Le Sezioni Unite ribadiscono l’inutilizzabilità del regolamento di competenza per dirimere i conflitti tra giudice penale e giudice civile
di Massimo Montanari, Professore ordinario di Diritto processuale civile e di diritto fallimentare – Università degli Studi di ParmaCass., Sez. Un., 6 dicembre 2021, n. 38596 Pres. Raimondi – Rel. Nazzicone
Competenza – Conflitto tra sezioni civili e penali dello stesso ufficio giudiziario – Regolamento di competenza – Inammissibilità – Rimessione degli atti al Presidente del tribunale (C.p.c. artt. 42, 43, 45, 168-bis, 273, 274; Disp. att. c.p.c. art. 83-ter; C.p.p. artt. 28-32)
[1] La ripartizione della potestas iudicandi tra giudice civile e giudice penale all’interno dello stesso ufficio giudiziario non disegna distinte aree di competenza né la violazione delle norme che presiedono a tale riparto può essere denunciata a mezzo di regolamento di competenza ex artt. 42, 43 e 45 c.p.c. .Qualora il giudice civile, ricevuti gli atti dal giudice penale, ritenga a sua volta di non essere competente, è tenuto a disporne la rimessione al Presidente dell’ufficio giudiziario interessato, affinché designi il giudice presso il quale deve proseguire il procedimento.
CASO
[1] A séguito del regolamento di competenza proposto, ai sensi dell’art. 42 c.p.c., avverso l’ordinanza con cui il Tribunale civile di Sondrio, adito nelle forme del rito sommario ex art. 702-bis ss. c.p.c., aveva rigettato come inammissibile la domanda diretta alla rideterminazione di quanto dovuto alla parte istante a séguito del sequestro in sede penale delle somme esistenti su un libretto di deposito bancario ad essa parte intestato e del successivo ordine di dissequestro parziale – declaratoria di inammissibilità fondata sul rilievo che, risolvendosi quella pretesa di rideterminazione nella contestazione del merito della misura di dissequestro che ne era stata all’origine, rectius, dell’annesso ordine di restituzione delle somme oggetto della misura medesima, di detta pretesa non avrebbe dovuto conoscere il giudice civile, bensì il giudice penale, ossia, nella specie, il Tribunale penale della stessa città -, la Sezione VI della Corte di cassazione aveva ritenuto, con ordinanza interlocutoria 24 maggio 2021, n. 14174 (al cui riguardo cfr. Asprella, Conflitto negativo tra giudice civile e penale e regolamento di competenza, in www.ilprocessocivile.it, 29 giugno 2021; nonché, si vis, Montanari, Conflitto tra giudice penale e giudice civile e regolamento di competenza, in questa Rivista, 29 giugno 2021) di disporre la rimessione degli atti al Primo Presidente affinché valutasse l’opportunità di affidare la decisione del regolamento alle Sezioni unite: e questo in vista della soluzione, da parte del supremo organo nomofilattico, della questione di massima di particolare importanza inerente alla possibilità di estendere l’area applicativa del regolamento di competenza, disciplinato dal codice di rito civile, sulla scorta di un’interpretazione che renda la relativa disciplina simmetrica rispetto a quella posta, in materia penale, dall’art. 28 c.p.p., nel senso, per l’esattezza, che, come al giudice penale è dato, in base a detta norma, di fare applicazione dello strumento del conflitto di competenza nei casi in cui la divergenza di determinazione tra un giudice civile e un giudice penale abbia a condurre a una situazione di stallo in quanto tale lesiva dei canoni del giusto processo, allo stesso modo, reciprocamente, dovrebbe essere consentito al giudice civile di ammettere il ricorso al regolamento di competenza per dirimere le questioni di assegnazione della potestas iudicandi all’uno o all’altro giudice o sezione del medesimo ufficio di tribunale, sempre quando la contrastante determinazione assunta dall’uno e dall’altro rasenti il rischio di una stasi processuale.
Il Primo Presidente ha raccolto questa sollecitazione, investendo della questione le Sezioni unite, che al riguardo si sono pronunciate con la sentenza i cui contenuti si vanno ora a rapidamente illustrare.
SOLUZIONE
[1] L’audace operazione ricostruttiva adombrata nell’ordinanza interlocutoria della VI Sezione non ha trovato riscontro nella pronuncia in esame delle Sezioni unite. Ma è da escludere che il rifiuto del supremo consesso di muovere in quella direzione sia frutto di gretto conservatorismo o misoneismo.
