L’onere della prova del difetto di conformità nella vendita di beni di consumo
di Mirko Faccioli, Avvocato e Professore associato di diritto privato Scarica in PDFCass. civ., sez. II, ord. 4 luglio 2022, n. 21084 – Pres. Bellini, Rel. Trapunzano
Parole chiave:
Contratti dei consumatori – vendita di beni di consumo – difetto di conformità – onere della prova – presunzione.
Massima: “In tema di vendita di beni di consumo, la presunzione di cui all’art. 132, comma 3°, cod. cons. (vecchio testo) dev’essere interpretata nel senso che il consumatore viene esonerato dall’onere di provare che i difetti di conformità che si manifestano entro l’arco temporale coperto dalla presunzione fossero presenti al momento della consegna, ma è comunque tenuto a dimostrare l’esistenza attuale del difetto e il suo manifestarsi entro il termine di durata della responsabilità del venditore”.
[Massima non ufficiale].
Disposizioni applicate:
Artt. 132, comma 3°, cod. cons. (vecchio testo)
CASO
Pochi mesi dopo la vendita di un’automobile usata, il mezzo finisce distrutta da un incendio mentre si trova parcheggiato nel cortile dell’abitazione dell’acquirente.
Facendosi forte del verbale dei Vigili del fuoco intervenuti per spegnere l’incendio, recante la dicitura “natura elettrica, corto circuito”, il compratore conviene il giudizio la società venditrice chiedendo la risoluzione del contratto, la restituzione del prezzo e la condanna della convenuta alla rimozione, a proprie spese, del relitto della vettura incendiata. Il Tribunale adito respinge però le domande dell’attore sulla base della c.t.u. espletata nel corso del giudizio, questa avendo accertato che la causa dell’incendio non doveva ricondursi a un deficit dell’impianto elettrico della vettura, bensì ad un sinistro subito dal mezzo oppure ad un evento doloso successivo. La pronuncia di primo grado viene poi confermata dalla Corte d’Appello rilevando che l’attore, sul quale gravava il corrispondente onere probatorio, non aveva fornito adeguato riscontro né sulle reali cause dell’incendio né sull’esistenza di eventuali responsabilità in capo alla società convenuta (o a quella da quest’ultima chiamata in causa per essere tenuta indenne in caso di vittoria del compratore), l’accertamento dei Vigili del fuoco avendo valore probatorio privilegiato limitatamente ai fatti descritti, ma non in relazione alle valutazioni soggettive degli agenti accertatori, nel caso in esame, peraltro, assolutamente apodittiche e non adeguatamente supportate dagli esiti delle indagini eventualmente effettuate.
Avverso tale pronuncia l’acquirente propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, dei quali interessa in questa sede esaminare il primo, imperniato sul riparto dell’onere della prova: secondo il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe errato nell’addossare sull’attore stesso l’onere di dimostrare le cause dell’incendio e la sussistenza di eventuali responsabilità in capo alle società convenute, perché in tal modo avrebbe disatteso il principio secondo cui, all’esito dell’allegazione da parte del creditore dell’inadempimento del debitore, dovrebbe ricadere sul convenuto l’onere di fornire la contraria prova di avere esattamente adempiuto.
SOLUZIONE
Esaminando il motivo di ricorso innanzitutto sulla scorta della disciplina della vendita di diritto comune, per gli Ermellini è agevole rilevare come la Corte d’Appello si sia conformata al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il compratore che esercita le azioni edilizie di cui all’art. 1492 c.c. è gravato dell’onere di offrire la prova dell’esistenza dei vizi del bene venduto (oltre al celebre precedente di Cass., sez. un., 3 maggio 2019, n. 11748, vengono in tal senso richiamate le più recenti pronunce di Cass. 17 gennaio 2022, n. 1218; Cass. 16 novembre 2021, n. 34636; Cass. 5 ottobre 2020, 21258; Cass. 28 luglio 2020, n. 16073; Cass. 27 aprile 2020, n. 8199).
