25 Gennaio 2022

I criteri per la formazione della porzione disponibile e la garanzia fideiussoria

di Corrado De Rosa, Notaio

Cassazione civile, sez. II, 9 novembre 2021, n. 32804– D’ASCOLA – Presidente – TEDESCO– Relatore

(C.c. art. 556 ss.)

Massima: “Nella formazione della massa per la individuazione della porzione disponibile, ex art. 556 c.c., analogamente a quanto accade per la determinazione della base imponibile ai fini dell’imposta di successione, si detrae dal valore dei beni relitti solo quello dei debiti del defunto aventi esistenza attuale e certa, fatta salva la reintegrazione della legittima, previa rettifica del calcolo allorché il debito venga ad esistenza in un momento successivo; ne consegue che il debito derivante dalla fideiussione prestata dal “de cuius” è detraibile se e nella misura in cui sia dimostrata l’insolvibilità del debitore garantito o l’impossibilità di esercitare l’azione di regresso.”

CASO

Il defunto T.C. decede lasciando, quali legittimari, il coniuge M.V. e i figli T.F. e T.I. Tuttavia, con testamento olografo il de cuius aveva lasciato l’intero suo patrimonio alla figlia T.I., Pertanto, T.F. e il coniuge M.V., legittimari pretermessi, convengono in giudizio T.I per essere reintegrati nella propria quota di riserva. Il Giudice di prime cure aveva definito la lite nei seguenti termini: i) aveva accertato l’entità dei beni relitti; ii) aveva detratto il passivo ereditario, ravvisato in una fideiussione bancaria rilasciata dal testatore a garanzia di un finanziamento accordato alla società A.F. S.r.l.; iii) aveva quindi determinato il valore netto del relictum; iv) aveva accertato che in occasione di una permuta di quote di immobili, intercorsa fra il de cuius e il figlio T.F., il primo aveva realizzato una liberalità in favore del secondo: l’entità della donazione era stata identificata nel divario di valore, a favore del figlio e a discapito del genitore, fra il valore delle quote oggetto di permuta. Ciò posto il Tribunale aveva poi riconosciuto la quota di legittima spettante a ciascuno dei tre legittimari, rigettando la domanda di riduzione proposta da T.F., che aveva ricevuto in donazione un valore superiore. La Corte d’Appello di Firenze, adita con appello principale da T.F. e con appello incidentale da M.V., ha confermato la sentenza. In particolare, ha riconosciuto che la fideiussione, a suo tempo rilasciata dal de cuius, fosse da includere fra le passività ereditarie. Per la cassazione della sentenza T.F. ha proposto ricorso, affidato a due motivi.

SOLUZIONE

Con il primo motivo T.F. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 556 c.c., e dell’art. 1552 c.c.. La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la Corte d’appello, in relazione alla permuta intercorsa fra il ricorrente e il padre, ha considerato oggetto di donazione la differenza di valore fra i beni scambiati. Con il secondo motivo il ricorrente sostiene che la fideiussione bancaria rilasciata dal defunto a garanzia del debito della A.F. S.r.l., assunta dalla Corte d’appello fra i debiti ereditari, non era in effetti una passività immediatamente detraibile ma vi doveva essere la prova dell’insolvenza del debitore principale. Secondo la Corte di Cassazione, il primo motivo del ricorso principale è infondato. Infatti, la permuta con la quale uno dei contraenti ottiene un bene di valore inferiore a quello trasferito all’altro contraente, può farsi rientrare nel negotium mixtum cum donatione. Sul punto, la S.C. ricorda che per la identificazione del negotium mixtum cum donatione non basta la qualifica che all’atto hanno voluto attribuire le parti ma occorre la volontà di compiere un atto a titolo oneroso, che presenta una causa, tipica o atipica, accompagnata dalla volontà di determinare l’arricchimento, come risultato dell’atto, e che la sproporzione sia voluta per spirito di liberalità. Il secondo motivo di censura, invece, è ritenuto fondato. Infatti, nella riunione fittizia ex art. 556 c.c., devono essere inclusi nella massa attiva e passiva solo diritti e obblighi aventi esistenza attuale e certa nel patrimonio ereditario. In ordine alla fideiussione, e ai debiti solidali in genere, opera una regola analoga a quella valevole per i debiti sottoposti a condizione sospensiva e quindi si escludono dal passivo, salvo le opportune correzioni qualora la condizione si verifichi. La Corte d’appello fiorentina, errando, aveva detratto a priori l’importo della fideiussione prestata dal defunto, in assenza di prova della attualità del depauperamento del patrimonio ereditario, ma senza tenere conto di un fatto idoneo, quanto meno in linea astratta, ad escludere l’operatività della garanzia.

