5 Aprile 2022

Suddivisione di spese e millesimi ex art. 1126 c.c.

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. 6 2, ordinanza 22.11.2021 n. 35957. Presidente L. Giovanni Lombardo – Estensore A. Scarpa

Massima:Allorché l’alloggio del portiere non sia più destinato ad uso condominiale, si applica ad esso la disciplina della comunione in generale, con la conseguenza che i partecipanti a siffatta comunione devono contribuire alle spese necessarie per la conservazione ed il godimento del bene, ivi comprese quelle occorrenti – come nella specie – per la riparazione del lastrico solare che funge da copertura, ex art. 1126 c.c., in proporzione al solo valore millesimale dell’unità sita nella colonna sottostante al lastrico. Deve considerarsi innovazione, agli effetti dell’art. 1120 c.c., non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria; il relativo accertamento costituisce un’indagine di fatto insindacabile in sede di legittimità, se sostenuta da corretta e congrua motivazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza con la quale la Corte di appello aveva negato carattere di innovazione all’opera di rivestimento ligneo delle porte degli ascensori condominiali, trattandosi di un intervento diretto a rendere più comodo il godimento della cosa comune, lasciandone però immutate la consistenza e la destinazione).

CASO

I condomini del condominio Alfa  deliberavano la ripartizione delle spese di riparazione della terrazza di proprietà di Sempronio (punto 2 odg.) e la realizzazione di un rivestimento in legno delle porte degli ascensori dello stabile (punto 3 odg.).

Successivamente i condomini Tizio e Caio impugnavano la suddetta delibera invocandone l’annullamento per violazione dei criteri di ripartizione, dovendosi applicare a loro dire un differente criterio di ripartizione della spesa.

Al termine della causa di primo grado il Tribunale di Milano accoglieva l’impugnazione dei due condomini annullando la delibera e condannando il Condominio, il quale impugnava in appello.

In occasione dell’appello principale proposto dal Condominio avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Milano, Tizio e Caio interponevano a loro volta appello incidentale sull’impugnazione del punto 3 dell’ordine del giorno della delibera, ossia sulla qualifica di innovazione del rivestimento in legno delle porte degli ascensori.

La Corte d’Appello di Milano accoglieva l’appello principale, rigettando l’impugnazione proposta dai due condomini avverso la delibera assembleare che prevedeva l’obbligo di ripartire tra tutti i condomini dei civici A e B le spese di riparazione della terrazza di proprietà di Sempronio. La corte territoriale respingeva anche l’impugnazione del punto 3 dell’ordine del giorno dell’impugnata delibera, ossia la realizzazione di un rivestimento ligneo delle porte degli ascensori.

Il giudice di secondo grado, infatti, sosteneva che la terrazza in questione fosse funzionale a consentire la copertura del corpo B del fabbricato, ove si trovava in precedenza l’alloggio del portiere, di proprietà condominiale, il quale in quel momento risultava adibito a studio legale, e ciò costituiva il fondamento dell’obbligo in capo a tutti i condomini di partecipare alla spesa, nei limiti di due terzi di cui all’articolo 1126 c.c.

Quanto all’appello incidentale, il collegio escludeva che il rivestimento delle porte dell’ascensore con pannelli di materiale ligneo potesse costituire una innovazione, cui applicare la relativa disciplina codicistica, cioè gli articoli 1120 e 1121 c.c.

Avverso tale pronuncia gli appellati proponevano ricorso per cassazione.

La medesima sentenza era anche oggetto di istanza di revocazione sempre proposta dai due condomini che invocavano il vizio di errore di fatto risultante dagli atti o documenti di causa ai sensi dell’articolo 395, comma 1, n. 4) c.p.c.

Tuttavia, nonostante fosse stata inizialmente disposta la sospensione del procedimento in cassazione ai sensi dell’articolo 398, comma 4, la Corte d’Appello ha poi rigettato l’istanza di revocazione ritenendo che l’errore di fatto denunciato dagli attori, relativo all’omessa considerazione che la ripartizione delle spese fosse stata eseguita sulla base dei millesimi relativi alle unità abitative di proprietà esclusiva e non in proporzione della quota a ciascuno spettante sui locali già adibiti ad alloggio del portiere e facenti capo al condominio, dovesse in concreto essere considerato quale errore di giudizio, pertanto non censurabile con lo strumento offerto dall’articolo 395 c.p.c., anche in considerazione del fatto che il piano di riparto allegato alla delibera era stato un punto controverso sul quale la medesima Corte, seppur in diversa composizione, era stata costretta a pronunciarsi.

Anche contro tale decisione della Corte d’Appello i due condomini proponevano ricorso per cassazione.

