Dichiarazione di fallimento a seguito di inadempimento del concordato
di Giulia Ferrari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., Sez. Unite, 14.02.22 n. 4696 – Primo Pres. Curzio – Rel. Stalla
Parole chiave: concordato preventivo, inadempimento dei debiti concordatari, risoluzione del concordato, dichiarazione di fallimento.
Massima: “Nella disciplina della legge fallimentare risultante dalle modificazioni apportate dal D.Lgs. n. 5 del 2006 e dal D.Lgs. n. 169 del 2007, il debitore ammesso al concordato preventivo omologato che si dimostra insolvente nel pagamento dei debiti concordatari può essere dichiarato fallito su istanza dei creditori, del PM o sua propria, anche prima e indipendentemente dalla risoluzione del concordato ai sensi dell’articolo 186 L.F.”.
Disposizioni applicate: Artt. 5, 6, 18, 186 R.D. 16 marzo 1942, n. 267.
CASO
La società Alfa proponeva concordato preventivo in continuità che veniva omologato nel 2013. Nella fase esecutiva del concordato, succeduta all’omologazione dello stesso, la società Alfa si rendeva inadempiente rispetto agli obblighi assunti con il concordato, che però non veniva risolto. Nonostante ciò, il Tribunale di Campobasso, su istanza del pubblico ministero, dichiara il fallimento della società Alfa, la quale proponeva quindi reclamo ex articolo 18 L.F. avverso la sentenza di fallimento che veniva revocata dalla Corte d’Appello di Campobasso.
Il Fallimento della società Alfa impugnava quindi in Cassazione la sentenza della Corte di Appello.
SOLUZIONE
I Giudici di legittimità hanno ritenuto che nel quadro normativo attuale, la mancata chiusura formale della fase esecutiva del concordato, per effetto della mancata risoluzione del concordato preventivo ovvero della mancata dichiarazione da parte del Giudice delegato, dell’impossibilità del suo regolare adempimento, non ostino alla dichiarazione di fallimento nel caso in cui vi sia stato un inadempimento del concordato.
QUESTIONI
Le Sezioni Unite, con la sentenza in commento, dirimono una serie di questioni interpretative connesse alla possibilità di dichiarare il fallimento di una società che nella fase esecutiva di un concordato omologato si sia resa inadempiente allo stesso, senza che sia intervenuta preliminarmente la risoluzione del concordato stesso.
La Corte d’Appello, nella propria pronuncia, aveva ritenuto che non fosse possibile procedere alla dichiarazione del fallimento, in questo frangente, per una serie di motivi che di seguito si riassumono.
Un primo argomento consisteva nel fatto che ad avviso della Corte territoriale, diversamente da quanto accadeva nell’assetto normativo precedente al D.Lgs. numero 5 del 2006 ed al D.Lgs. numero 169 del 2007 – allorquando il concordato preventivo inadempiuto doveva essere dichiarato risolto dal tribunale d’ufficio o su istanza del commissario giudiziale ex art. 137, richiamato dall’articolo 186 L.F. – nella disciplina successiva il concordato preventivo inadempiuto non poteva essere risolto se non su istanza dei creditori e senza previa risoluzione, ad avviso della medesima Corte, non poteva essere dichiarato direttamente il fallimento del debitore in applicazione dei presupposti generali di cui agli articoli 5 e 6 L.F.
Un secondo argomento consisteva nel fatto che, ad avviso della Corte d’Appello, ammettere la possibilità di dichiarazione del fallimento, senza previa risoluzione del concordato preventivo omologato, avrebbe comportato la sostanziale elusione degli effetti negoziali di questa procedura, quali il fatto che l’omologazione del concordato rende improcedibili le istanze di fallimento già presentate e rimuove lo stato di insolvenza, rendendo possibile la presentazione di nuove istanze solo per fatti sopravvenuti o nel caso di risoluzione o di annullamento del concordato.
La società debitrice aveva altresì osservato che il Tribunale di Campobasso aveva dichiarato il fallimento per un insolvenza riferibile non a nuovi debiti assunti nella continuazione dell’attività produttiva (si trattava di un concordato in continuità aziendale) ma per le implicazioni antecedenti al concordato preventivo e, dunque, ad un insolvenza, a dire della società debitrice, che trovava definitiva regolazione – salvo la risoluzione del concordato ad iniziativa dei creditori – nel piano concordatario omologato avente effetto vincolante erga omnes.
La stessa società debitrice osservava altresì che dopo l’omologazione del concordato, il debitore era tenuto ad adempiere agli stessi debiti pre concordatari, seppure con le modalità stabilite nella proposta omologata, non rientrando tra gli effetti del concordato anche quello della novazione delle obbligazioni pregresse, sicché una stessa crisi non avrebbe potuto essere regolata da due diverse procedure, senza previa rimozione per risoluzione e o annullamento di quella preventivamente attivata.
Inoltre, sempre ad avviso della società debitrice, solo attraverso le modalità e nei termini decadenziali della risoluzione i creditori, e soltanto loro, erano ammessi a valutare la convenienza dell’alternativa tra il mantenimento della procedura concordataria e le prospettive di una liquidazione fallimentare.
La Corte di legittimità nella propria pronuncia ha sottolineato che il problema oggetto di causa era già stato affrontato e risolto in alcuni precedenti.