QUESTIONI

La pronuncia in commento permette di analizzare la disciplina dell’art. 556 c.c. e di come questa norma si concretizzi nel caso in cui il de cuius abbia in vita rilasciato una fideiussione. In primo luogo, per la determinazione della quota legittima, è necessario procedere con la “riunione fittizia” che si concretizza nella (i) formazione del relictum; (ii) detrazione dei debiti (iii) riunione fittizia delle donazioni.  La prima operazione pertanto è volta a determinare il relictum, ossia la massa dei beni appartenenti al defunto al momento dell’apertura della successione. È necessario accertare quali beni il defunto ha lasciato morendo e determinare il valore che essi avevano al momento della morte. Ai fini del calcolo la dottrina (Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2015, p. 513; Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria in Tratt.dir.civ. e comm., 2000, p.177) ricorda che vanno considerati gli acquisti effettuati dal de cuius sotto condizione risolutiva, mentre non vanno considerati quelli sotto condizione sospensiva, e, per converso, non vanno considerate le alienazioni effettuate sotto condizione risolutiva, mentre vanno considerate quelle sotto condizione sospensiva, il tutto con la precisazione che l’avveramento della condizione potrà dar luogo a rettifica del calcolo. Altresì non vanno considerati i frutti naturali o civili non ancora maturati e non vanno considerati i diritti che si estinguono con la morte del titolare o che, al contrario, gli eredi acquistano iure proprio in conseguenza di essa (ad esempio i premi di assicurazioni sulla vita, risarcimento del danno da morte). A contrario, il relictum comprende le aziende e il relativo avviamento e i beni che il de cuius ha acquistato con patto di riservato dominio o in leasing, indicando nelle passività il debito delle rate di prezzo non ancora pagate (D’Amelio, L’azienda commerciale nella successione ereditaria, in Riv. Dir. Comm., 1913, II, p.17; Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria in Tratt.dir.civ. e comm., 2000, p.178). In un secondo momento, formata la massa dei beni relitti e determinatone il valore, devono essere detratti i debiti, intendendosi con ciò non solo i debiti contratti dal de cuius, ma anche quelli occasionati dalla morte: le spese funerarie, pubblicazione del testamento o la redazione dell’inventario (Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria in Tratt.dir.civ. e comm., 2000, p.178). Devono essere detratti anche i debiti che il defunto aveva verso il legittimario (Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2015, p. 513). Tuttavia, non vanno detratti i legati sia che si tratti di legati di specie, i quali concorrono a formare la massa dei beni relitti od obbligatori, i quali non sono debiti ereditari ma liberalità (Cass. n. 417/1969). Non vanno detratte le obbligazioni naturali non essendo obbligazioni civili. In particolare, ai nostri fini, i debiti sottoposti a condizione risolutiva si detraggono mentre non si detraggono quelli sospensivamente condizionati, restando salve in ambedue i casi le rettifiche derivanti dall’avverarsi della condizione (Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2015, p. 513; Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria in Tratt.dir.civ. e comm., 2000, p.177). Calcolato l’ammontare delle passività, esse, ai sensi della disposizione in commento, si detraggono dal solo relictum. Ove manchi il relictum e siano presenti solo debiti, la quota legittima andrà calcolata con riferimento ai soli beni donati. Infine, si deve procedere alla riunione fittizia delle donazioni, ossia il c.d. donatum. Al valore netto dei beni relitti risultante dalle due precedenti operazioni contabili (determinazione del relictum e sottrazione delle passività) va aggiunto il valore dei beni di cui il defunto ha disposto