22 Febbraio 2022

Nullità della citazione per vizi della vocatio in ius rilevata in appello: la rimessione in termini del contumace opera nei limiti di cui all’art. 294 c.p.c.

di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2022, n. 2258, Pres. Tirelli – Est. Scarpa

[1] Nullità della citazione – Violazione dei termini di comparizione – Appello del convenuto contumace – Rimessione in termini – Poteri dell’appellante – Limiti – Fattispecie (artt. 164, 294 c.p.c.)

Massima: “Allorché venga dedotta come motivo di appello la nullità della citazione di primo grado per vizi della vocatio in ius (nella specie, per l’inosservanza dei termini a comparire), non essendosi il convenuto costituito e neppur essendo stata la nullità rilevata d’ufficio ai sensi dell’art. 164 c.p.c., il giudice d’appello, non ricorrendo una ipotesi di rimessione della causa al primo giudice, deve ordinare, in quanto possibile, la rinnovazione degli atti compiuti in primo grado, potendo tuttavia il contumace chiedere di essere rimesso in termini per compiere attività ormai precluse a norma dell’art. 294 c.p.c., e dunque se dimostra che la nullità della citazione gli ha impedito di avere conoscenza del processo”.

CASO

[1] All’esito di una controversia in materia contrattuale, la Terza Sezione civile della Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 18297/2021 del 25 giugno 2021 rilevava la sussistenza di questione di diritto di particolare importanza, decisa in senso difforme da precedenti pronunce della Corte, in merito alle conseguenze discendenti dalla deduzione, quale motivo di appello, della nullità della citazione introduttiva del primo grado di giudizio per vizi della vocatio in ius (nel caso di specie, per inosservanza del termine minimo a comparire), non eccepita dalla parte convenuta, rimasta contumace, né rilevata d’ufficio dal giudice, nonché alle facoltà difensive che devono essere riconosciute in secondo grado alla parte appellante, rimasta contumace in primo grado a causa del predetto vizio dell’atto introduttivo del giudizio.

La Terza Sezione civile della Cassazione rimetteva il ricorso al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite.

SOLUZIONE

[1] Interpellate dall’ordinanza di rimessione della Sezione Terza della Cassazione, le Sezioni Unite hanno chiarito come gli effetti del rilievo in appello della nullità della citazione introduttiva del primo grado di giudizio per vizi della vocatio in ius debba essere regolamentata dall’art. 294 c.p.c., in particolare effettuando un distinguo fra rinnovazione degli atti nulli compiuti in primo grado, e rimessione in termini per le attività segnate da preclusioni, condizionata alla dimostrazione della mancata conoscenza del processo.

Secondo le Sezioni Unite, la nullità della citazione introduttiva del giudizio di primo grado per vizi della vocatio in ius, riguardando l’atto preordinato all’instaurazione del contraddittorio, ove il convenuto non si costituisca e non sia rilevata d’ufficio dal giudice, comporta l’estensione della nullità a tutti gli atti del processo che ne sono dipendenti ovvero che devono compiersi nel contraddittorio delle parti. Allorché tale nullità non sia stata sanata dalla costituzione del convenuto né rilevata d’ufficio, non operando per essa il regime di cui all’art. 157, 2°co., c.p.c., la stessa si converte in motivo di impugnazione e deve perciò essere fatta valere dal contumace mediante appello.

La proposizione dell’appello, peraltro, non sana ex se la nullità degli atti successivi dipendenti dalla citazione viziata. Il giudice d’appello, preso atto della nullità del giudizio di primo grado e della stessa sentenza, non potendo disporre la rimessione al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c., è dunque tenuto a trattare la causa nel merito, rinnovando gli atti dichiarati nulli.

La rinnovazione degli atti nulli ordinata dal giudice d’appello coinvolge, peraltro, le attività difensive correlate e strettamente conseguenziali all’atto rinnovato, ma non equivale alla rimessione in termini integrale e automatica del contumace nello svolgimento di tutte le attività difensive impedite dalla mancata instaurazione del contraddittorio: la rimessione in termini è, infatti, ristretta dall’art. 294 c.p.c. alle sole attività ormai precluse il cui tempestivo svolgimento sia stato impedito dall’ignoranza del processo.

