31 Maggio 2022

Riduzione del capitale per perdite e quantificazione del danno nell’azione di responsabilità promossa dal curatore contro gli amministratori

di Sofia Mansoldo, Assegnista di ricerca in Diritto Commerciale presso l’Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass. civ., sez. I, 10 febbraio 2022, n. 4347 – ord. – Pres. Scaldaferri – Rel. Vannucci

Parole chiave Società di capitali – Società a responsabilità limitata – Fallimento – Amministratori – Azione di responsabilità promossa dal curatore nei confronti degli amministratori – Perdita del capitale – Violazione del divieto di compiere nuove operazioni – Quantificazione del danno risarcibile.

Massima: “Lo scioglimento della società si verifica quando la perdita di esercizio di consistenza superiore al terzo del capitale determina la riduzione di questo al di sotto dell’ammontare minimo e non quando la perdita di capitale, pur determinando la riduzione dello stesso al disotto del minimo stabilito dalla legge, sia pari o inferiore al terzo del capitale medesimo”.

Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore ex art. 146, co. 2, l.fall. contro l’amministratore che abbia violato il divieto di compiere nuove operazioni dopo la riduzione del capitale per perdite al di sotto del minimo legale, il giudice, nella quantificazione del danno, può ricorrere al criterio equitativo della differenza tra attivo e passivo accertati in sede fallimentare, temperato dalla espunzione da tale differenza del passivo formatosi successivamente al verificarsi dello scioglimento della società, a condizione che il ricorso a tale criterio sia logicamente plausibile e che l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che impediscono l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore.

Disposizioni applicate artt. 2446, 2447; 2448, co. 1, n. 4; 2449 c.c., 2496, 2497 (nel testo anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. 7 gennaio 2003, n. 6) c.c.; art. 146, co. 2, l.fall.

CASO

Il Tribunale di Salerno, accertato che l’amministratore e socio unico di una società a responsabilità limitata, poi fallita, in violazione dell’art. 2449 c.c. (vecchio testo, applicabile al caso di specie), aveva compiuto nuovi atti di impresa dopo il verificarsi della causa di scioglimento per riduzione del capitale per perdite al di sotto della misura minima prevista dalla legge (art. 2448, co. 1, n. 4, c.c.), condannava lo stesso amministratore a risarcire alla curatela il danno derivato da tale violazione. La Corte di Appello di Salerno confermava l’accertamento della violazione da parte dell’amministratore dell’obbligo di astenersi dall’intraprendere nuove operazioni ex art. 2449 c.c., rideterminando, tuttavia, il danno da risarcire.

L’amministratore propone ricorso per cassazione lamentando, in particolare, che le perdite non avevano determinato lo scioglimento della società ex art. 2448, co. 1, n. 4, c.c., con conseguente insussistenza della responsabilità per il compimento di nuove operazioni, e che, inoltre, nell’azione di responsabilità, il curatore aveva mancato di dimostrare l’esistenza del nesso di causalità tra il danno e la mala gestio dell’amministratore.

SOLUZIONE

La sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Corte di Appello di Salerno, che è chiamata a decidere secondo i seguenti principi di diritto:

«L’art. 2448, comma 1, n. 4), c.c. (nel testo anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, ratione temporis applicabile al caso di specie), che prevede lo scioglimento della società di capitali “per la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, salvo quanto è disposto dall’art. 2447”, si interpreta nel senso che tale evento: si verifica solo quando la perdita di esercizio di consistenza superiore al terzo del capitale determina la riduzione di questo al di sotto del minimo stabilito dalla legge (art. 2327 c.c., per la società per azioni; art. 2474 c.c. per la società a responsabilità limitata); non si verifica quando la perdita di capitale, pur determinando la riduzione di questo al di sotto del minimo stabilito dalla legge, sia pari o inferiore al terzo del capitale medesimo».

«Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore di fallimento ai sensi dell’art. 146, comma 2, l. fall. contro l’ex amministratore di una società, poi fallita, che abbia violato il divieto di compiere nuove operazioni sociali dopo l’avvenuta riduzione, per perdite, del capitale sociale al di sotto del minimo legale (art. 2449 c.c., nel testo anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, ratione temporis applicabile al caso di specie), il giudice, ove, nella quantificazione del danno risarcibile, si avvalga, ricorrendone le condizioni, del criterio equitativo della differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, temperato dalla espunzione da tale differenza del passivo formatosi successivamente al verificarsi dello scioglimento della società, deve indicare le ragioni per le quali, da un lato, l’insolvenza sarebbe stata conseguenza delle condotte gestionali dell’amministratore e, dall’altro, l’accertamento del nesso di causalità materiale tra queste ultime e il danno allegato sarebbe stato precluso dall’insufficienza delle scritture contabili sociali; e ciò sempre che il ricorso a tale criterio equitativo sia, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile e, comunque, l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo».

QUESTIONI

Con la pronuncia in esame la Suprema Corte affronta, in prima battuta, il tema della riduzione del capitale per perdite e della relativa causa di scioglimento, cui faceva seguito, prima della riforma del diritto societario del 2003, ai sensi dell’art. 2449 c.c., il dovere degli amministratori di astenersi dal compiere nuove operazioni (L. Di Brina, La responsabilità per le nuove operazioni successive allo scioglimento della s.p.a., Milano, 1997, e F. Devescovi, Nuove operazioni e responsabilità degli amministratori, Padova, 1997). Come noto, la riforma del diritto societario del 2003, recependo il prevalente orientamento giurisprudenziale emerso in ordine all’interpretazione dell’art. 2449 c.c. (vecchio testo), ha sostituito il rigido divieto di nuove operazioni con il più elastico standard della gestione conservativa ex art. 2486, co. 1, c.c.