in vita a titolo di donazione. Il valore dei beni va determinato i base alle regole della collazione, ossia con riferimento al tempo dell’apertura della successione (Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2015, p. 513). Perciò nella riunione fittizia vanno ricomprese: i) le spese effettuate dal de cuius a favore dei suoi discendenti per assegnazioni fatte a causa di matrimonio, per avviarli all’esercizio di un’attività produttiva o professionale, per soddisfare premi concernenti contratti di assicurazione sulla vita o per pagare i loro debiti; ii) le donazioni effettuate con dispensa dalla collazione; iii) le donazioni rimuneratorie; iv) le donazioni modali. A contrario, non si computano nella riunione fittizia le spese di mantenimento ed educazione, quelle sostenute per malattia, quelle per abbigliamento o nozze, o le liberalità che si sogliono fare in occasione di servizi resi o in conformità agli usi. Infine, sulla massa in tal modo formata (relictum decurtato del debito ed addizionato del donatum), si calcola quanto spetta al legittimario sulla base della quota stabilita dalla legge in base alle regole previste dagli artt. 536 c.c. ss.: la quota disponibile è data dalla differenza tra l’intero e la legittima. Nel caso di specie, la Corte d’appello, nella riunione fittizia aveva detratto l’importo della fideiussione prestata dal defunto. Tuttavia, in materia tributaria la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che i soli debiti ereditari deducibili sono quelli liquidi ed esigibili. Infatti, “le eventuali fideiussioni prestate dal de cuius non costituiscono passività deducibili, a meno che al momento dell’apertura della successione sussista l’insolvibilità del debitore garantito o l’impossibilità di esercitare l’azione di regresso, con il conseguente effettivo depauperamento dell’attivo ereditario (Cass. n. 4419/2008). In altri termini “la fideiussione (anche omnibus) prestata dal dante causa intanto può costituire passività deducibile dall’asse ereditario in quanto al momento dell’apertura della successione sussista l’insolvibilità del debitore garantito oppure sussista in concreto l’impossibilità di esercitare l’azione di regresso, non essendo deducibile dall’attivo ereditario, ai fini dell’imposta di successione, un debito che non sia certo e liquido.” (Cass. n. 5969/2007)”. Pertanto, in ordine alla fideiussione e ai debiti solidali in genere, opera una regola analoga a quella valevole per i debiti sottoposti a condizione sospensiva: tali debiti devono essere esclusi dal passivo, salvo le opportune correzioni qualora la condizione si verifichi. In palese contrasto con tali principi, la Corte d’appello fiorentina ha detratto a priori l’importo della fideiussione prestata dal defunto, ritenendo circostanza irrilevante persino che il conto corrente del debitore principale, cui ineriva la garanzia, fosse stato chiuso in epoca ampiamente precedente all’apertura della successione. Insomma, il debito da fideiussione è stato detratto dall’attivo in assenza di prova della attualità del depauperamento del patrimonio ereditario, e senza tenere conto di un fatto idoneo, quanto meno in linea astratta, ad escludere l’operatività della garanzia. Da ultimo, pertanto bisogna osservare che la vigenza di una garanzia fideiussoria, nonostante la morte del garante, non giustifica di per sé la deduzione attuale dall’attivo ereditario ai fini della riunione fittizia. A questi effetti non solo si richiede, quale ovvio ed essenziale presupposto, che l’obbligazione garantita non sia stata estinta, ma occorre la dimostrazione dell’insolvibilità del debitore garantito o dell’impossibilità di esercitare l’azione di regresso. Sulla base di tali motivi, la Corte di Cassazione cassa con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

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