La collazione presuppone l’esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere
di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDFCassazione civile sez. II, 21 dicembre 2021, n. 41132 – DI VIRGILIO – Presidente – CRISCUOLO – relatore.
COMUNIONE, COLLAZIONE E DIVISIONE EREDITARIA
(C.c. artt. 724, 737, 1415)
Massima: “La collazione presuppone l’esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere, mentre, se l’asse è stato esaurito con donazioni o con legati, o con le une e con gli altri insieme, viene meno un “relictum” da dividere, sicché non vi è luogo a divisione e, quindi, a collazione che non potrebbe essere invocata neppure per effetto dell’eventuale azione di riduzione che mira unicamente a far ottenere al legittimario, titolare di un diritto proprio, riconosciutogli dalla legge, l’integrazione della quota di riserva spettantegli e non già la costituzione di una comunione tra coeredi”.
CASO
La causa riguardava una controversia sorta tra fratelli in merito alla comunione ereditaria. Il padre Gu.di.Br.Gu. con testamento olografo datato 3 febbraio 2000 trasferiva ogni sua proprietà solo alla figlia E., adducendo che tale sua scelta fosse giustificata da un’esigenza di uguaglianza tra fratelli, avendo gli altri fratelli già ricevuto in vita delle donazioni da parte del de cuius, provvedendo con lo stesso testamento a revocare la dispensa da collazione che connotava le stesse donazioni. Ciò premesso, G.d.B.A. e G.d.B.G. convenivano in giudizio la sorella E. ritenendo che le donazioni ricevute in vita dal proprio padre non dovessero essere considerate donazioni in quanto oggetto, seppur in parte, di un corrispettivo in denaro e perciò, tenuto conto della reale natura dei rapporti intercorsi con il padre e delle scritture private a latere da cui si evinceva la natura simulata delle donazioni, lamentavano la lesione delle proprie quote di riserva chiedendo, di conseguenza, al tribunale di Verona la riduzione delle disposizioni testamentarie in favore della sorella, previo accertamento della simulazione relativa ai contratti di donazione. La sorella, per contro, chiedeva che fossero ridotte e sottoposte a collazione le donazioni effettuate in favore dei fratelli, posto che la dispensa inizialmente contenuta negli atti di donazione era stata successivamente revocata nel testamento e posto che i fratelli avrebbero ricevuto ulteriori donazioni indirette dal padre anche per effetto del conferimento nella società Regina S.r.l., facente capo agli attori, dell’azienda appartenuta al padre.
Il Tribunale di Verona rigettava sia la domanda di simulazione degli atti di donazione in favore degli attori che quella di accertamento dell’invalidità della revoca della dispensa da collazione contenuta nel testamento. Rigettava altresì la domanda della convenuta di accertamento che il conferimento nella società Regina S.r.l. dell’azienda alberghiera paterna fosse una donazione indiretta, e dichiarava aperta la successione testamentaria sui beni del de cuius, essendo erede la convenuta, rimettendo la causa in istruttoria per il proseguo.
Avverso tale sentenza gli attori proponevano appello principale. La Corte d’Appello di Venezia, chiamata a pronunciarsi, condividendo le posizioni del Tribunale, riteneva infondata la domanda di simulazione in base all’applicazione dell’art. 1415 c.c., in più riconosceva la possibilità per la convenuta di portare in collazione le donazioni ricevute dai fratelli, diritto che sarebbe venuto meno ove si fosse accertata la simulazione, riconosceva altresì la possibilità per il donante, anche con un successivo testamento, di revocare la dispensa da collazione disposta con una precedente donazione.
Così i fratelli G.d.B.A. e G.d.B.G proponevano ricorso per la cassazione della sentenza.
