La società è responsabile per i vantaggi tributari ottenuti tramite l’uso di meccanismi illeciti per l’impiego di manodopera
di Dario Zanotti, Avvocato Scarica in PDFCass. pen., Sez. III, sentenza del 28 aprile 2022, n. 16302
Parole chiave: Responsabilità amministrativa persone giuridiche – reati tributari.
Massima: “L’utilizzo di fatture per dichiarare operazioni inesistenti fa attivare la responsabilità della società ai sensi dell’art. 25-quinquiesdecies D.Lgs. n. 231 del 2001 laddove, oltre ad essere accertato il reato presupposto, sia altresì accertata la presenza di chiari vantaggi fiscali derivanti dalla commissione del medesimo reato.”
Disposizioni applicate: Art. 2 D.Lgs. 74/2000; artt. 5, lett. a), 6, lett. a), 25-quinquiesdecies D.Lgs. 231/2001
Nel caso di specie, alcuni soggetti apicali di Beta S.p.A. (secondo la definizione di cui all’art. 5, lett. a, del D.Lgs. 231/2001), pur avendo quest’ultima adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, avrebbero posto in essere dichiarazioni fraudolente mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, facendo ottenere a Beta un consistente vantaggio patrimoniale per IVA detraibile.
La Cassazione, con la sentenza in esame, fornisce un esempio degli elementi che occorre accertare ai fini della responsabilità della persona giuridica per reati tributari ai sensi dell’art. 25-quinquiesdecies del D.Lgs. 231/2001 (entrato in vigore il 30 luglio 2020).
In breve, nel corso dei due gradi di merito, è emerso che:
(i) Beta, attraverso la stipulazione di contratti che avevano la forma giuridica dell’appalto, ma che non sarebbero stati genuini, avrebbe azionato il diritto alla detrazione dell’IVA sulla base di un articolato meccanismo;
(ii) tale meccanismo sarebbe consistito nel pagamento di fatture emesse da un consorzio (appaltatore) per i finti appalti di opere e servizi al fine di poterne scaricare l’importo dell’IVA;
(iii) a propria volta, il consorzio avrebbe scaricato l’IVA da fatture di altre cooperative consorziate che assumevano i lavoratori, i quali però ricevevamo di fatto istruzioni direttamente da Beta. A tal proposito il provvedimento impugnato ha posto in evidenza la tendenziale stabilità dei lavoratori impiegati, attraverso l’inquadramento in cooperative (definite “serbatoi di manodopera”), cui i lavoratori erano, di volta in volta, associati non in relazione a modifiche sostanziali del rapporto di lavoro, sempre con Beta, ma per esigenze gestionali del sistema criminoso (ad esempio: dopo avere accumulato un debito tributario significativo, la cooperativa veniva liquidata e sostituita da un’altra, che assorbiva i medesimi lavoratori, che a propria volta mantenevano il medesimo impiego presso Beta, che rimaneva così indifferente, sul piano operativo, alla messa in liquidazione a rotazione delle sue fornitrici di manodopera);
(iv) come sopra anticipato, questi ultimi consorzi, che avrebbero dovuto versare allo Stato l’IVA, dopo qualche anno tuttavia cessavano l’attività, rimanendo in debito verso l’erario, che è risultato impedito nel recupero dell’imposta, con conseguente accollo dell’evasione fiscale alla collettività.
L’accertamento della non genuinità del meccanismo in forza del quale venivano emesse le fatture con IVA da detrarre avrebbe così comportato la commissione da parte della società del reato di cui all’art. 2 D.Lgs. 74/2000.
Come noto, tuttavia, ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. 231/2001, è richiesto che la responsabilità delle persone giuridiche sussista solo se e nella misura in cui i soggetti che hanno commesso il reato abbiano agito nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso, mentre l’ente non risponde se gli autori del reato hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.
Nel caso di specie, la Cassazione ha però ritenuto che fosse accertato anche come il meccanismo non solo fosse stato congegnato affinché Beta fruisse dei vantaggi sostanziali di un rapporto di lavoro subordinato senza assumersene gli oneri, ma anche che ciò consentisse in concreto a Beta di ricevere prestazioni di lavoro con un costo molto ridotto. L’operazione fraudolenta aveva così permesso a Beta di applicare tariffe “fuori mercato”.
In conclusione, la sussistenza del reato presupposto e la presenza di chiari vantaggi fiscali derivanti dalla commissione del medesimo reato, rendono la società responsabile ai sensi dell’art. 25-quinquiesdecies D.Lgs. 231/2001.
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