I due ricorsi per cassazione, il primo contro la sentenza di appello e il secondo contro la sentenza che decideva l’impugnazione per revocazione avverso la prima pronuncia, venivano riuniti dagli Ermellini, poiché la connessione esistente tra le due pronunce giustificava l’applicazione analogica dell’articolo 335 c.p.c., disciplinante la riunione delle impugnazioni separate. Infatti, secondo la giurisprudenza della corte di legittimità «i ricorsi per cassazione proposti, rispettivamente, contro la sentenza d’appello e contro quella che decide l’impugnazione per revocazione avverso la prima, in caso di contemporanea pendenza in sede di legittimità, debbono essere riuniti in applicazione (analogica, trattandosi di gravami avverso distinti provvedimenti) dell’art. 335 cod. proc. civ., che impone la trattazione in un unico giudizio di tutte le impugnazioni proposte contro la stessa sentenza, dovendosi ritenere che la riunione di detti ricorsi, pur non espressamente prevista dalla norma del codice di rito, discenda dalla connessione esistente tra le due pronunce poiché sul ricorso per cassazione proposto contro la sentenza revocanda può risultare determinante la pronuncia di cassazione riguardante la sentenza resa in sede di revocazione»[1].

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 35957 del 22.11.2021, ha dichiarato inammissibile il primo dei due ricorsi riuniti e trattati congiuntamente, ossia quello che ha impugnato il provvedimento del giudizio di revocazione, mentre ha ritenuto meritevole di accoglimento, poiché fondato, il primo motivo del ricorso avverso la pronuncia della Corte d’Appello di Milano poi oggetto di giudizio di revocazione, ma inammissibile il secondo motivo del medesimo ricorso. Per tale ordine di ragioni, gli Ermellini hanno cassato l’iniziale sentenza della Corte d’Appello di Milano, nei limiti della censura accolta, disponendo il rinvio alla stessa corte territoriale che, in diversa composizione, dovrà esaminare nuovamente la causa uniformandosi ai principi di diritto sanciti dalla Suprema Corte, provvedendo anche a liquidare le spese del giudizio di cassazione.

QUESTIONI

Come si è avuto modo di anticipare, la controversia oggetto della sentenza in commento verte sulla  suddivisione delle spese relative alla gestione, conservazione e manutenzione della cosa comune. Inoltre, seppur ribadendo un orientamento ormai più che consolidato nell’ambito della giurisprudenza di legittimità, gli Ermellini hanno colto l’occasione per pronunciarsi anche in merito alla nozione di innovazione ai sensi dell’articolo 1120 del Codice civile, confermando la regola in base alla quale la valutazione discrezionale operata dai giudici di merito circa il carattere di innovazione di un’opera realizzata in un condominio rimane insindacabile in sede di legittimità.

  1. Preliminarmente i giudici della Cassazione si sono occupati dell’analisi del primo dei due ricorsi riuniti ai sensi dell’articolo 335 c.p.c., ossia quello riguardante il giudizio di revocazione caratterizzato da un unico motivo.

I ricorrenti lamentavano il fatto che i giudici della Corte d’Appello di Milano, sebbene avessero correttamente rilevato che i condomini del civico A avrebbero dovuto concorrere alla spesa del rifacimento della terrazza di proprietà di Sempronio solo nei limiti della quota spettante ai medesimi sui locali che in precedenza erano stati adibiti ad alloggio per il portiere in comproprietà tra tutti i condomini, non avrebbero tuttavia considerato “l’errore-svista” nel quale era incorsa la stessa corte territoriale, ma in diversa composizione, nel pronunciare la sentenza oggetto di istanza di revocazione. Infatti, quest’ultima aveva ritenuto legittima, pertanto corretta, la suddivisione della spese in base ai millesimi delle unità abitative di proprietà esclusiva.

Tuttavia, gli Ermellini consideravano tale unico motivo inammissibile sulla base del ben noto principio che trae fondamento nella giurisprudenza di legittimità, per cui “l’errore-svista”, che presuppone la sussistenza di un contrasto fra due rappresentazioni del medesimo oggetto, risultanti l’una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali, deve concretarsi in un «errore percettivo che abbia indotto il giudice a ritenere esistente un fatto decisivo[2] la cui inesistenza emerge incontestabilmente ed ictu oculi dagli atti di causa o che, al contrario, lo abbia indotto a ritenere esistente un fato la cui esistenza, parimenti, emerge incontestabilmente ed ictu oculi dagli atti di causa»[3].