Sulla scorta della memoria integrativa depositata dal ricorrente, la Suprema Corte mette in luce che la fattispecie al suo esame doveva essere peraltro giudicata alla luce della disciplina sulla vendita di beni di consumo introdotta dal Legislatore interno in attuazione della dir. 1999/44/CE (e successive modifiche), avuto riguardo alla giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo cui il giudice nazionale, investito di una controversia cui si applica la direttiva citata, è tenuto, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto (o possa disporne su semplice domanda di chiarimenti), a verificare se l’acquirente possa essere qualificato come “consumatore”, anche se questi non ne abbia espressamente rivendicato la qualità (Corte Giust. UE 4 giugno 2015, causa C-497/13, Faber).
Appurato che le parti in causa in effetti rivestivano le qualità soggettive richieste dalla legge per l’applicazione della disciplina in discorso e rammentato che l’incendio della vettura si era verificato circa due mesi dopo la consegna, i giudici di legittimità verificano quindi come la controversia doveva essere risolta alla luce della norma contenuta nel vecchio testo dell’art. 132, comma 3, cod. cons., ratione temporis applicabile alla vicenda, secondo cui si presumono sussistenti al momento della consegna i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla stessa, a meno che detta presunzione sia incompatibile con la natura del bene o del difetto e salva sempre la possibilità del professionista di fornire la prova contraria. Anche sulla scorta di tale disciplina, applicabile d’ufficio dal giudice, l’esito del giudizio di merito sarebbe però stato di segno sfavorevole per l’attore.
Secondo un consolidato orientamento, la presunzione in esame si riferisce soltanto al momento di manifestazione del difetto di conformità e non anche alla sussistenza dello stesso: il consumatore, quindi, viene esonerato dall’onere di provare che i difetti di conformità che si manifestano entro l’arco temporale coperto dalla presunzione fossero presenti al momento della consegna, ma è comunque tenuto a dimostrare l’esistenza attuale del difetto e il suo manifestarsi entro il termine di durata della responsabilità del venditore per ribaltare su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria, ovverosia dimostrare che quando il consumatore è entrato in possesso del bene questo era conforme al contratto e che il difetto è intervenuto successivamente per una causa non imputabile al professionista medesimo (Corte Giust. UE 4 giugno 2015, causa C – 497/13, Faber; Cass. 7 febbraio 2022, n. 3695; Cass. 30 giugno 2020, n. 13148; in dottrina v., per tutti, S. Patti, Commento all’art. 129 – I, in C.M. Bianca (a cura di), La vendita dei beni di consumo. Artt. 128-135, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Padova, 2006, p. 75).
Com’è già stato evidenziato, l’onere probatorio sopra descritto non era per l’appunto stato soddisfatto dall’attore del caso di specie, il quale si era limitato a denunciare l’incendio accaduto alla propria vettura, dato puramente effettuale potenzialmente ascrivibile tanto a vizi o difetti di conformità del bene quanto a cause estranee, senza denunciare alcun difetto di conformità del mezzo acquistato quale asserita causa scatenante dell’incendio stesso.
QUESTIONI
La sentenza in commento offre un’occasione per svolgere alcune riflessioni sulla recente riforma della disciplina della vendita consumeristica dettata dagli artt. 128 ss. cod. cons. ad opera del D. lgs. 4 novembre 2021, n. 170, che ha in tal modo recepito all’interno del nostro ordinamento la nuova disciplina della vendita di beni tra professionisti e consumatori introdotta dalla dir. 2019/771/UE del 20 maggio 2019. Il novellato regime della vendita di beni di consumo, entrato in vigore il 1° gennaio 2022 con applicazione ai contratti conclusi a partire da quella data, mantiene la presunzione di sussistenza del difetto di conformità nel nuovo testo dell’art. 135 cod. cons., ma con la novità rappresentata dall’allungamento della durata della medesima da sei mesi ad un anno dalla consegna.
