1 Marzo 2022

Cartolarizzazione dei crediti e fallimento

di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDF

Le operazioni di “cartolarizzazione” dei crediti realizzate ai sensi degli artt. 1 e 4 L. n. 130/1999 (Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti) e dell’art. 58 TUB (Cessione di rapporti giuridici) prevedono la cessione a titolo oneroso di crediti pecuniari, sia esistenti sia futuri, individuabili in blocco se si tratta di una pluralità. Le cartolarizzazioni sono operazioni finanziarie complesse, caratterizzate dalla presenza di più negozi giuridici tra loro collegati, mediante i quali portafogli di crediti (derivanti, ad esempio, da mutui o altre forme di impiego) vengono selezionati e aggregati per costituire un supporto finanziario a garanzia di titoli obbligazionari che poi vengono collocati nel mercato dei capitali.

La legge sulla cartolarizzazione dei crediti (art. 4, L. n. 130/1999) prevede:

a) che ai pagamenti effettuati dai debitori ceduti alla società cessionaria non si applicano l’articolo 65 e l’articolo 67 della legge fallimentare ovvero, dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, l’articolo 164, comma 1, e l’articolo 166 del medesimo decreto legislativo (comma 3); nonché

b) che per le operazioni di cartolarizzazione i termini di due anni e di un anno previsti dall’articolo 67 legge fallimentare ovvero, dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, dall’articolo 166 del medesimo decreto legislativo, sono ridotti, rispettivamente, a sei e a tre mesi (comma 4).

La ratio del terzo comma dell’art. 4 della L. n. 130/1999 (esenzione dalle azioni revocatorie) è evidente, ossia non pregiudicare l’interesse e le aspettative degli investitori (sottoscrittori delle obbligazioni emesse dalla società cessionaria) che con il debitore fallito non hanno alcun rapporto. In ipotesi di fallimento della società cedente è invece prevista, dal quarto comma dell’art. 4 della L. n. 130/1999, soltanto la riduzione dei termini dell’azione revocatoria.

Nell’ipotesi in cui la cessione del credito intervenga prima del fallimento del debitore ceduto, la domanda di insinuazione al passivo potrà essere proposta direttamente dal cessionario, che dovrà comprovare la sua legittimazione.

Nel caso in cui la cessione intervenga dopo il fallimento del debitore ceduto, trova applicazione l’art. 115 legge fallimentare: «Se prima della ripartizione i crediti ammessi sono stati ceduti, il curatore attribuisce le quote di riparto ai cessionari, qualora la cessione sia stata tempestivamente comunicata, unitamente alla documentazione che attesti, con atto recante le sottoscrizioni autenticate di cedente e cessionario, l’intervenuta cessione. In questo caso, il curatore provvede alla rettifica formale dello stato passivo. Le stesse disposizioni si applicano in caso di surrogazione del creditore». La recente riforma fallimentare (d.lgs. n. 14 del 2019 “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”) ribadisce tale principio, con una norma (art. 230 comma secondo, in materia di “Pagamento ai creditori”) che riproduce testualmente l’attuale disposto del predetto art. 115 legge fallimentare.

Dunque, in caso di fallimento del debitore ceduto, il cessionario è tenuto a dare la prova del credito e della sua anteriorità al fallimento, qualora venga in discussione la sua opponibilità, ma non anche la prova dell’anteriorità della cessione al fallimento (Cass. n. 10545/2014; Cass. n. 2218/2022).

Secondo la Cassazione, nell’azione revocatoria (promossa dalla cedente) il diritto controverso è « quello all’inefficacia dell’atto e non il diritto di credito » sicché il cessionario del credito non subentra automaticamente nel diritto controverso, non trovando applicazione l’art. 111 c.p.c. (Cass. n. 29637/2017; Cass. n. 25660/2014). La giurisprudenza di merito ha invece ritenuto ammissibile l’intervento del cessionario ex art. 111 comma terzo c.p.c. nel giudizio in corso, poiché nell’oggetto della cessione rientra ogni situazione giuridica direttamente collegata con il diritto di credito stesso, ivi compresi appunto tutti i poteri del creditore relativi alla tutela del credito e quindi anche le azioni giudiziarie a tutela del credito (Trib. Mantova 6.9.2021, che richiama Cass. n. 17727/2018).

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