SOLUZIONE
I ricorrenti lamentavano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1415 c.c. nell’avere la Corte di Appello ritenuto inopponibile alla convenuta la simulazione delle donazioni effettuate dal de cuius agli attori. La Corte d’Appello avrebbe cioè erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie de qua il disposto dell’art. 1415 c.c. attribuendo per errore alla convenuta la qualità di terza acquirente in buona fede, come tale insuscettibile di essere pregiudicata dall’accertamento della natura (parzialmente) simulata delle donazioni ricevute dai ricorrenti. In particolare si sostiene che G.d.B.E., in quanto erede testamentaria e, quindi, successore universale del donante, non possa essere considerata terza rispetto alla domanda di simulazione posta in essere dagli attori ma, viceversa, debba essere considerata come parte, in quanto succeduta al donante. Inoltre, data la conferma da parte del Giudice di secondo grado della sentenza del Tribunale di Verona con cui si escludeva che gli attori potessero vantare a loro volta la qualità di eredi testamentari del de cuius, escludendo altresì che si fosse aperta la successione legittima sui beni non espressamente contemplati in testamento, si riteneva per questi motivi non invocabile la collazione.
La Corte di Cassazione accoglie il primo motivo del ricorso principale ritenendolo fondato, dichiarando inammissibili tutti gli altri motivi e rigettando i ricorsi incidentali.
Il Giudice di legittimità in particolare sottolinea come la successione del de cuius risulti essere regolata dal testamento olografo pubblicato il 29 agosto 2007, il cui contenuto deve essere interpretato nel senso che l’unica erede testamentaria è la convenuta, potendo gli attori vantare unicamente la qualità di legatari. Di conseguenza non ricorrerebbe una situazione di comunione ereditaria tra i germani G.d.B. il che precluderebbe la stessa possibilità di invocare l’istituto della collazione, posto che l’art. 737 c.c. presuppone che l’istituto sia applicabile tra i coeredi che concorrono alla successione, ipotesi questa da escludere. Istituto della collazione che non potrebbe essere rimesso in gioco neanche per effetto dei diversi esiti che potrebbero avere le domande di riduzione reciprocamente proposte. Infatti, si sottolinea come in caso di accoglimento dell’azione di riduzione avanzata dalla convenuta quest’ultima conserverebbe la qualità di unica erede, e potrebbe tutt’al più aggredire le donazioni compiute in favore dei fratelli, nei limiti di quanto necessario ad assicurare la reintegra della quota di riserva lesa, ma senza poter fare affidamento anche sulla più ampia portata recuperatoria della collazione. Nel caso invece di accoglimento dell’azione di riduzione degli attori, questi, una volta imputata alla loro quota di riserva le donazioni ricevuta ex art. 564 c.p.c., comma 2, conseguirebbero si la qualità di coeredi, ma nei limiti necessari ad assicurare la reintegra della quota di legittima e senza che alla convenuta sia dato invocare la collazione delle donazioni, già destinate per legge a dover comporre in parte la quota di riserva dei legittimari lesi, non potendo quindi in tal modo andare ad incrementare la massa comune, che è destinata, nei limiti della lesione, a dover essere ripartita tra l’erede testamentaria ed i legittimari.
Perciò alla luce dell’assetto successorio generato dalla previsione testamentaria, risulta esclusa in radice la stessa operatività della collazione, e quindi è irrealizzabile quella vicenda acquisitiva che, nella prospettiva del giudice di appello, fonderebbe l’acquisto in buona fede della convenuta tale da giustificare la regola dell’inopponibilità di cui all’art. 1415 c.c.
QUESTIONI
La sentenza qui esaminata porta alla luce alcune questioni giuridiche che toccano, su più fronti, la comunione ereditaria, l’istituto della collazione e la divisione ereditaria.