Nell’ottica della sentenza impugnata, qualsivoglia riduzione del capitale sociale tale da portarlo al di sotto del minimo legale, a prescindere dalla sua misura, comporta lo scioglimento della società, imponendo all’amministratore di adottare una delle iniziative previste dall’art. 2447 c.c. e di astenersi dal compiere nuove attività d’impresa ai sensi dell’art. 2449 c.c. Con la conseguenza che l’amministratore è responsabile per le operazioni compiute dopo lo scioglimento della società per riduzione del capitale al di sotto del minimo legale per effetto di perdite inferiori a un terzo.

Nella prospettiva della Suprema Corte, l’interpretazione dell’art. 2448, co. 1, n. 4, c.c. non può prescindere dall’intero contenuto dell’art. 2447 c.c., così che fino a quando la perdita di esercizio si contiene entro i limiti del terzo della misura di capitale scelta dai soci al momento in cui tale evento si verifica, anche se tale misura è quella minima imposta dalla legge per il modello societario adottato, non vi è obbligo per gli amministratori di convocare senza indugio l’assemblea per l’adozione di una delle misure previste dall’art. 2447 c.c. La Cassazione, in linea con l’orientamento dottrinale più condiviso (v., ex multis, G. Tantini, Il capitale inesistente, in Giur. comm., 1975, II, 781; R. Rordorf, La responsabilità degli amministratori di s.p.a. per operazioni successive alla perdita del capitale, in Società, 2009, 278; Id., Perdita del capitale e responsabilità per nuove operazioni, in Società, 1992, 1486; R. Nobili, M.S. Spolidoro, La riduzione del capitale, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo, G.B. Portale, VI, 1, Torino, 1993, 373; G. Niccolini, Scioglimento, liquidazione ed estinzione della società per azioni, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo, G.B. Portale, VII, 3, Torino, 1997, 302) e con parte significativa della giurisprudenza di merito (v., ad esempio, Trib. Napoli, 20 maggio 1986, Società, 1986, 1011; Trib. Roma, 3 luglio 1989, Riv. not., 1990, 217; Trib. Bologna, 26 giugno 1990, in Società, 1990, 1509), stabilisce che non ogni riduzione del capitale al di sotto del minimo provoca lo scioglimento della società, ma solo la perdita di esercizio superiore al terzo del capitale e incidente sull’ammontare minimo.

Con la pronuncia in commento la Cassazione si esprime, altresì, sulla dibattuta questione dell’individuazione del danno risarcibile e del relativo criterio di liquidazione nelle azioni di responsabilità promosse nei confronti degli amministratori per aver tenuto un comportamento contrario a quello imposto dalla legge al verificarsi di una causa di scioglimento della società.

La  sentenza impugnata stabiliva che, in caso di azione di responsabilità ex art. 146 l.fall., il curatore è tenuto a dimostrare quantomeno il danno e il nesso di causalità tra esso e la mala gestio dell’amministratore e che, se l’azione di responsabilità trova fondamento nel divieto di intraprendere nuove operazioni ai sensi dell’art. 2449 c.c., non è giustificata la liquidazione del danno in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati in sede fallimentare, non essendo configurabile l’intero passivo come conseguenza delle nuove operazioni compiute dall’amministratore, potendosi ricondurre parte di tale passivo a perdite derivate da operazioni compiute in epoca anteriore a quella in cui si sarebbero dovute adottare le iniziative di cui agli artt. 2447 e 2448 c.c.

Secondo la Suprema Corte, quanto stabilito dalla sentenza impugnata è conforme ai principi sviluppati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., SS.UU., 6 maggio 2015, n. 9100, in Giur. comm., 2015, II, 643, con commenti di A. Bassi, G. Cabras, M. Cian, S. Fortunato, D. Galletti, A. Jorio, P. Montalenti, G. Racugno, R. Sacchi, nell’ambito della tavola rotonda Differenza tra attivo e passivo e quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori), secondo cui nell’azione di responsabilità promossa dal curatore ex art. 146 l.fall. la mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili, anche se addebitabile all’amministratore, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato nella differenza tra attivo e passivo accertati in sede fallimentare (c.d. criterio del deficit fallimentare), potendo tale criterio essere impiegato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne ricorrano le condizioni, sempre che il ricorso ad esso sia, in ragione alle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile e, comunque, l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che non hanno consentito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore.

Tali principi sono stati ribaditi anche con riguardo all’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento contro l’amministratore di una società, poi fallita, che abbia violato il divieto di compiere nuove operazioni dopo l’avvenuta riduzione del capitale sociale per perdite al di sotto del minimo legale, dovendo il giudice, ove nella quantificazione del danno risarcibile si avvalga, ricorrendone le condizioni, del criterio equitativo del deficit fallimentare, indicare le ragioni per le quali, da un lato, l’insolvenza sarebbe stata conseguenza delle condotte dell’amministratore e, dall’altro, l’accertamento del nesso di causalità tra queste ultime e il danno allegato sarebbe stato precluso dall’insufficienza delle scritture contabili.

In merito, è doveroso segnalare che il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, tra le altre cose, ha definito i criteri di quantificazione del quantum debeatur nelle azioni di responsabilità esercitate nei confronti degli amministratori ex art. 2486 c.c. L’art. 378 CCII, rubricato “Responsabilità degli amministratori”, entrato in vigore il 16 marzo 2019, ha aggiunto un terzo comma all’art. 2486 c.c., secondo cui «quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’articolo 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. Se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell’irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura» (v., per tutti, N. Abriani, A. Rossi, Nuova disciplina della crisi d’impresa e modificazioni del codice civile: prime letture, in Società, 2019, 407).

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