In particolare, gli Ermellini si sono richiamati a due ordinanze (Cass. nn. 17703/17 e 29632/17) nelle quali si era affermato che, venuto a cadere con la riforma dell’art. 186 L.F. da parte del D.Lgs. numero 169 del 2007, ogni automatismo tra risoluzione del concordato e dichiarazione di fallimento, quest’ultima poteva intervenire anche a prescindere dalla previa adozione della prima, quantomeno nei casi in cui il creditore istante faccia valere il credito non nella misura originaria ma in quella falcidiata con la proposta concordataria omologata e ineseguita; un debitore, si era ritenuto in tali pronunce, continua infatti ad essere obbligato all’adempimento del concordato anche una volta scaduto il termine per la sua risoluzione così da determinarsi in caso di inadempimento un “fatto sopravvenuto” autonomamente rilevante, ovvero uno “scenario comune” di fallibilità su istanza non solo dei creditori concorsuali, ma anche del pubblico ministero, dello stesso debitore ed eventualmente anche di nuovi creditori.
Tuttavia tale indirizzo, per quanto consolidato, non trovava piena condivisione in parte autorevole della dottrina secondo la quale, la possibilità di fallimento cosiddetto “omissio medio”, ossia senza la preventiva risoluzione del concordato, troverebbe invece ostacolo nella specialità della disciplina concordataria (in particolare nell’art. 186 L.F.) rispetto alla regola generale prevista all’articolo 6 L.F., in particolare con riferimento alla configurabilità, a seguito dell’esdebitazione prodotta dall’omologazione e dal “ritorno in bonis” del debitore, di una “nuova insolvenza” solo relativamente ad obbligazioni contratte dopo l’omologazione stessa rimasta inadempiuta.
Il quadro interpretativo rimaneva comunque controverso sotto diversi profili (che si enunciano non potendosi in questa sede procedere ad una disamina di dettaglio): relativi al fatto circa la possibilità di dichiarazione del fallimento solo per un’insolvenza nuova rispetto al momento dell’omologazione del concordato, ovvero anche per l’inadempimento delle obbligazioni discendenti dall’esecuzione dello stesso concordato omologato; se l’affermata possibilità di dichiarare il fallimento senza prima risolvere il concordato non implichi l’elusione di diversi presupposti della risoluzione stessa (ad esempio relativamente al requisito della non scarsa importanza e rispetto del termine annuale di decadenza), o ancora come si concili tale interpretazione giurisprudenziale con la eventuale rilevanza ermeneutica dell’inserimento nell’articolo 119 del Codice del della Crisi e dell’Insolvenza, da parte del D.Lgs. n. 147/2020, comma 7, della previsione secondo la quale “il Tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale solo a seguito della risoluzione del concordato salvo che lo stato di insolvenza consegua debiti sorti successivamente al deposito della domanda di apertura del concordato preventivo”.
Dopo approfondito argomentare, le Sezioni Unite hanno affermato che l’inadempimento dell’accordo di concordato rientra di per sé tra quei “fatti sopravvenuti” in presenza dei quali (oltre che nei casi di risoluzione e annullamento) è consentita la possibilità di presentare nuove istanze di fallimento, essendo l’improcedibilità derivante dall’omologa riservata alle sole istanze di fallimento già presentate.
Gli Ermellini hanno inoltre statuito che l’omologazione del concordato rimuove l’insolvenza nei seguenti termini: dal punto di vista sostanziale, l’insolvenza non rileva più nella sua manifestazione originaria ma eventualmente solo in quella rinveniente dalla mancata esecuzione del patto concordatario; dal punto di vista processuale, le istanze di fallimento proposte antecedentemente non possono avere corso.
In sostanza, l’avvenuta omologazione e l’accesso del debitore alla fase esecutiva dell’accordo (anche se sotto la sorveglianza dell’articolo 185 L.F.) comportano l’applicazione dei principi generali di responsabilità, compresa la dichiarazione di fallimento, se dall’esecuzione dell’accordo si debbano trarre elementi di insolvenza.
Sottolineano inoltre i Giudici di legittimità che la preclusione all’esperimento da parte dei creditori anteriori di azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore che abbia chiesto il concordato preventivo ha effetto, a pena di nullità, dalla presentazione del ricorso e “fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo” (cfr. articolo 168 L.F.), sicché dopo questo momento essi acquistano piena legittimazione ad agire contro il debitore per ottenere l’esecuzione del patto, “e non è dato comprendere perché non lo possano fare con tutti i mezzi consentiti dalla legge, e quindi perché alla tutela esecutiva individuale, non necessariamente condizionata all’istanza di risoluzione, non possa in questo caso associarsi in presenza dei relativi presupposti ed anche al fine di tutelare la par condicio nella crucialità di questa fase, quella concorsuale.”.
La Suprema Corte conclude enunciando il seguente principio di diritto “nella disciplina della legge fallimentare risultante dalle modificazioni apportate dal D.Lgs. numero 5 del 2006 e dal D.Lgs. numero 169 del 2007, il debitore ammesso al concordato preventivo omologato che si dimostra insolvente nei pagamenti dei debiti concordatari, può essere dichiarato fallito su istanza dei creditori, del PM o sua propria anche prima ed indipendentemente dalla risoluzione del concordato L. Fall., ex articolo 186”.
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