Per di più, i giudici della Suprema Corte rilevavano che l’istanza di revocazione avanzata dai ricorrenti invocava una valutazione diversa di un documento in ragione della sua incompatibilità con i criteri di ripartizione delle spese per il rifacimento del lastrico solare, individuati dai giudici della corte territoriale, in virtù dell’insussistenza della condivisione del rapporto di verticalità tra quest’ultimo e alcune delle unità abitative dei condomini.

Pertanto, secondo gli Ermellini non sussiste l’errore di fatto ai sensi dell’articolo 395, n. 4, c.c., poiché quello prospettato dai ricorrenti si riferisce ad un punto controverso della causa e ad una inesatta valutazione delle risultanze processuali.

  1. Dopo l’esame del primo ricorso, ossia quello avverso la pronuncia della Corte d’Appello di Milano che aveva deciso il giudizio di revocazione, i giudici della Cassazione passavano ad analizzare anche il secondo ricorso, costituito da due motivi.

2.1. Con il primo motivo i ricorrenti censuravano la pronuncia dei giudici di appello nella parte in cui gli stessi ritenevano corrette e legittima la ripartizione della spesa per il rifacimento del lastrico solare insistente sul civico B della palazzina, in virtù della presenza, all’interno di detto stabile, di un’unità immobiliare, che in precedenza era stata adibita ad alloggio del portiere, poi concessa in locazione dal Condominio e in comproprietà tra tutti i complessivi condomini, ovvero sia quelli del civico A che quelli del civico B, tra i quali venivano periodicamente suddivisi i canoni. Proprio da quest’ultima circostanza la corte territoriale riteneva che anche i condomini del civico A, in quanto comproprietari dell’anzidetta unità immobiliare situata nella parte del complesso condominiale servita dal lastrico solare cui fungeva da copertura, dovevano partecipare alla spesa ai sensi dell’articolo 1126 c.c., ovvero in misura proporzionale alla quota di comproprietà che i medesimi vantavano sull’appartamento di proprietà condominiale.

In particolare, i ricorrenti lamentavano il fatto che i giudici di appello avevano omesso di rilevare che i criteri di ripartizione delle spese per il rifacimento del lastrico solare non erano quelli previsti dall’articolo 1126 c.c., poiché essi dovevano essere calcolati in base ai millesimi facenti capo ai condomini di entrambi i civici rispetto alle unità immobiliari di proprietà esclusiva.

Gli Ermellini ritenevano tale primo motivo fondato, in ragione di una giurisprudenza di legittimità che ha costantemente affermato come l’articolo 1126 del Codice civile, «obbligando a partecipare alla spesa relativa alle riparazioni del lastrico solare di uso esclusivo, nella misura dei due terzi, tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, si riferisce a coloro ai quali appartengono unità immobiliari di proprietà individuale comprese nella proiezione verticale del manufatto da riparare o ricostruire, alle quali, pertanto, esso funge da copertura, con esclusione dei condomini ai cui appartamenti il lastrico stesso non sia sovrapposto»[4].

In sostanza, secondo i giudici della Suprema Corte l’obbligo di partecipare ai due terzi della spesa complessiva di riparazione non deriverebbe esclusivamente dal possesso della qualità di partecipante del condominio, quanto, piuttosto, dall’essere proprietario di un’unità abitativa «compresa nella colonna d’aria sottostante alla terrazza o al lastrico oggetto della riparazione». D’altra parte è inevitabile che la terrazza o il lastrico, anche se in uso esclusivo ad un solo condomino, copra una o più parti dell’edificio comuni a tutti i condomini, quanto, piuttosto, solo a quelli della rispettiva ala del fabbricato, come, ad esempio «il suolo su cui sorge l’edificio, la facciata, le fondazioni».

Non a caso, in relazione alle scale, e per analogia anche agli ascensori, o per gli impianti che per loro natura sono destinati a servire una sola parte dell’intero edificio, il terzo comma dell’articolo 1123 c.c. statuisce che le spese devono essere corrisposte dal solo gruppo di condomini che ne trae utilità.

Pertanto, i giudici della Cassazione enunciavano il principio di diritto in base al quale nell’ipotesi in cui «l’alloggio del portiere non sia più destinato ad uso condominiale, si applica ad esso la disciplina della comunione in generale e i partecipanti alla comunione devono perciò contribuire alle spese necessarie per la conservazione ed il godimento del bene, ivi comprese quelle, occorrenti per la riparazione del lastrico solare che ad esso funge da copertura, ai sensi dell’art. 1126 c.c., in proporzione al solo valore millesimale dell’unità sita nella colonna sottostante al lastrico».

