideazione del giudice dell’esecuzione e la rappresentazione grafica della sua volontà (nel che si sostanzia l’errore suscettibile di correzione materiale ai sensi dell’art. 287 c.p.c.), ovvero di un semplice refuso (che postula l’inesistenza di contestazioni sul bene trasferito), trattandosi piuttosto di un’erronea lettura, da parte del professionista delegato, degli atti prodromici, che ha condotto alla configurazione di una consistenza diversa da quella che si sarebbe dovuta individuare e ha ridondato i propri effetti anche in sede di predisposizione del decreto di trasferimento.
Una simile discrasia, al pari di ogni altra situazione che renda controversa l’identificazione del bene oggetto del decreto di trasferimento, anche con riguardo alla sua estensione qualitativa o quantitativa, non può essere emendata mediante il procedimento di correzione ex art. 287 c.p.c., dovendosi individuare nell’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 c.p.c. lo strumento tramite il quale rimediare alla ravvisata incongruenza.
D’altra parte, poiché l’art. 586 c.p.c. stabilisce che il decreto con cui il bene espropriato viene trasferito all’aggiudicatario ripete la descrizione contenuta nell’ordinanza che dispone la vendita, l’eliminazione della servitù di passaggio dal novero dei diritti inerenti al lotto in questione avrebbe comportato un’evidente violazione della suddetta disposizione, perché sarebbe venuta inammissibilmente meno la corrispondenza tra ciò che era stato pubblicizzato ai sensi dell’art. 590 c.p.c. e posto in vendita e ciò di cui l’acquirente in sede esecutiva si era reso aggiudicatario.
Fermo restando il principio, applicabile anche alla vendita esecutiva (per effetto della natura derivativa dell’acquisto, sancita dall’art. 2919, comma 1, c.c.), per cui all’acquirente non può essere trasferito un diritto reale maggiore (per qualità o per estensione) di quello che apparteneva al debitore esecutato e che è stato fatto oggetto di pignoramento.
A questo proposito, la pronuncia di Cass. civ., Sez. III, 21 settembre 2022, n. 27677, ha chiarito che chi sia stato leso nel proprio diritto reale immobiliare per effetto di un trasferimento coattivo, è legittimato, in quanto terzo ed estraneo al processo esecutivo (come tale, impossibilitato ad avvalersi dell’opposizione ex art. 617 c.p.c.), a fare valere le proprie ragioni nei confronti dell’aggiudicatario, come si desume – a contrario – dall’art. 2920 c.c., che, per la sola vendita forzata di cosa mobile, preclude ai titolari della proprietà o di altri diritti reali che non abbiano fatto valere le loro ragioni sulla somma ricavata dall’esecuzione di rivalersi nei confronti dell’acquirente di buona fede e di ripetere dai creditori la somma distribuita. Così, in caso di vendita forzata avente per oggetto un immobile, detti terzi potranno promuovere autonome azioni di accertamento della proprietà, ovvero, se l’espropriazione è ancora pendente, svolgere opposizione ai sensi dell’art. 619 c.p.c.
Al contrario, le parti del processo esecutivo hanno l’onere di denunciare con l’opposizione di cui all’art. 617 c.p.c. l’erroneo trasferimento all’aggiudicatario di un cespite che è oggetto di pignoramento, ma che si reputa non appartenere all’esecutato, essendo inammissibile un’autonoma azione di rivendica, distinta dai rimedi tipici dell’esecuzione forzata, dalle stesse proposta al fine di contrastare gli effetti dell’esecuzione, ponendoli nel nulla o limitandoli.
Nell’ordinanza che si annota, infine, è stato sottolineato che il professionista delegato ai sensi dell’art. 591-bis c.p.c., in quanto ausiliario del giudice dell’esecuzione, rappresenta l’ufficio e partecipa dell’attività giurisdizionale, nei limiti della delega attribuitagli, sicché, mentre è senz’altro tenuto a supportare il giudice, fornendogli gli opportuni chiarimenti in merito al proprio operato, se del caso esprimendo un parere sulle questioni giuridiche che fossero emerse, deve invece escludersi che possa prendere posizione sulla fondatezza o meno dell’opposizione agli atti esecutivi da chiunque proposta, perché ciò costituirebbe un grave vulnus alla terzietà dell’intero ufficio, a maggior ragione quando, pur scaturendo detta opposizione da un possibile errore commesso dal medesimo professionista delegato, non si faccia questione di una sua responsabilità e delle conseguenze che gliene possono derivare.
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