Anzitutto con la morte del testatore, i beni relitti vengono acquistati pro quota dagli eredi, tra i quali si forma una comunione ereditaria soggetta alla disciplina generale di cui agli artt. 1110 e ss c.c. Tale comunione, che potrebbe protrarsi anche a tempo indeterminato, si scioglie, previa domanda da parte di un coerede, con la divisione, atto mediante il quale ciascuno dei condividenti passa dalla titolarità di una “pars quota” alla titolarità di una “pars quanta” di pari valore, ottenendo l’assegnazione di uno o più beni determinati in proprietà esclusiva a fronte della quota di comproprietà vantata sulla massa indistinta. È bene però ricordare, come sottolinea un’autorevole dottrina, che delle quattro forme di divisione previste dal nostro legislatore – divisone giudiziale, contratto di divisione, c.d. atti diversi dalla divisione, divisione testamentaria – quest’ultima è quella nella quale il termine “divisione” non viene assunto nel significato ordinario di scioglimento della comunione. L’accettazione dell’eredità, infatti, avrebbe come effetto quello dell’acquisto immediato dei singoli cespiti da parte degli istituiti con la conseguenza di escludere, rispetto ai beni assegnati, il sorgere di una comunione ereditaria. Se la giurisprudenza risalente e parte della dottrina[1] tentavano di ovviare a tale inconveniente ricorrendo ad una finzione, ammettendo cioè che la massa di beni da dividere si venisse a trovare per un istante ideale in comunione fra gli eredi, la dottrina più recente[2] ha ritenuto che la preesistente comunione non rappresenti un carattere essenziale della divisione. Ciò che rileva è la funzione distributivo-attributiva, comune anche alla divisione ordinaria. La divisione operata dal testatore è tale solo in senso lato, quale mezzo diretto non già a sciogliere una comunione, bensì a realizzare la distribuzione a più soggetti di determinati beni facenti parte di un unico patrimonio. Tra le questioni inerenti alla divisione ereditaria, di particolare interesse risulta quella del rapporto intercorrente tra donazioni realizzate in vita dal de cuius in favore di suoi eredi (se figli, loro discendenti o coniuge del disponente) e successiva divisione del suo asse ereditario, con particolare attenzione all’istituto della collazione. Premessa la possibilità di effettuare donazioni in favore di futuri coeredi, l’istituto della collazione ex art. 737 ss. c.c. impone che alla morte del donante tali soggetti se, si ripete, ricompresi nelle categorie indicate dall’art. 737 c.c., siano tenuti a conferire ai coeredi ricompresi nelle medesime categorie ciò che hanno ricevuto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati. La ratio dell’istituto è stata variamente ricostruita dalla dottrina. Tradizionalmente (POLACCO, Delle successioni , Milano-Roma, 1937;AZZARITI, Le successioni e le donazioni, Napoli, 1990) il fondamento dell’obbligo di conferire quanto ricevuto in vita veniva fatto coincidere con la volontà del de cuius, che sarebbe diretta a garantire uguali attribuzioni ai suoi discendenti. Secondo questa ricostruzione, dunque, la collazione sarebbe istituto necessario a ripristinare la par condicio tra i coeredi, compromessa durante la vita del de cuius solo a causa di contingenti esigenze che avrebbero determinato l’insorgere della necessità di effettuare attribuzioni gratuite in loro favore. La dottrina più moderna, discostandosi dalla predetta impostazione soggettivistica, ha individuato nella legge l’unica fonte dell’obbligo in commento, arrivando tuttavia a diverse conclusioni sul fondamento dell’istituto. Alcuni autori (CASULLI, Collazione delle donazioni, in Noviss Dig. It, III, Milano, 1949), partendo dal condiviso fondamento oggettivo, ne individuano la ratio in un principio di uguaglianza tra i coeredi, che sarebbe compromesso qualora, mancando l’istituto della collazione, il coerede donatario potesse ritenere, oltre alla quota spettantegli sull’asse ereditario anche la liberalità già ricevuta (tesi criticata rilevando che il principio di uguaglianza non può considerarsi applicabile a tutte le successioni, ben potendo i coeredi, ad esempio, essere chiamati in quote diverse). Altra tesi diffusamente sostenuta (N. COVIELLO, Delle successioni. Parte generale, Napoli, 1935; MESSINEO, Manuale di Diritto Civile e Commerciale, III, Milano, 1953) è quella della c.d. “comproprietà familiare”, secondo cui ciascun familiare avrebbe la medesima aspettativa sul