25 Ottobre 2022

Il verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo per l’esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare

di Valentina Scappini, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, sesta sezione-3, 5 ottobre 2022, n. 28871; Pres. Amendola; Rel. Valle.

Massima: “L’art. 612 c.p.c., primo comma, può essere letto nel senso che esso consenta il procedimento di esecuzione disciplinato dalle disposizioni che lo seguono anche se il titolo esecutivo sia costituito dal verbale di conciliazione, in quanto le eventuali ragioni ostative devono essere valutate non ex post, e cioè nel procedimento di esecuzione, bensì, se esse preesistono, in sede di formazione dell’accordo conciliativo da parte del giudice che lo promuove e sotto la cui vigilanza può concludersi soltanto se la natura della causa lo consente. Dunque, in presenza di un verbale di conciliazione, cui il codice di rito attribuisce in linea di principio efficacia di titolo esecutivo, si deve ritenere che le eventuali ragioni di ineseguibilità in forma specifica dell’obbligo siano già state considerate ed escluse, ferma restando la possibilità di far valere quelle sopravvenute”.

CASO

N.L. e N.M.A. raggiungevano davanti al Tribunale di Latina, in funzione di giudice del lavoro, un accordo conciliativo costituente titolo esecutivo ex art. 185, co. 3, c.p.c.

N.L. metteva in esecuzione il verbale di conciliazione, ma N.M.A. proponeva opposizione all’esecuzione sulla scorta della pretesa che il predetto verbale non potesse fondare l’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare ex art. 612 c.p.c.

L’opposizione era rigettata dal Tribunale di Latina, tuttavia, in secondo grado, la Corte d’Appello di Roma accoglieva l’impugnazione di N.M.A., affermando che il verbale di conciliazione non poteva costituire titolo per l’esecuzione degli obblighi di fare o non fare.

N.L. impugnava per cassazione la sentenza n. 7024/2021 della Corte d’Appello di Roma con un unico motivo di ricorso, con cui denunciava la violazione degli artt. 185, 474 e 612 c.p.c., in relazione all’art. 360, co.1, n. 3 c.p.c.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, sezione sesta, ha accolto il ricorso, in quanto manifestamente fondato ex art. 375 e 380 bis c.p.c.

La Suprema Corte è arrivata a questa soluzione nonostante il consigliere relatore avesse proposto il rigetto del ricorso per manifesta inammissibilità e, comunque, infondatezza.

QUESTIONI

Sulla questione della validità del verbale di conciliazione a fungere da titolo esecutivo ex art 612 c.p.c. si è pronunciata la Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 336/2002) con una pronuncia interpretativa di rigetto della questione di costituzionalità della norma, che ha ammesso una lettura dell’art. 612 c.p.c. tale da legittimare la procedura esecutiva da esso disciplinata anche se intrapresa in forza di un verbale di conciliazione.

La Corte d’Appello di Roma, sulla scorta di sentenze della Corte di Cassazione risalenti e non seguite da altre pronunce massimate (Cass., 14/12/1994, n. 10713; Cass., 13/01/1997, n. 258), ha fatto proprio l’orientamento, non più valido, secondo cui “Il verbale di conciliazione giudiziale, pur essendo titolo esecutivo ai sensi dell’art. 185 c.p.c., idoneo all’esecuzione per le obbligazioni pecuniarie, alla esecuzione specifica ai sensi dell’art. 2932 c.c., e alla esecuzione per consegna e rilascio, non legittima alla esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, poichè l’art. 612 c.p.c., menziona quale unico titolo valido per l’esecuzione la sentenza di condanna (dovendosi intendere estensivamente con tale espressione ogni provvedimento giudiziale di condanna), in considerazione della esigenza di un previo accertamento della fungibilità e quindi della coercibilità dell’obbligo di fare o di non fare”.

Così facendo, la Corte di merito non ha colto appieno il significato dell’affermazione della Corte Costituzionale nella sentenza n. 336/2002, che così ha statuito: “Ad attestare il favore che gli interventi legislativi più recenti accordano alla conciliazione possono anche essere menzionate le norme che la disciplinano in alcuni procedimenti speciali quali quelli davanti al giudice di pace (artt. 320 e 322 c.p.c.), al giudice onorario aggiunto (L. 22 luglio 1997, n. 276, art. 13), nonché, di particolare rilievo, le norme che regolano il tentativo di conciliazione in materia di lavoro ( L. 11 maggio 1990, n. 108, art. 5, comma 1; D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63). Ritiene questa Corte che l’art. 612 c.p.c., comma 1, possa essere letto nel senso che esso consenta il procedimento di esecuzione disciplinato dalle disposizioni che lo seguono anche se il titolo esecutivo sia costituito dal verbale di conciliazione, in quanto le eventuali ragioni ostative devono essere valutate non ex post, e cioè nel procedimento di esecuzione, bensì, se esse preesistono, in sede di formazione dell’accordo conciliativo da parte del giudice che lo promuove e sotto la cui vigilanza può concludersi soltanto se la natura della causa lo consente. In presenza di un verbale di conciliazione, cui il codice di rito attribuisce in linea di principio efficacia di titolo esecutivo (art. 185, comma 2, e art. 474, comma 2, n. 1), si deve ritenere che le eventuali ragioni di ineseguibilità in forma specifica dell’obbligo siano state già considerate ed escluse, ferma restando la possibilità di far valere quelle sopravvenute”.

La Corte d’Appello di Roma, nell’accogliere l’opposizione proposta in primo grado da N.M.A., non si è confrontata con la richiamata, e sopravvenuta (rispetto alle pronunce di legittimità citate nella sentenza impugnata), sentenza della Corte Costituzionale n. 336/2002.

La Corte di merito non ha, quindi, verificato in concreto se sussistessero ragioni ostative, successive all’intervenuto accordo conciliativo, all’esecuzione coattiva di esso, ma si è limitata ad affermare l’inidoneità, per sé, del verbale di conciliazione a fungere da titolo esecutivo.

Inoltre, la Corte d’Appello non ha valutato che la conciliazione in questione fosse stata raggiunta davanti al giudice del lavoro, e, quindi, in una sede “garantita”.

La sentenza impugnata ha, pertanto, violato o falsamente applicato l’art. 612 c.p.c. e merita, dunque, di essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese di lite, essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

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