2.2. A fronte della fondatezza del primo motivo, il secondo veniva giudicato inammissibile.

Il contenuto di questa seconda parte del ricorso si incentrava essenzialmente sulla denuncia fatta dai ricorrenti in relazione alla decisione della corte territoriale che riteneva legittima la delibera condominiale con la quale si decideva di rivestire «con pannelli in legno le porte degli ascensori». I giudici della corte d’appello ritenevano, infatti, che la realizzazione di una tale opera non integrasse gli estremi dell’articolo 1120 c.c. e non configurasse, pertanto, una innovazione ai sensi della legge. Al contrario, i ricorrenti sostenevano proprio che il rivestimento ligneo determinasse una diversa composizione materiale delle cose in comproprietà di tutti i partecipanti, non presentando il carattere di necessità tipico delle riprazioni, dovendosi, pertanto, considerare rientrante a tutti gli effetti nel concetto di innovazione descritto dall’articolo 1120 c.c. Sulla base di tali considerazioni giuridiche, secondo il punto di vista dei ricorrenti, l’assemblea doveva rispettare la maggioranza imposta dall’articolo 1136, comma 5, c.c., ossia «la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell’edificio».

I ricorrenti lamentavano, inoltre, che la decisione della corte territoriale considerava, peraltro escludendolo, unicamente il carattere voluttuario dell’opera e non anche il profilo della gravosità della spesa in relazione alle condizioni e all’importanza dell’edificio, omettendo, così, di soddisfare le due condizioni imposte dall’articolo 1121 c.c.

In sostanza, i giudici della Corte d’Appello di Milano negavano la qualifica di innovazione all’opera di rivestimento costituita da materiale ligneo apposta sulle pareti degli ascensori condominiali, poiché secondo tale collegio giudicante la realizzanda opera non costituiva una «nuova modifica della cosa comune che ne alteri l’entità o la destinazione originaria».

Invero, secondo i giudici di legittimità non sussistevano né il vizio di omessa pronuncia né quello di omesso esame di un fatto decisivo, rispettivamente, il primo quale «difetto di attività da parte del giudice in ordine ad una domanda od un’eccezione introdotta in causa e il secondo quale difetti di attività su una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione».

Infatti, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione si deve considerare innovazione, ai sensi dell’articolo 1120 c.c., «non un qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria».

Gli Ermellini ritenevano che un simile intervento, comportante la sostituzione del semplice rivestimento esterno delle porte degli ascensori del condominio, determinava, semmai, una modificazione finalizzata a rendere più comodo il godimento della cosa comune, ma che ne lasciava comunque immutata sia la consistenza che la sua destinazione e, pertanto, non poteva essere considerato una innovazione nei termini dell’orientamento giurisprudenziale ut supra.

Ad ogni modo, secondo il supremo collegio, la questione sarebbe viziata già a monte, dal momento che «lo stabilire se un’opera integri o meno gli estremi dell’innovazione prevista dall’art. 1120 c.c. costituisce un’indagine di fatto, insindacabile in sede di legittimità se sostenuta, come nella specie, da corretta e congrua motivazione»[5].

D’altra parte, una volta esclusa la qualifica di innovazione ai sensi dell’articolo 1120 c.c. relativa all’intervento realizzato in seguito alla delibera assembleare ritenuta illegittima dai ricorrenti, veniva meno anche la doglianza concernente la falsa applicazione e violazione dell’articolo 1121 c.c., riguardante la sottospecie delle innovazioni voluttuarie o gravose[6].

[1] Cassazione civile, sez. II, ordinanza 22.02.2016, n. 3397; Cassazione civile, sez. III, sentenza 22.05.2015, n. 10534.

[2] Deve essere un fatto decisivo, per il quale, cioè, la corretta percezione del medesimo avrebbe potuto determinare una decisione differente.

[3]Cassazione civile, sez. 6 2, ordinanza 10.06.2021, n. 16439; Cassazione civile, S. U., sentenza 23.01.2009, n. 1666; Cassazione civile, sez. II, sentenza 24.03.2014, n. 6881.

[4] Cassazione civile, sez. II, ordinanza 28.08.2020, n. 18045; Cassazione civile, sez. 6 2, ordinanza 10.05.2017, n. 11484; Cassazione civile, sez. II, sentenza 4.05.2001, n. 7472; Cassazione civile, sez. II, sentenza 15.04.1994, n. 3542; Cassazione civile, sez. II, sentenza 16.07.1976, n. 2821.

[5] Cassazione civile, sez. II, sentenza 20.08.1986, n. 5101; Cassazione civile, sez. II, sentenza 5.11.2002, n. 15460.

[6] Per tale tipologia di innovazioni la legge consente al singolo condomino di sottrarsi alla relativa spesa, essendo voluttuarie le innovazioni prive di oggettiva utilità ed essendo gravose quelle caratterizzate da una notevole onerosità.

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