patrimonio del de cuius, che alla morte di quest’ultimo si tradurrebbe in un diritto all’uguale compartecipazione sul suo asse ereditario (confutata rilevando un fondamento morale più che giuridico). La tesi che parrebbe prevalente, partendo dalla qualificazione delle donazioni come “anticipazioni sulla successione”, individua quale fondamento dell’istituto della collazione una presunzione, ovverosia quella secondo cui il de cuius, disponendo in vita in favore del coniuge o dei discendenti, avrebbe in realtà voluto compiere delle anticipazioni sulla sua futura successione. La collazione consente dunque di ottenere che il coerede donatario, alla morte del donante, imputi al totale di sua spettanza l’acconto già ricevuto (FORCHIELLI E ANGELONI, Della divisione, Art. 713-738, in Comm. Cod.civ., a cura di SCIALOJA E BRANCA, Roma, 2000; BARBERO, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, Torino, 1965; CANNIZZO, Le successioni-Divisione, a cura di CENDON, Torino,2000). Questione di centrale rilevanza nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale è quella della compatibilità tra mancanza di relictum e collazione. È discusso cioè se possa avere luogo la collazione anche quando manchi un relictum, vale a dire quando il de cuius abbia esaurito i suoi beni donandoli in vita o legandoli. In altre parole, l’esistenza di un relictum può considerarsi presupposto indefettibile dell’istituto della collazione? Dottrina e giurisprudenza risalenti[3] sul punto hanno affermato che, se l’asse è stato esaurito con donazioni e/o legati, cosicchè manchi un relictum, non vi sarebbe divisione e di conseguenza neanche collazione, arrivando ad escludere la collazione anche quando il relictum sia di modico valore. Perciò la collazione avrebbe luogo solo ove vi sia un asse ereditario da dividere tra gli eredi. Al contrario, un altro orientamento dottrinale[4] riteneva invece che la collazione potesse aver luogo anche senza la presenza di relictum. Tale secondo orientamento pare condiviso anche da una nota sentenza della Corte di Cassazione[5], ove si legge che l’obbligo alla collazione sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione e diviene operante a seguito dell’accettazione dell’eredità, con la conseguenza che i beni donati concorrono alla formazione della massa ereditaria, la quale deve dividersi tra i soggetti tenuti alla collazione. Non avrebbe rilevanza l’assenza di un relictum ereditario da dividere, potendo una comunione derivare soltanto dalla collazione delle donazioni. Il coerede donatario sarebbe dunque tenuto a conferire quanto ricevuto dal de cuius a prescindere dalla sussistenza di ulteriori beni relitti, giacché se, da un lato, è vero che la collazione è istituto proprio della divisione ereditaria e questa presuppone la sussistenza di una massa da dividere, è parimenti veri che la comunione ereditaria potrebbe essere composta anche esclusivamente dai beni conferiti.
Oggi la Cassazione[6] sembra aver sostanzialmente mutato orientamento, come si evince da alcune pronunce recenti, tra cui quella in commento, ritenendo che non possa esservi collazione se l’asse ereditario è stato esaurito con donazioni e/o legati. Se viene a mancare un relictum da dividere, non vi è luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, salvo sempre l’esito dell’eventuale azione di riduzione.
[1] N. Coviello, Delle successioni. Parte generale, Napoli, 1935, 581; LOSANA, Le disposizioni comuni alle successioni legittime e testamentarie secondo il codice civile, Torino, 1911, 706; AZZARITI, Le successioni e le donazioni, Napoli, 1990, 714.
[2] Ex plurimis Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale in Tratt. Dir. Civ. e Comm. diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1961, 459 ss.; Mengoni, La divisione testamentaria, Milano, 1950, 78.
[3] Per la dottrina Cfr. per tutti, FIGLIOLI, La collazione nel caso di mancanza di “relictum”, in Foro Pad., 1957, III, 17; in giurisprudenza Cass. 5 marzo 1970, n.543; Cass., 1 aprile 1974, n. 913; Cass., 9 luglio 1975, n. 2704; Cass., 17 novembre 1979, n. 5982.
[4] FORCHIELLI, Collazione, in Enc. Giur. Treccani, VI, Roma, 1988, 3; MENGONI, La divisione testamentaria, cit., 128.
[5] Cass., 6 giugno 1969, n. 1988; nello stesso senso anche Trib. Genova, 17 maggio 1993, in Nuova giur. civ. comm., 1995, 434.
[6] Cass., 21 dicembre 2021, n. 41132; Cass. 14 gennaio 2021, n. 509.
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