22 Novembre 2022

L’incompatibilità di uno dei membri del collegio non costituisce valido motivo di revocazione ex art. 391-bis c.p.c.

di Valentina Baroncini, Avvocato e Ricercatore di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. IV, 13 ottobre 2022, n. 30011, Pres. Raimondi – Est. Amendola

[1] Sentenza della Corte di Cassazione – Incompatibilità di uno dei componenti del collegio decidente – Vizio revocatorio – Configurabilità – Esclusione – Fondamento (artt. 391-bis, 395 c.p.c.)

In tema di revocazione di sentenza della Corte di Cassazione, la dedotta incompatibilità di uno dei cinque componenti del collegio decidente, non costituendo una svista percettiva rilevante ex art. 391 bis c.p.c., non integra errore revocatorio né è causa di nullità della decisione impugnata. 

CASO

[1] Il provvedimento che si commenta ha deciso su un ricorso per revocazione proposto per errore di fatto, ex art. 391-bis c.p.c., contro una sentenza della Cassazione che, a sua volta, aveva rigettato l’impugnazione del ricorrente, determinandone la soccombenza nella lite.

La richiesta di revocazione della sentenza avanzata si fondava, in particolare, sull’assunto per cui il presidente del collegio deliberante, in data 17 settembre 2019, non avrebbe ravvisato l’obbligo di astenersi, in violazione dell’art. 51 c.p.c., nonostante la denuncia-querela depositata dal ricorrente in data 22 luglio 2017 nei confronti dello stesso.

Sulla base di tale dato di fatto, il ricorrente articolava dieci motivi di revocazione sostenendo che, in conseguenza del grave conflitto di interessi tra il ricorrente medesimo e detto componente del collegio, quest’ultimo non avrebbe provveduto a censurare l’operato dei giudici del primo e del secondo grado.

SOLUZIONE

[1] La Suprema Corte dichiarava la radicale inammissibilità del ricorso per revocazione, così come formulato: il motivo risiede in ciò, che nessuno dei motivi articolati nel ricorso aveva provveduto a individuare nella sentenza impugnata errori revocatori secondo le caratteristiche definite dalla costante giurisprudenza di legittimità.

Secondo il provvedimento in commento, i principi costantemente affermati dagli ermellini in materia di errore di fatto revocatorio ex art. 395, n. 4), c.p.c. – rilevante, nel caso di specie, ex art. 391-bis c.p.c. – sarebbero stati del tutto trascurati dalla parte ricorrente. Infatti, il ricorso non avrebbe evidenziato, nella sentenza impugnata, sviste percettive aventi le caratteristiche proprie del vizio in discorso, in quanto si sarebbe limitato a chiedere la revocazione sostanzialmente sul solo assunto che alla deliberazione della pronuncia gravata aveva partecipato, come presidente del collegio, un componente che avrebbe avuto l’obbligo di astenersi, inficiando poi la decisione presa per molteplici aspetti.

Richiamando alcuni suoi precedenti (in particolare, Cass., 8 giugno 2007, n. 13433), la Cassazione conclude che pacificamente la dedotta incompatibilità di uno dei cinque componenti del collegio decidente non costituisca causa di revocazione ex art. 391-bis c.p.c., così come non è causa di nullità della decisione adottata. Con tali precedenti, peraltro, parte ricorrente non si è neppure confrontata, provando, in definitiva, a servirsi dello strumento della revocazione quale mezzo per ottenere un nuovo grado di giudizio, con modalità chiaramente distorte rispetto al fine per il quale esso è concepito.

Sulla base di tali motivazioni, il ricorso per revocazione proposto viene dichiarato inammissibile.

QUESTIONI

[1] Con la pronuncia che si commenta, la Cassazione torna a pronunciarsi sui requisiti dell’errore di fatto revocatorio ex art. 395, n. 4), c.p.c., con particolare riferimento alla fattispecie in cui la sentenza, di cui si chiede la revocazione, coincida con una pronuncia della Suprema Corte, con applicazione della disciplina speciale di cui all’art. 391-bis c.p.c.

Prima di esaminare i principi, ormai consolidatisi, in materia, possiamo senz’altro muovere dal testo dell’art. 395, n. 4), c.p.c., che apre al rimedio della revocazione «se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa; vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita».

Venendo all’interpretazione che la giurisprudenza di legittimità offre di tale motivo di revocazione, pacificamente si ritiene che tale genere di errore presupponga il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, purché, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti (in tal senso, Cass., sez. un., 12 giugno 1997, n. 5303; v. poi Cass., sez. un., 10 agosto 2000, n. 561; Cass., sez. un., 18 dicembre 2001, n. 15979; Cass., sez. un., 7 marzo 2016, n. 4413).

Nel dettaglio, l’errore non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche ovvero la valutazione e l’interpretazione dei fatti storici; deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata diversa (tra le altre v. Cass., 13 giugno 2017, n. 14656); inoltre, secondo il consolidato orientamento della Cassazione (Cass., 2 ottobre 2013, n. 22569; Cass., 22 febbraio 2013, n. 4605; Cass., 21 luglio 2011, n. 16003), fuoriesce dal travisamento rilevante ogni errore che attinga la interpretazione del quadro processuale che esso denunziava, in coerenza con una scelta che deve lasciar fermo il valore costituzionale della insindacabilità delle valutazioni di fatto e di diritto della Corte di legittimità; non è idoneo, infatti, a integrare errore revocatorio l’ipotizzato travisamento, da parte della Cassazione, di dati giuridico-fattuali acquisiti attraverso la mediazione delle parti e l’interpretazione dei contenuti espositivi degli atti del giudizio, e dunque mediante attività valutativa, insuscettibile in quanto tale – quand’anche risulti errata – di revocazione (Cass., 10 luglio 2016, n. 14108; Cass., 28 maggio 2013, n. 13181).

Per quanto concerne la specifica censura avanzata nel caso di specie, il ricorrente aveva preteso di far valere come motivo di revocazione della sentenza di cassazione il fatto che uno dei membri del collegio giudicante avrebbe indebitamente omesso di astenersi, con violazione dell’art. 51 c.p.c. A questo proposito, può sicuramente richiamarsi il precedente di Cass., 8 giugno 2007, n. 13433, la quale ha chiarito che la pretesa incompatibilità del giudice, che ebbe a pronunciare sulla sentenza oggetto della domanda di revocazione, a far parte del collegio chiamato a decidere su di essa non determina nullità deducibile in sede di impugnazione, in quanto la stessa incompatibilità può dar luogo soltanto all’esercizio del potere di ricusazione, che la parte interessata ha l’onere di far valere, in caso di mancata astensione del giudice, nelle forme e nei termini di cui all’art. 52 c.p.c.

Da ultimo, si tenga presente che il ricorso per revocazione, quando diretto avverso una sentenza della Suprema Corte, va altresì soggetto al disposto dell’art. 366 c.p.c., secondo cui la formulazione dei motivi di impugnazione deve risolversi nell’indicazione specifica, chiara e immediatamente intellegibile del fatto che si assume avere costituito oggetto dell’errore e nell’esposizione delle ragioni per cui l’errore presenta i requisiti previsti dall’art. 395 c.p.c.; ne consegue che il mancato rispetto di tali requisiti espone il ricorrente al rischio di una declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione, non consentendo la valorizzazione dello scopo del processo, volto, da un lato, ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa ex art. 24 Cost., nell’ambito dei principi del giusto processo di cui all’art. 111, 2°co., Cost. e in coerenza con l’art. 6 CEDU e, dall’altro, a evitare di gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui (da ultimo, Cass., 27 settembre 2021, n. 26161).