1 Febbraio 2022

Nell’appostare in bilancio i versamenti di denaro dei soci occorre verificare l’effettiva volontà dei medesimi

di Eleonora Giacometti, Avvocato

Cassazione civile sez. VI, 16/11/2021, (ud. 17/06/2021, dep. 16/11/2021), n. 34503.

Parole chiave: Società a responsabilità limitata – bilancio – annullamento delibera – dazione di denaro – conferimento – finanziamento soci – versamento a fondo perduto – versamento in conto capitale

Massima: “L’organo amministrativo non è arbitro di appostare in bilancio le dazioni di denaro dei soci in favore della società, né di mutare la voce relativa, successivamente alla iscrizione originaria, dovendo essa rigorosamente rispecchiare la effettiva natura e causa concreta delle medesime, il cui accertamento, nella interpretazione della volontà delle parti, è rimesso all’apprezzamento riservato al giudice del merito (principio di diritto richiamato nella sentenza in commento)”.

Disposizioni applicate: artt. 1362, 246, 2481 e 2481-bis c.c.

Con il giudizio in esame la società ricorrente ha impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Roma che aveva confermato l’annullamento, in primo grado, delle deliberazioni assembleari con cui era stato approvato il bilancio di esercizio 2009 e deliberato l’azzeramento del capitale sociale per perdite e la sua contestuale ricostituzione mediante versamenti dei soci in conto futuro aumento del capitale sociale, previo abbattimento delle perdite residue.

Secondo le sentenze dei primi due gradi, il bilancio della società non era veritiero, in quanto i suddetti versamenti in conto capitale non erano stati iscritti come riserva del patrimonio della società, bensì come debiti, pur non avendo tale natura.

Dai primi due giudizi è inoltre risultata pacifica la natura dei versamenti in questione, poiché vi era la prova documentale che i soci avevano attribuito ai medesimi la precisa natura di versamento in conto aumento di capitale futuro.

A fronte di tali elementi, la società ha proposto ricorso sostenendo in particolare:

1) l’erroneità della pronuncia della Corte d’Appello laddove ha ritenuto i suddetti versamenti assimilabili a capitale di rischio, quando sarebbero stati meglio configurabili come debiti della società verso i soci e, pertanto, in mancanza di aumento di capitale avrebbero dovuto essere restituiti ai soci; e

2) la contraddittorietà della pronuncia medesima laddove affermava, da un lato, che i versamenti fossero da qualificarsi in conto capitale e, dall’altro, ne ammetteva la restituzione in caso di mancata adozione della delibera di aumento; per tale ragione, i versamenti potevano quindi essere assimilati ai debiti delle società verso i soci e, come tali, erano stati iscritti correttamente in bilancio.

Analizzando tali motivi, la Corte di Cassazione ha preliminarmente ricordato che esistono diverse modalità di dazione di denaro da parte di un socio, come i conferimenti, i finanziamenti dei soci, i versamenti a fondo perduto, o in conto capitale, ed i versamenti finalizzati ad un futuro aumento del capitale.

In particolare, questi ultimi debbono essere iscritti in bilancio come riserva, e non come finanziamento soci e, quindi, come debito della società verso i medesimi, e ciò a prescindere dalla possibilità o meno di riconoscerne la restituzione ai soci per l’ipotesi in cui non venga infine deliberato l’aumento di capitale.

Il mancato aumento di capitale cui, nel caso di specie, il versamento era finalizzato rappresenta infatti una condizione risolutiva al verificarsi della quale il denaro può essere restituito al socio, ma in tal caso non si tratta del rimborso di una somma data a mutuo, bensì di una ripetizione d’indebito dovuta alla mancata verificazione di una precisa condizione a cui il versamento era stato sottoposto.

In altre parole, i versamenti in conto di un futuro aumento di capitale non hanno la funzione oggettiva di credito poiché essi, se interviene l’aumento di capitale, vanno a confluire automaticamente in quest’ultimo, mentre, in caso contrario, vanno effettivamente restituiti, ma solo per il fatto che la fattispecie programmata e voluta dal socio – l’aumento di capitale – non si è perfezionata.

Tale principio era stato espresso anche in altre precedenti pronunce della Corte di legittimità, la quale aveva già chiarito che i versamenti in conto capitale, una volta eseguiti, costituiscono una riserva, non di utili, ma “di capitale”, soggetta alla stessa disciplina della riserva da soprapprezzo (ex art. 2431 c.c.) seppure “personalizzata” in quanto di esclusiva pertinenza del socio che li ha effettuati. Ne consegue che il socio erogante può chiederne la restituzione solo per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell’eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione e che, durante la vita della società, i suddetti versamenti possono essere distribuiti tra i soci, in misura corrispondente a quanto da ciascuno versato solo in caso di saturazione della riserva legale (così, Corte di Cassazione n. 16393 del 24 luglio 2007).

Stando così le cose, la Corte di Cassazione ha quindi confermato che il bilancio della società ricorrente era errato in quanto gli amministratori avevano iscritto i versamenti dei soci in conto futuro aumento capitale del sociale come debiti, anziché come riserve di patrimonio.

Il ricorso è stato quindi rigettato con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di lite.

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