13 Settembre 2022

Natura, funzione e scopo dell’ordine di liberazione ex art. 560 c.p.c.

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 28 marzo 2022, n. 9877 – Pres. Vivaldi – Rel. De Stefano

Massima: “Il provvedimento ordinatorio con cui il giudice dell’esecuzione ordina la liberazione dell’immobile pignorato costituisce regola generale nelle espropriazioni immobiliari, stante l’esplicita disciplina dei casi e dei tempi nei quali è esclusa la sua emissione nei confronti del debitore e del suo nucleo familiare abitanti nel cespite staggito; l’ordine di liberazione è funzionale agli scopi del processo di espropriazione forzata e, in particolare, all’esigenza pubblicistica di garantire la gara per la liquidazione del bene pignorato alle migliori condizioni possibili, notoriamente connesse, sul mercato dei potenziali acquirenti, allo stato di immediata, piena e incondizionata disponibilità dell’immobile”.

CASO

Nell’ambito di un’espropriazione immobiliare radicata innanzi al Tribunale di Sulmona, il giudice dell’esecuzione, dopo avere nominato il custode giudiziario e prima dell’aggiudicazione, emetteva l’ordine di liberazione del bene pignorato, ravvisando, sulla base degli accertamenti peritali eseguiti, l’inopponibilità della locazione che lo riguardava ai sensi dell’art. 2923, comma 3, c.c., in quanto il canone veniva ritenuto vile, ossia inferiore di un terzo al giusto prezzo.

La conduttrice impugnava il provvedimento con opposizione agli atti esecutivi, che veniva respinta.

La sentenza di rigetto veniva gravata con ricorso per cassazione, nel quale la locataria perorava la tesi per cui solo l’aggiudicatario è legittimato a fare valere l’inopponibilità della locazione, sicché l’ordine di liberazione non poteva essere emesso prima che fosse intervenuta l’aggiudicazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione, pur avendo accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata per un’assorbente questione di carattere processuale, ossia perché il giudizio di opposizione agli atti esecutivi non si era svolto a contraddittorio integro (non avendovi partecipato i due debitori esecutati, da considerarsi litisconsorti necessari al pari del creditore procedente e di quelli intervenuti), ha, nondimeno, colto l’occasione per svolgere un’accurata ricostruzione della natura dell’ordine di liberazione disciplinato dall’art. 560 c.p.c. e delle finalità a esso sottese.

QUESTIONI

[1] La sentenza che si annota suscita interesse perché vengono illustrate con chiarezza la natura, la struttura, lo scopo e le finalità dell’ordine di liberazione di cui all’art. 560 c.p.c., che ridondano sulla disciplina a esso applicabile.

A tale proposito, i giudici di legittimità hanno evidenziato come l’istituto in questione (elaborato inizialmente dalla giurisprudenza di merito, per essere poi recepito dal legislatore – che spesso e volentieri, nel riformare il processo esecutivo, attinge alle prassi adottate presso gli uffici giudiziari più virtuosi e sensibili al suo efficientamento – con la novella del 2005) sia funzionale al conseguimento delle migliori condizioni possibili di negoziabilità sul mercato del bene: è noto, infatti, che la sua immediata, piena e incondizionata disponibilità rappresenta uno degli elementi più incentivanti all’acquisto in sede di esecuzione forzata, dal momento che elimina il rischio che l’aggiudicatario, una volta divenuto proprietario per effetto dell’emissione del decreto di trasferimento, debba intraprendere un lungo e costoso percorso per liberare l’immobile da chi lo occupa senza titolo.

L’art. 560 c.p.c., peraltro, rappresenta una delle disposizioni più tormentate e più frequentemente modificate o ritoccate nel panorama processual civilistico, sintomo del fatto che la norma sottende interessi, ragioni di tutela e scelte di politica giudiziaria difficili da contemperare, soprattutto se vi fanno da sfondo vicende assurte agli onori della cronaca.

In particolare, le più recenti innovazioni sono state apportate per regolamentare specificamente i casi e i tempi nei quali l’ordine di liberazione può essere emesso quando nell’immobile pignorato abitino il debitore esecutato e il suo nucleo familiare; queste modifiche, nel contempo, hanno reso ancora più evidente come, proprio al fine di consentire un ordinato e proficuo sviluppo delle espropriazioni immobiliari, l’emissione anticipata (rispetto alla pronuncia del decreto di trasferimento) dell’ordine di liberazione sia ormai diventata la regola, soprattutto quando l’immobile sia occupato da terzi in forza di diritti non opponibili.

Il provvedimento in parola, come osservato dai giudici di legittimità, ha natura ordinatoria e si pone in perfetta linea di continuità rispetto agli scopi del processo esecutivo, che è per sua natura diretto a sottrarre giuridicamente e materialmente il bene (rectius, il diritto) pignorato al patrimonio del debitore, onde addivenire alla sua liquidazione (ossia alla sua trasformazione in denaro) per il migliore soddisfacimento possibile delle ragioni dei creditori; un tanto nell’interesse dello stesso debitore, al quale, se dev’essere garantito il diritto di non subire abusi, dev’essere pure assicurata la possibilità di tacitare le pretese azionate nei suoi confronti nella maggiore misura possibile, onde evitare che il suo patrimonio formi oggetto di ulteriori azioni esecutive volte alla realizzazione di quanto non sia stato conseguito all’esito di quella già esperita.