Dopo aver dato atto delle ragioni che ne hanno giustificato il coinvolgimento nella fattispecie – perdurante contrasto tra le sezioni civili e penali della Cassazione intorno all’idoneità dei conflitti di attribuzione che possano sorgere tra giudice civile e giudice penale a dar corpo ad un autentico conflitto di competenza: negata, quella idoneità, dalla Cassazione civile, indipendentemente da che si tratti di conflitto insorto tra le sezioni civili e penali di un medesimo tribunale (Cass., Sez. un., 3 settembre 2009, n. 19161; Cass., Sez. un., 31 ottobre 2008, n. 26296) oppure tra giudici civili e penali appartenenti a differenti uffici giudiziari (Cass., 6 febbraio 1971, n. 316) e affermata, viceversa, dalla Cassazione penale, anche qui senza distinzioni tra contrasti interni a un medesimo ufficio (Cass. pen., Sez. I, 23 marzo 1998, n. 1947) o tra uffici differenti (Cass. pen., Sez. I, 22 novembre 2019, n. 52138) -, le Sezioni unite hanno ritenuto di dover innanzitutto sgombrare il campo dall’ipotesi di inquadrare entro la nozione tecnica di competenza, quale emergente dalle disposizioni del Capo I, Titolo I, Libro I del c.p.c., le attribuzioni riconosciute alle singole sezioni ordinarie di tribunale: e questo, all’esito di un’esaustiva ricognizione delle previsioni normative, contenute soprattutto all’interno della legge sull’ordinamento giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941, n. 12), ad esse sezioni afferenti, che ha permesso di evidenziarne (e confermarne) la natura di mere articolazioni interne dell’ufficio, raccordabili in via diretta ed esclusiva a ragioni d’ordine burocratico-organizzativo, attinenti all’esigenza di una razionale distribuzione del lavoro all’interno dei plessi giudiziari interessati.
Trattandosi di decidere dell’ammissibilità dell’istanza di regolamento esperita ex art. 42 c.p.c. contro la declaratoria di incompetenza di un giudice civile a favore del giudice penale dello stesso tribunale, il discorso poteva già, allora, reputarsi concluso; se non fosse che, a quel punto, doveva entrare in scena l’art. 28 c.p.p., della cui disciplina occorreva appurare le possibilità di valorizzazione in sede civile, secondo la prospettiva dischiusa al riguardo dall’ordinanza interlocutoria.
Ancorché quest’ultima non ne facesse menzione alcuna, le Sezioni unite hanno stimato opportuno porsi anche il problema dell’applicabilità diretta, e non meramente analogica, di quella norma al processo civile. Questa strada è apparsa immediatamente, però, come impercorribile, sulla scorta di varie considerazioni tra le quali, fondamentale, quella per cui: i) se l’art. 28, 1° co., lett. b), ravvisa gli estremi del conflitto di competenza allorché «due o più giudici ordinari contemporaneamente prendono o ricusano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona»; ii) e, dunque, assume a indefettibile premessa della propria applicabilità quella che è definita la «cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona»; iii) «in nessun caso la giurisdizione in àmbito civile può assumere, a proprio oggetto di cognizione, l’attribuzione di un fatto alla stessa persona ai fini della statuizione penale, ossia l’imputazione di una condotta suscettibile di sanzione».
Ciò posto, inevitabile è stato allora il confronto con la questione, direttamente sollevata dall’ordinanza n. 14174/2021, dell’estensibilità di quella norma penale al giudizio civile sulla base di un’interpretazione di tipo analogico, ovverosia della possibilità di far leva sulla ratio legis di detto art. 28 c.p.p. – leggi: necessità di porre rimedio ad una altrimenti inevitabile situazioni di stallo processuale – ai fini di una lettura delle norme sul regolamento di competenza che consenta l’impiego di questo strumento anche per dirimere i conflitti, che di competenza non sono, tra giudici civili e penali dello stesso ufficio.