Se nel vigore del precedente regime alcuni reputavano troppo breve la durata semestrale prevista in precedenza (Macario, Brevi considerazioni sull’attuazione della direttiva in tema di garanzie nella vendita di beni di consumo, in Contr. e impr./Eur., 2001, 151), la nuova soluzione ha subito ricevuto le censure di chi invece considera quest’ultima una soluzione equilibrata, ora abbandonata in favore di un’opzione di smaccato ed eccessivo favore per il consumatore (Pagliantini, Contratti di vendita di beni: armonizzazione massima, parziale e temperata della Dir. UE 2019/771, in Giur. it., 2020, 223).
A dire il vero, il par. 2 dell’art. 11 della dir. 2019/771/UE consentiva di estendere ulteriormente il suddetto termine annuale a due anni, così allineando la durata della presunzione a quella della garanzia ed esonerando sempre il consumatore dall’onere di provare la sussistenza del difetto di conformità al momento della consegna. Come rilevato in dottrina, tale soluzione avrebbe soddisfatto l’obiettivo di aumentare il livello di protezione dei consumatori rispetto alla dir. 1999/44/CE di cui al 10° considerando della nuova direttiva nonché giovato alla speditezza e all’efficacia dei rimedi consumeristici, favorendo una più rapida e sicura soluzione delle controversie tra le parti, senza invero comportare un eccessivo aggravio della posizione del venditore: se da un lato è vero che per quest’ultimo può non essere sempre così agevole fornire la prova contraria, dall’altro la presunzione incontra i limiti costituiti dall’incompatibilità con la natura del bene o la natura del difetto, nozioni ampie e generiche che paiono in grado di realizzare, se correttamente interpretate, un equo contemperamento degli interessi delle parti (Faccioli, Durata della responsabilità del venditore, prescrizione dei diritti del compratore e onere della prova nella nuova disciplina italiana della vendita di beni ai consumatori (d.lgs. n. 170/2021), in Juscivile, 2022, p. 53 s.; De Cristofaro, Verso la riforma della disciplina delle vendite mobiliari b-to-c: l’attuazione della dir. UE 2019/771, in Riv. dir. civ., 2021, p. 228; Piraino, La violazione della vendita di beni al consumatore per difetto di conformità: i presupposti della c.d. responsabilità del venditore e la distribuzione degli oneri probatori, in De Cristofaro (a cura di), La nuova disciplina della vendita mobiliare nel Codice del consumo, Torino, 2022, p. 168 ss.]. D’altro canto va evidenziato che, mantenendo un termine di durata della presunzione inferiore a quello della garanzia, si ottengono due vantaggi: in primis, sollecitare il consumatore a verificare la conformità del bene al contratto in tempi più rapidi di quelli astrattamente consentiti dalla durata della garanzia, ciò che non solo assicura una migliore tutela delle sue ragioni ma risponde pure all’interesse del venditore ad una celere definizione della sorte dell’operazione; in secondo luogo, rendere più accettabile per gli Stati membri il fatto che la garanzia europea sui beni di consumo abbia una durata maggiore di quella prevista dalle normative nazionali tradizionalmente applicate ai professionisti operanti nel proprio territorio. A giustificare la scelta del nostro legislatore milita inoltre la considerazione che, quanto più si estende la durata della presunzione in discorso, maggiore si presenta il rischio che i consumatori utilizzino i beni in maniera negligente confidando sul fatto che la riconducibilità del difetto al loro comportamento non emergerà in conseguenza dell’operare della presunzione medesima (Faccioli, op. cit., p. 56).
In ogni caso rimane ferma, anche nel vigore della nuova disciplina, l’interpretazione secondo cui la presunzione in esame esonera il consumatore dall’onere di provare che il difetto di conformità fosse presente al momento della consegna, ma non dall’onere di dimostrarne l’esistenza attuale e il manifestarsi entro il termine di durata della responsabilità del venditore (Faccioli, op. cit., p. 53).
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