Questa esigenza, cui non rimangono estranei profili di rilievo pubblicistico, fonda la peculiare potestà ordinatoria del giudice dell’esecuzione, il quale, nel dirigere il processo esecutivo, è investito di ampi poteri, anche di carattere cognitivo e delibativo in merito a questioni di diritto, la soluzione delle quali risulti indispensabile per lo sviluppo ordinato e proficuo della procedura.

La finalizzazione di quest’ultima alla tutela (anche) dell’aggiudicatario, d’altro canto, giustifica l’anticipazione degli effetti per lui favorevoli previsti dall’ordinamento e destinati a consolidarsi definitivamente con l’emissione del decreto di trasferimento: in questo senso, l’ordine di liberazione rappresenta lo strumento tipico per conseguire tale risultato, anche in virtù del superamento della sua qualificazione in termini di titolo esecutivo, suscettibile – come tale – di trovare compiuta attuazione solo all’esito di un’ulteriore azione esecutiva appositamente avviata.

A seguito della riforma introdotta nel 2016, infatti, l’ordine di liberazione previsto dall’art. 560 c.p.c. costituisce un provvedimento autoattuativo, dal momento che il custode – unico soggetto legittimato ad avvalersene – non avrà bisogno di promuovere un’esecuzione per il rilascio dell’immobile, ma potrà darvi attuazione diretta, seguendo le prescrizioni impartite dallo stesso giudice dell’esecuzione all’atto della sua emissione.

Lo stesso è a dirsi, peraltro, pure nel caso in cui debba essere eseguito l’ordine di liberazione contenuto nel decreto di trasferimento ex art. 586 c.p.c., che costituisce titolo esecutivo per l’aggiudicatario, qualora intenda procedere autonomamente per conseguire la liberazione dell’immobile (dovendo, egli sì, promuovere un’ordinaria esecuzione per rilascio, ai sensi degli artt. 605 e seguenti c.p.c.); quando, invece, sia il custode ad attivarsi in forza di esso, potranno essere impiegate le forme semplificate previste dall’art. 560 c.p.c., in virtù di quanto espressamente stabilito dal comma 6 della disposizione.

L’ordine di liberazione emesso in via anticipata, in altre parole, non diventa autonomo titolo esecutivo, idoneo a fondare una separata esecuzione per rilascio, ma resta atto del processo di espropriazione forzata immobiliare, idoneo a dispiegare i suoi effetti nei confronti di coloro che in esso sono coinvolti – compreso il terzo destinatario dell’ordine medesimo – e che, per tutelare i propri interessi, potranno reagire esclusivamente nelle forme dell’opposizione agli atti esecutivi.

Avendo, quindi, l’ordine di liberazione lo scopo di fare conseguire subito alla procedura la disponibilità del bene, anche in un tempo antecedente alla sua aggiudicazione, per rendere possibile la sua offerta in gara nelle migliori (ovvero più appetibili) condizioni possibili, ciò che risulterà inopponibile all’aggiudicatario (nel caso di specie, il contratto di locazione a canone vile) deve reputarsi tale anche nei confronti della procedura e dei creditori che vi hanno dato impulso, nel superiore interesse della salvaguardia del rituale sviluppo del processo esecutivo.

D’altra parte, considerando che l’art. 2919 c.c. stabilisce che gli atti inopponibili al creditore pignorante e ai creditori intervenuti lo sono anche nei riguardi dell’acquirente, si deduce che vi è piena corrispondenza e simmetria tra ciò che risulta opponibile al ceto creditorio e all’aggiudicatario: così, se la locazione sarà inopponibile all’aggiudicatario, dev’essere considerata tale, a tutti gli effetti, anche nei confronti della procedura.

Deve, quindi, concludersi che il giudice dell’esecuzione, nell’ambito della sua funzione di direzione del processo esecutivo, ha il potere di adottare l’ordine di liberazione, quale provvedimento tipicamente finalizzato a conseguire, per il tramite dell’attività materiale svolta dal custode, la disponibilità del bene pignorato, in presenza delle medesime situazioni di inopponibilità che potranno essere fatte valere dall’aggiudicatario e che possono essere conosciute già in sede espropriativa, sia pure in virtù di una sommaria delibazione che esplica effetti meramente endoprocedimentali.

Pertanto, vanno considerate pienamente legittime, da un lato, l’emanazione da parte del giudice dell’esecuzione e, dall’altro lato, la successiva attuazione diretta e deformalizzata da parte del custode (senza bisogno di munirsi preventivamente di un titolo esecutivo giudiziale) di un ordine di liberazione che si fondi sulla non opponibilità di un contratto di locazione a canone vile, prima che sia intervenuta l’aggiudicazione e in vista della messa in vendita dell’immobile pignorato.

Con un’altra recente sentenza (la n. 23508 del 27 luglio 2022), la Corte di cassazione ha affermato, altresì, che il giudizio di congruità del canone, per le finalità considerate dall’art. 2923, comma 3, c.c., può essere condotto utilizzando qualsiasi argomento di prova, ivi comprese le presunzioni, sicché ben può assumersi, quale punto di riferimento per l’individuazione del giusto prezzo, il contratto di sublocazione che il conduttore abbia eventualmente concluso con il terzo che occupa materialmente l’immobile pignorato, visto che la norma non impone affatto di svolgere la relativa valutazione comparativa avendo riguardo ad altri contratti con i quali sono stati concessi in locazione immobili diversi da quello pignorato.

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