Che la situazione di stallo processuale legata al conflitto di cui si discute possa effettivamente trovare un rimedio tempestivo ed efficace nel regolamento di competenza, è dato di cui i supremi giudici mostrano di fortemente dubitare. Ma a precludere, a detta degli stessi, il ricorso, nella fattispecie, all’analogia, è un altro, e preliminare, rilievo, e, cioè, che, se l’invocazione di questo criterio ermeneutico postula la presenza di una lacuna nel tessuto normativo, come inequivocabilmente sancito dall’art. 12, 2° co, disp. prel. c.c., di un’effettiva lacuna non sarebbe qui il caso parlare. E questo, perché uno strumento che permetta di superare rapidamente le situazioni di “stasi” processuale indotte dai conflitti de quibus, è, in realtà, ricavabile dal sistema, che impone di guardare in tal veste al rimedio di “foro interno” della rimessione degli atti al Presidente del tribunale, come asseverato dalle diverse norme – artt. 168-bis, 273 e 274 c.p.c. e 83-ter disp. att. c.p.c. – che detta rimessione richiedono ove si ponga un problema di assegnazione dei carichi dell’ufficio ad una piuttosto che ad altra delle sue interne partizioni.
Quid iuris allorché il giudice, come avvenuto nel caso concreto, non disponga la rimessione degli atti al Presidente ma definisca il procedimento avviato al suo cospetto con una declaratoria di inammissibilità, corredata dalla liquidazione delle spese ? Le Sezioni unite si sono misurate anche con questo problema, affermando che l’errore (asseritamente) commesso dal giudice negando la propria potestas iudicandi avrebbe dovuto essere denunciato a mezzo dell’appello e, precisamente, dell’appello ex art. 702-quater c.p.c., trattandosi, come s’è detto, di procedimento promosso nelle forme del rito sommario di cognizione.
Essendo stato esperito il regolamento di competenza in luogo dell’appello, il supremo consesso ha però avvertito la necessità di valutare altresì se non si fosse in ipotesi consumata una lesione dell’affidamento a danno della parte, indotta a qualificare quello concretamente emesso come provvedimento sulla competenza: nel qual caso il gravame proposto non avrebbe comunque potuto dichiararsi inammissibile, in nome di quel “principio dell’apparenza” – parte integrante, sul versante processuale, delle garanzie predisposte a tutela delle ragioni dell’affidamento – che esclude possa andare a danno della parte la scelta di un gravame congruo all’espressa, ancorché, errata qualificazione che il giudice abbia dato della propria decisione (v., da ultima, Cass., 24 giugno 2021, n. 18182). Nel caso di specie dunque, discutendosi dell’ammissibilità di un regolamento di competenza, la diagnosi avrebbe potuto risultare favorevole ove l’ordinanza impugnata fosse univocamente suscettibile, secondo un’analisi oggettiva di buona fede, di essere interpretata come pronuncia declinatoria della competenza, soggetta a regolamento necessario: ciò che la Corte ha però fermamente escluso, pervenendo in tal modo alla definizione del giudizio apertosi al suo cospetto, sulla base di una nutrita serie di indici che è inutile, in questa sede, richiamare, stante il loro valore contingente e la conseguente mancanza di un autonomo rilievo nomofilattico.
QUESTIONI
[1] Nel dar conto, annotando l’ordinanza interlocutoria n. 14174/2021, di come la materia dei conflitti (negativi) tra giudici civili e penali sia data, tendenzialmente, da autentiche controversie civili, in quanto fondate sulla richiesta di accertamento e/o liquidazione di diritti soggettivi, e dunque si tratti sempre, in buona sostanza, dell’esercizio di autentica iurisdictio civile, mi era parso naturale osservare che, «se è giusto non parlare di competenza ove il problema riguardi la distribuzione di tale iurisdictio tra sezioni civili e penali dello stesso tribunale, non si vede, al contempo, motivo perché il problema non possa essere affrontato e risolto secondo gli stilemi tipici della ripartizione del contenzioso tra le distinte sezioni civili del tribunale, con quanto ciò significa in termini di devoluzione degli eventuali conflitti al Presidente dell’ufficio giudiziario coinvolto» (Montanari, op. cit.). Si può comprendere agevolmente, pertanto, come la conforme posizione maturata sul punto dalle Sezioni unite non possa che essere accolta dallo scrivente con estremo favore, cui peraltro si abbina il rammarico per non avere, lo stesso consesso, allargato lo sguardo alla contigua ipotesi – beninteso esorbitante dai confini della fattispecie sottoposta al suo esame – del conflitto insorto tra giudici civili e penali appartenenti ad uffici giudiziari diversi, il cui inquadramento in termini di vera e propria figura di conflitto di competenza non suona, viceversa, peregrino, ove si muova dalla premessa enunciata in apertura di questo paragrafo ((Montanari, op. cit.).
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