15 Febbraio 2022

Annunci falsi: ipotesi di responsabilità civile del marketplace  – Seconda parte

di Donatella Marino, Avvocato Scarica in PDF

 … continua. La ridefinizione della responsabilità dei marketplace da parte della giurisprudenza

Se il Legislatore europeo degli anni 2000 si poneva l’obiettivo di incoraggiare un vigoroso sviluppo del commercio elettronico nei suoi territori per favorire la competitività dell’Europa nei mercati mondiali, negli ultimi anni la crescita di contenuti illegali diffusi – e quindi consultabili – illegittimamente online grazie a questi nuovi strumenti, ha richiesto una ridefinizione del regime di responsabilità dell’Internet service provider. Così, la giurisprudenza europea ha progressivamente ridisegnando i confini della responsabilità civile degli intermediari on line adattandoli alle nuove esigenze del mercato.

Conseguentemente, recependo l’impostazione europea, la Corte di Cassazione ha oggi sviluppato un regime di responsabilità dei provider distinto sulla base dell’attività svolta in concreto. Da una parte, gli hosting provider passivi, che beneficiano dell’esenzione da responsabilità di cui agli artt. 16 e 17 del D.Lgs. n. 70/2003. Dall’altra, gli hosting provider attivi, cui si applicano le regole comuni sulla responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.

Tenendo anche presente che la Commissione europea sta introducendo un nuovo concetto di diligenza delle piattaforme online, che dovrebbero collaborare con le autorità competenti e gli utenti nell’individuare i contenuti illegali in modo rapido ed efficiente.

La giurisprudenza della Corte di Giustizia UE  e l’ISP passivo ed attivo

Da oltre dieci anni la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) cerca pertanto di individuare criteri di valutazione, in concreto, della diligenza degli ISP e di ridisegnare il regime di responsabilità adattandolo alle nuove esigenze.

Nella vicenda Cause riunite da C-236/08 a C-238/08  (Google France SARL e Google Inc. contro Louis Vuitton Malletier SA e altri)  la esenzione dalla responsabilità prevista dalla Direttiva sul commercio elettronico viene ricondotta all’interno di parametri precisi. In particolare, viene chiarito il ruolo di Internet “provider passivo”, unica fattispecie che può beneficiare della esenzione di cui agli artt. 12- 15 della Direttiva.

Nella nota decisione la Corte affermava infatti: “L’art.  14 della direttiva 2000/31, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico»), deve essere interpretato nel senso che la norma ivi contenuta si applica al prestatore di un servizio di posizionamento su Internet qualora detto prestatore non abbia svolto un ruolo attivo atto a conferirgli la conoscenza o il controllo dei dati memorizzati. Secondo i Giudici europei, il giudice nazionale deve pertanto “valutare se il ruolo svolto da un prestatore di servizi di posizionamento su Internet sia neutro”, e quindi che “il suo comportamento è meramente tecnico, automatico e passivo, comportante una mancanza di conoscenza o di controllo dei dati che esso memorizza”.

Nella stessa direzione anche le decisioni successive, che individuano con crescente ricorrenza l’inapplicabilità della esenzione di responsabilità laddove l’attività dell’ISP non sia “di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, con la conseguenza che detti prestatori non conoscono né controllano le informazioni trasmesse o memorizzate dalle persone alle quali forniscono i loro servizi” e si possa quindi dedurre che l’ISP svolga “un ruolo attivo(CGUE 7 agosto 2018, Cooperatieve Vereniging SNB-REACT U.A. c. Deepak Mehta, C-521/17, punti 47 e 48).

La Commissione europea e i parametri di diligenza dell’ISP

Pur prendendo atto dell’orientamento della Corte di Giustizia, la Commissione europea, con Comunicazione n. 555 del 28 settembre 2017 (“Lotta ai contenuti illeciti online. Verso una maggiore responsabilizzazione delle piattaforme online”) ha altresì individuato alcuni criteri volti a spingere i marketplace a partecipare alla lotta contro i contenuti illegali online in cooperazione con le autorità nazionali. La Comunicazione della Commissione si è posta come obiettivo quello di “fornire chiarimenti alle piattaforme in merito alla loro responsabilità”. L’atto è privo di valore vincolante ma ha di fatto incoraggiato le piattaforme ad adottare misure proattive volontarie volte i) all’individuazione e alla rimozione dei contenuti illegali e ii) ad intensificare la cooperazione e iii) a favorire l’investimento nelle tecnologie di individuazione automatica e il loro uso. Tali misure, denominate dalla Commissione azioni del “bon Samaritain”, possono contribuire ad individuare i parametri per valutare la diligenza dell’ISP che operi correttamente su questi nuovi mercati. Sull’evidente conflitto che parrebbe emergere in merito allo sconfinamento nella figura dell’ISP attivo, la Commissione ha sottolineato come l’adozione di tali misure “non comportino di per sé una perdita della deroga alla responsabilità ma che al contrario consentano di conservare il beneficio della deroga, a patto che si agisca immediatamente per rimuovere o disabilitare l’accesso alle informazioni illecite in questione.

In questa direzione sono anche le ulteriori iniziative della Commissione europea. Da notare in particolare che il 15 dicembre 2020 ha presentato una Proposta di Regolamento relativo a un mercato unico dei servizi digitali, che modificherebbe in parte il regime della Direttiva 2000/31/CE e che introdurrebbe obblighi in materia di dovere di diligenza per i fornitori di servizi intermediari, alcuni comuni, altri distinti in base alle funzioni e alle dimensioni della piattaforma.

La giurisprudenza italiana

Recependo l’impostazione europea, la Corte di Cassazione (v. Cass. civ., sez. I, sentenza 19/03/2019 n. 7708) ha conseguentemente sviluppato un diverso regime di responsabilità dei provider sulla base all’attività svolta in concreto. Da una parte, gli hosting provider passivi, che beneficiano dell’esenzione da responsabilità di cui agli artt. 16 e 17 del D.Lgs. n. 70 /2003. Dall’altra, gli hosting provider attivi, cui si applicano le regole comuni sulla responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.. La Suprema Corte riconduce così la natura della responsabilità dell’internet service provider – così come disegnata dai giudici europei – alla tradizionale teoria della condotta illecita, intesa come azione ma anche omissione e “in tale ultimo caso con illecito omissivo in senso proprio, in mancanza dell’evento, oppure, qualora ne derivi un evento, in senso improprio; a sua volta, ove l’evento sia costituito dal fatto illecito altrui, si configura l’illecito commissivo mediante omissione in concorso con l’autore principale.”

Nella stessa decisione, la Suprema Corte riconduce la figura dell’hosting provider attivo “alla fattispecie della condotta illecita attiva di concorso”.

Gli indici di interferenza che qualificano il provider “attivo”

Con l’obiettivo di facilitare l’inquadramento del concetto di hosting provider attivo, sottratto al regime privilegiato, la Suprema Corte ha poi elaborato alcuni criteri, denominati “indici di interferenza. La linea distintiva è data dalle condotte che, con comportamenti attivi, intervengano sulla fruizione dei contenuti da parte degli utenti, con la conseguenza che tale fruizione ne risulta integrata, arricchita o migliorata rispetto all’offerta originaria dell’utilizzatore.

Si tratta di circostanze che la Corte ritiene siano da accertare in concreto ad opera del giudice del merito – a titolo esemplificativo e non necessariamente tutte compresenti – le attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l’adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentare la fidelizzazione: condotte che abbiano, in sostanza, l’effetto di completare ed arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte di utenti indeterminati.”(Cass. Civ., n. 7708/2019).

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