27 Settembre 2022

Nel caso in cui sia messa in discussione la comproprietà di parti comuni di un condominio la legittimazione passiva spetta a tutti i singoli partecipanti

di Francesco Luppino, Dottore in legge e cultore della materia di diritto privato presso l'Università degli Studi di Bologna Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. 6^- 2, ordinanza 21 febbraio 2020 n. 4697. Presidente P. D’Ascola – Estensore A. Scarpa

Massima:La domanda di accertamento negativo della qualità di condòmino, in quanto inerente all’inesistenza del rapporto di condominialità ex art. 1117 c.c., non va proposta nei confronti dell’amministratore del condominio ma impone, piuttosto, la partecipazione, quali legittimati passivi, di tutti i condòmini in una situazione di litisconsorzio necessario, postulando la definizione della vertenza una decisione implicante una statuizione in ordine a titoli di proprietà configgenti fra loro, suscettibile di assumere valenza solo se, ed in quanto, data nei confronti di tutti i soggetti, asseriti partecipi del preteso condominio in discussione. (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che, a fronte di una domanda di accertamento negativo dell’appartenenza ad un condominio di alcune unità immobiliari, aveva dichiarato la nullità della sentenza di primo grado, con rimessione della causa al giudice di prime cure, per non aver quest’ultimo disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condòmini)”.

CASO

La società Tizia e la società Caia, legate da un rapporto di locazione tale per cui la prima aveva locato un proprio immobile alla seconda, citavano in giudizio il condominio Sempronio nella persona del suo amministratore pro tempore, domandando al Tribunale di Messina di accertare che le unità immobiliari di proprietà della locatrice Tizia non facevano parte del condominio e che, pertanto, non dovevano essere soggette all’onere di contribuzione alle spese riguardanti la cosa oggetto di comproprietà, in quanto estranee al condominio.

Il giudice adìto decideva la controversia con sentenza, ritenendo sufficientemente integrato il contraddittorio con la sola citazione del condominio nella persona del proprio amministratore.

Invece, in seguito all’appello proposto dal condominio, la Corte d’Appello di Messina dichiarava la nullità della sentenza di primo grado rimettendo la causa al Tribunale.

Di fatto, la corte territoriale non riteneva sufficientemente integrato il contraddittorio, in quanto considerava il caso di specie come una situazione di litisconsorzio necessario che doveva ricomprendere ciascun singolo condòmino e non il solo amministratore, trattandosi di domanda di accertamento in ordine alla condominialità di parti comuni ex art. 117 c.c..

Tizia e Caia impugnavano la sentenza della corte d’Appello e proponevano ricorso per Cassazione composto da un unico motivo, nel quale sostenevano che non sussisteva alcun litisconsorzio necessario, dal momento che la loro azione trattava il tema della comproprietà di parti comuni dell’edificio ed essendo stato perciò correttamente convenuto in giudizio unicamente l’amministratore.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 4697 del 21 febbraio 2020, ha rigettato il ricorso presentato dalla società Tizia e dalla società Caia, condannando le stesse in solido tra loro a rimborsare al condominio Sempronio le spese sostenute per il giudizio di legittimità, riconoscendo, inoltre, la sussistenza, ai sensi dell’articolo 13, comma1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

QUESTIONI

La controversia giunta all’attenzione della Corte di legittimità ha ad oggetto l’accertamento negativo della qualità di condòmina della società Tizia in relazione al condominio Sempronio.

Con tale domanda i ricorrenti volevano ottenere una pronuncia che escludesse lo status di condòmina della società Tizia agli effetti della comproprietà delle parti comuni e della conseguente soggezione all’obbligo di contribuire alle spese delle medesime.

Tuttavia, gli Ermellini hanno confermato il provvedimento della corte territoriale messinese sulla scorta di un ben consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale nel caso in cui sia messa in discussione la qualità di condòmino, ossia l’appartenenza di un certo immobile o, più in generale, di un determinato bene, al complesso edilizio costituente il condominio vero e proprio, il contraddittorio non è sufficientemente integrato citando in causa il solo amministratore di condominio essendo, invece, necessario convenire in giudizio ogni singolo condòmino.

In altri termini, la domanda di accertamento negativo di tale status concerne l’esistenza di un determinato rapporto di condominialità ai sensi dell’articolo 1117 c.c., pertanto impone la partecipazione, quali legittimati passivi, di tutti i condòmini in una situazione di litisconsorzio necessario, poiché «tale accertamento o esclusione si risolve comunque in un minore o maggior diritto proporzionale di condominio in capo a coloro cui appartengono le altre unità immobiliari».

Infatti, la decisione di una simile controversia implica «una statuizione in ordine a titoli di proprietà confliggenti fra loro, suscettibile di assumere valenza solo se, ed in quanto, data nei confronti di tutti i soggetti» partecipanti alla situazione di condominio messa in discussione[1].

Inoltre, nel dirimere la controversia oggetto della sentenza in commento, gli Ermellini si sono ispirati al principio di diritto recentemente sancito dalla Cassazione a Sezioni Unite che guida casi analoghi, in base al quale «nelle controversie condominiali che investono i diritti dei singoli condòmini sulle parti comuni, ciascun condòmino ha, in considerazione della natura dei diritti contesi, un autonomo potere individuale – concorrente con quello dell’amministratore – di agire e resistere a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota»[2].

Invero, secondo il disposto dell’articolo 1131 c.c., relativo al potere di rappresentanza dell’amministratore di condominio, è vero che quest’ultimo può, e deve, essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio, ma il potere conferitogli dalla legge si limita e si esaurisce nella sola facoltà di agire e di resistere in giudizio unicamente per la tutela dei diritti sui beni comuni.

Dunque, il suddetto potere di rappresentanza dell’amministratore non ricomprende anche le azioni che incidono sulla condizione giuridica di tali beni, ovvero sul relativo diritto di comproprietà, la cui tutela o esercizio rimane in capo esclusivamente ai singoli condòmini.

In tal modo, hanno concluso gli Ermellini, si salvaguarda anche la regolare corrispondenza che sussiste tra le attribuzioni riconosciute dalla legge in capo all’amministratore, quelle che, invece, la legge riconosce in capo all’assemblea dei condòmini e, infine, la conseguente legittimazione a far valere in ambito processuale «le rispettive posizioni dominicali» di questi ultimi.

[1] Cass. civ., sez. 6 2, ordinanza 25 giugno 2018, n. 16679; Cass. civ., sez. 6 2, ordinanza 17 ottobre 2017, n. 24431; Cass. civ., sez. 6 2, ordinanza 22 giugno 2017, n. 15550; Cass. civ., sez. II, sentenza 18 aprile 2003, n. 6328; Cass. civ., sez. II, sentenza 1 aprile 1999, n. 3119.

[2] La pronuncia citata dagli Ermellini è la n. 10934/2019 la cui motivazione, in relazione ad un caso analogo a quello in esame, recita testualmente: «occorre integrare il contraddittorio nei riguardi di tutti i condòmini qualora il convenuto eccepisca la proprietà esclusiva formulando un’apposita domanda riconvenzionale volta ad ampliare il tema del decidere ed ottenere una pronuncia avente efficacia di giudicato che mette in discussione la comproprietà degli altri soggetti».

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