Quando la nullità della citazione dedotta dall’appellante, rimasto contumace in primo grado, dipende dall’inosservanza dei termini a comparire, la rimessione in termini per le attività che gli sarebbero precluse, ai sensi dell’art. 294 c.p.c., resta, di regola, impedita dall’avvenuta conoscenza materiale dell’esistenza del processo. Residuano soltanto le ipotesi limite in cui tale conoscenza materiale del processo in capo al convenuto sia avvenuta in tempo comunque non utile a consentirgli una fruttuosa costituzione. Pertanto, in virtù di un’interpretazione orientata a garantire l’effettività del diritto di difesa e la ragionevole durata del processo, è da escludere che dalla nullità della citazione, pur non seguendo la rimessione al primo giudice, discenda la necessaria rimessione in termini del contumace appellante, perché ciò comporterebbe un premio per lo stesso, il quale, sebbene abbia avuto cognizione del processo e avrebbe perciò potuto comunque costituirsi sin dalla prima udienza, ha preferito attendere l’intero decorso del giudizio di primo grado per poi spiegare gravame.

QUESTIONI

[1] Come noto, la questione sottoposta alle Sezioni Unite è storicamente stata al centro di un acceso dibattito, sia giurisprudenziale che dottrinale, che verrà brevemente ripercorso nei prossimi paragrafi. In particolare, la giurisprudenza di legittimità si è storicamente divisa sulla necessità, per il giudice d’appello, di fronte alla nullità della citazione per vizi della vocatio in ius rilevata soltanto in appello, di disporre la rimessione della causa in primo grado ovvero di decidere nel merito e, in questo secondo caso, sull’identificazione delle attività difensive ammesse per l’appellante rimasto contumace in primo grado.

Cercando di semplificare al massimo il quadro dei filoni giurisprudenziali consolidatisi sulla questione appena esposta, è possibile individuare tre indirizzi interpretativi, puntualmente riportati nel corpo del provvedimento in commento.

Secondo un primo indirizzo, espresso da Cass., sez. un., 21 marzo 2001, n. 122 (in Corr. giur., 2001, con nota di M. Montanari), il giudice di appello, il quale ravvisi la sussistenza della nullità della vocatio in ius in primo grado per inosservanza del termine di comparizione, è investito del potere-dovere di dichiarare la nullità, trattenere la causa e decidere nel merito; in tale evenienza l’appellante, contumace in primo grado, deve essere ammesso a svolgere tutte le attività assertive e probatorie precluse dalla nullità. Tale orientamento (recentemente sposato da Cass., 26 luglio 2013, n. 18168 e Cass., 14 giugno 2016, n. 12156), ha trovato una precisazione da parte di Cass., 24 aprile 2004, n. 16680, la quale ha chiarito come, in tale circostanza, l’appellante sia onerato di indicare nell’atto di appello le attività difensive impedite in primo grado, che vorrebbe svolgere in seconde cure.

Un secondo orientamento – che è quello espressamente sposato dalle Sezioni Unite in commento -, è stato inaugurato da Cass., 7 maggio 2013, n. 10580 (e più recentemente confermato da Cass., 26 luglio 2016, n. 15414), he a viceversa chiarito che l’art. 164 c.p.c., in materia di nullità dell’atto di citazione, disciplina il rilievo delle invalidità di tale atto con riferimento al momento iniziale del processo, segnato dalla prima udienza, senza occuparsi delle conseguenze del mancato rilievo della nullità dell’atto introduttivo in difetto di costituzione del convenuto, né precisare se il potere di rinnovazione del giudice possa essere esercitato anche nel successivo corso del processo di primo grado o nei gradi successivi. Secondo tale orientamento, una volta resa la sentenza di primo grado, la nullità della citazione e della pronuncia andrebbe soggetta alla regola dettata dall’art. 161 c.p.c., dovendo, perciò, essere dedotta dal convenuto soccombente come motivo di impugnazione. Inoltre, quando il giudice abbia omesso di rilevare d’ufficio la nullità della citazione, la posizione del convenuto diverrebbe assimilabile a quella del contumace: perciò, nell’eventualità in cui tale soggetto decida successivamente di entrare nel processo, attraverso l’appello, la sua condizione processuale andrebbe regolata alla stregua dell’art. 294, 1°co., c.p.c., il quale impone al contumace che si costituisce di dar prova che la nullità della citazione gli ha impedito di avere utile e tempestiva conoscenza del processo, così da giustificarne la rimessione in termini.

