L’esdebitazione riguarda anche i debiti tributari per Iva non soddisfatti
di Silvia Zenati, Avvocato e Dottore Commercialista Scarica in PDFCorte di Cassazione, sentenza n. 18124/2022, del 6 giugno 2022
Parole chiave Esdebitazione – liberazione del fallito persona fisica dai debiti residui verso i creditori concorsuali non soddisfatti – credito I.v.a. dell’Agenzia delle Entrate – applicabilità
Massima: “In tema di fallimento, l’esdebitazione del fallito di cui agli artt. 142 e 143 L. fall. è applicabile anche ai debiti IVA, non contrastando con la disciplina comunitaria (cd. “Sesta Direttiva”), in materia di sistema comune di imposta sul valore aggiunto”.
Disposizioni applicate artt. 142 e 143 l.fall. – art. 4, par. 3, TUE – artt. 2 e 22 Direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977
La controversia che ha dato luogo alla pronuncia in commento trae origine da una cartella di pagamento per crediti IVA. di natura concorsuale rimasti insoddisfatti all’esito della procedura fallimentare aperta a carico del contribuente, socio accomandatario della fallita (e fallito in proprio):la predetta persona fisica aveva poi ottenuto un decreto di esdebitazione in forza del quale era stato liberato dal complesso dei debiti residui (tra cui anche alcuni di natura fiscale) nei riguardi dei creditori concorsuali rimasti insoddisfatti dalla liquidazione fallimentare. Nondimeno, l’Agenzia delle Entrate procedeva a richiedere i versamenti dei tributi, sostenendo che la pretesa erariale non potesse ritenersi pregiudicata dall’operare dell’esdebitazione.
Nel frattempo la Corte adita chiedeva con ordinanza alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi sul seguente quesito pregiudiziale: “L’articolo 4, paragrafo 3, TUE e gli articoli 2 e 22 della sesta direttiva 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, devono essere interpretati nel senso che essi ostano all’applicazione, in materia di imposta sul valore aggiunto, di una disposizione nazionale che prevede l’estinzione dei debiti nascenti dall’IVA in favore dei soggetti ammessi alla procedura di esdebitazione disciplinata dagli artt.142 e 143 del R.D. n.267/1942”. La Corte di Giustizia si esprimeva sul tema generale della compatibilità dell’esdebitazione ex art. 142 L. fall. con il diritto dell’unione in materia di debiti IVA con sentenza in data 16 marzo 2017 (causa C-493/15), confermando la piena adattabilità dell’istituto nazionale al diritto unionale e, segnatamente, escludendo che l’esdebitazione s’infranga nell’art. 4, par. 3, TUE e negli artt. 2 e 22 della Direttiva 77/388/CEE, cd. “Sesta Direttiva”, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari e di sistema comune di imposta sul valore aggiunto.
In particolare, nella citata sentenza si legge che «la procedura di esdebitazione di cui trattasi nel procedimento principale (ovvero quella disciplinata agli artt. 142 e ss. l.fall., n.d.r.) è assoggettata a condizioni di applicazione rigorose che offrono garanzie per quanto riguarda segnatamente la riscossione dei crediti IVA e che, tenuto conto di tali condizioni, essa non costituisce una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell’IVA e non è contraria all’obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell’IVA nel loro territorio nonché la riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione».
La Corte di Cassazione ha aderito a tale ragionamento, sostenendo che i requisiti oggettivi e soggettivi ai quali l’ordinamento giuridico subordina la liberazione dai debiti concorsuali non soddisfatti in sede fallimentare risultano talmente stringenti da escludere, in radice, ogni contrasto con l’obbligo per gli Stati membri di garantire, sempre e comunque, un prelievo integrale del tributo armonizzato; cosicché «l’istituto dell’esdebitazione risulta pienamente compatibile con il diritto dell’unione europea in materia di debiti IVA”.
Inoltre, evidenziano gli Ermellini, nell’istituto dell’esdebitazione, così come disciplinato dagli artt. 142 e ss. l.fall., rientrano «tutte le obbligazioni derivanti da rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa», ivi compresi, dunque, «ab implicito, ma inequivocabilmente … anche i debiti tributari e le correlate sanzioni»; e ciò in quanto, da un lato, «nel novero ristretto delle esclusioni dall’efficacia liberatoria del beneficio sono annoverati unicamente gli obblighi di mantenimento e alimentari, i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale, le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario non accessorie dei debiti estinti (non anche tutte le sanzioni in quanto tali), le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all’esercizio d’impresa» e, dall’altro lato, «non si fa menzione dei rapporti tributari, i quali d’altronde sono certamente comprimibili, sol che si consideri che nel contesto della concorsualizzazione dei debiti essi si mostrano sia falcidiabili (ex art. 160, c.2, L. fall.), sia transigibili (ex art. 182 ter L. fall.)».
Da ultimo, ed a conclusione del proprio ragionamento, la Suprema Corte ha ricordato, in maniera assolutamente pertinente, che l’esdebitazione risponde, altresì, «alla rilevante esigenza, avvertita in misura crescente in ambito unionale, di consentire al debitore, svincolato dai debiti pregressi (c.d. discharge), di ripartire e riproporsi nella società (c.d. fresh restart), senza dover scontare vita natural durante un’insormontabile limitazione nel reinserimento nel circuito sociale ed economico in ragione di debiti rimasti insoluti».
Esigenza che, non a caso, trova, oggigiorno, la sua esplicita consacrazione nel testo dell’art. 20, par. 1, Direttiva (UE) 2019/1023 – secondo cui «gli Stati membri provvedono affinché l’imprenditore insolvente abbia accesso ad almeno una procedura che porti all’esdebitazione integrale» – e la cui concreta attuazione rischierebbe di essere evidentemente frustrata laddove si pretendesse di dar luogo ad un’ingiustificata limitazione operativa per i debiti concorsuali di natura tributaria rimasti insoddisfatti all’esito della procedura fallimentare aperta a carico del contribuente.
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