L’ultimo orientamento riscontrabile sulla questione è stato poi espresso da Cass., 28 marzo 2017, n. 7885 (in senso conforme si vedano le recenti Cass., 15 gennaio 2020, n. 544 e Cass., 7 gennaio 2021, n. 32), la quale ha affermato che, in forza della persistente operatività dell’art. 164 c.p.c. anche in seconde cure, la proposizione dell’appello varrebbe a sanare ex tunc la nullità della citazione per vizio della vocatio in ius, senza che ciò escluda l’invalidità del giudizio di primo grado e la conseguente nullità della sentenza. Ciò imporrebbe al giudice di appello di decidere la causa nel merito, rinnovando a norma dell’art. 162 c.p.c. gli atti dichiarati nulli, quando possibile e necessario. Per quanto riguarda le attività consentite alla parte rimasta contumace in primo grado, poiché il vizio di nullità per mancato rispetto del termine di comparizione non gli ha impedito di avere comunque notizia della pendenza della lite, questi, alla luce dell’art. 294 c.p.c., non aveva diritto a compiere le attività rimaste per lui precluse nel giudizio di prime cure, atteso che un comportamento processuale improntato ai principi della correttezza e della buona fede gli avrebbe consentito di attivarsi per conoscere la situazione di un giudizio della cui esistenza egli era pacificamente informato.

Anche in dottrina, sulla questione che ci occupa è possibile apprezzare l’esistenza di differenti indirizzi interpretativi circa le conseguenze da ricollegare al rilievo in appello di una nullità non sanata della citazione introduttiva del giudizio di primo grado per vizi inficianti la vocatio in ius.

Alcuni autori hanno riproposto la soluzione, prevalente ante riforma, della absolutio ab instantia, ossia della necessità per il giudice d’appello di dichiarare la nullità dell’intero giudizio (in tal senso, E.T. Liebman, Le nullità processuali e il giudizio di impugnazione, in Riv. dir. proc., 1970, 201 ss.; C. Cavallini, Nullità della citazione per inosservanza del termine a comparire e poteri del giudice d’appello, in Riv. dir. proc., 1998, 474 ss.).

Altri hanno sostenuto la possibilità di applicare analogicamente l’art. 354 c.p.c., con conseguente automatica rimessione in termini del convenuto e rinnovazione integrale del primo grado di giudizio, alla luce dell’assimilazione della disciplina dei vizi della vocatio in ius a quella della nullità della notificazione, emergente dalla previsione della possibilità di rinnovazione dell’atto e della conservazione degli effetti della domanda (così, G. Costantino, Quattro interventi sulla riforma della giustizia civile, in Riv. dir. proc., 1993, 461; G. Verde, Diritto processuale civile, 2, Bologna, 2012, 235; B. Sassani, Appello (dir. proc. civ.), in Enc. dir., Agg., III, Milano, 1999, 198).

Un’ultima corrente, poi, ha ribadito la tesi prevalsa negli ultimi anni, per la quale il giudice d’appello deve decidere nel merito, previa rinnovazione degli accertamenti compiuti nella pregressa fase processuale, ammettendo il convenuto, contumace in primo grado, a svolgere tutte quelle attività che, in conseguenza della nullità, gli sono state precluse (si vedano G. Balena, Nullità della “vocatio in ius” nel processo del lavoro e poteri del giudice d’appello, in Foro it., 2001, I, 2909 ss.; C. Mandrioli, A. Carratta, Diritto processuale civile, Torino, 2016, II, 538 ss.).

Centro Studi Forense - Euroconference consiglia

Diritto della proprietà intellettuale