14 Dicembre 2021

L’ex socio non risponde dell’obbligo di restituzione della caparra gravante sulla società

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 23 giugno 2021, n. 17969 – Pres. Frasca – Rel. Gorgoni

Parole chiave: Caparra confirmatoria – Obbligo di restituzione – Fattispecie costitutiva – Recesso dal contratto – Inadempimento precedente – Irrilevanza – Scioglimento del rapporto sociale anteriormente al recesso – Responsabilità del socio ai sensi dell’art. 2290 c.c. – Insussistenza

[1] Massima: L’esercizio del diritto di recesso ex art. 1385 c.c. determina lo scioglimento del vincolo contrattuale e radica la pretesa risarcitoria quantificata forfettariamente in relazione all’oggetto della caparra confirmatoria, sebbene l’inadempimento si sia verificato prima; ne consegue che, qualora il socio di una società di persone abbia trasferito a terzi la propria quota prima che alla società inadempiente venisse manifestata dalla controparte la volontà di recedere dal contratto, egli non risponde dell’obbligazione di restituzione del doppio della caparra sorta in capo alla società per effetto del recesso ai sensi dell’art. 1385 c.c.

Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1385, 2267, 2290

CASO

Tra due società veniva concluso un contratto avente per oggetto la somministrazione di caffè, in forza del quale la somministrante, a garanzia degli impegni assunti e a titolo di caparra confirmatoria, corrispondeva alla somministrata la somma di € 5.000,00.

Stanti i numerosi inadempimenti contestati alla controparte, la somministrante comunicava il recesso dal contratto e agiva in giudizio nei confronti della società somministrata e dei suoi soci ai sensi dell’art. 2267 c.c., per ottenere la restituzione del doppio della caparra versata.

Il decreto ingiuntivo così emesso veniva opposto da uno dei soci, il quale sosteneva di non essere solidalmente obbligato con la società, dal momento che aveva ceduto la propria partecipazione prima che fosse stato comunicato il recesso dal contratto di somministrazione e fosse insorto, quindi, il diritto alla restituzione della caparra azionato in via monitoria.

Tanto il Tribunale di Modena, quanto la Corte d’appello di Bologna reputavano fondato tale assunto, sicché la società somministrante si vedeva costretta a ricorrere per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione ha respinto il ricorso, affermando che, al fine di ravvisare o meno la responsabilità solidale dell’ex socio, ai sensi dell’art. 2290 c.c., in relazione all’obbligo della società somministrata di restituire il doppio della caparra versatale, non assumeva rilievo né il momento in cui era stato concluso il contratto di somministrazione, né il fatto che, già prima della cessione della partecipazione sociale, si erano verificati inadempimenti da parte della somministrata, dovendosi avere riguardo esclusivamente alla situazione esistente quando, a seguito dell’esercizio del diritto di recesso, era giuridicamente sorta l’obbligazione restitutoria.

QUESTIONI

[1] La sentenza che si annota offre lo spunto per svolgere alcune riflessioni sulle peculiarità che caratterizzano l’istituto della caparra confirmatoria e sul modo in cui esse influiscono sulla responsabilità dell’ex socio di una società di persone in merito all’obbligo di restituzione che consegue allo scioglimento del contratto per inadempimento.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la caparra confirmatoria è un contratto reale, che si perfeziona con la consegna del denaro o delle altre cose fungibili che ne possono formare l’oggetto (in questo senso, da ultimo, Cass. civ., sez. VI, 7 luglio 2021, n. 19265); pertanto, fino a che non viene effettuata detta consegna, non si producono gli effetti tipicamente previsti dall’art. 1385 c.c.

La caparra confirmatoria, pur essendo fondamentalmente diretta a garantire ovvero a rafforzare l’esecuzione del contratto, ha natura poliedrica, visto che, da un lato, consente alla parte non inadempiente di recedere a fronte dell’altrui violazione dei propri obblighi, senza dovere adire preventivamente il giudice (avendo, in questo senso, una funzione di autotutela) e, dall’altro lato, determina, in tali casi, la forfettaria liquidazione del danno, senza che sia necessario provarne l’esistenza e l’entità, salvo che la parte non inadempiente preferisca avvalersi degli altri rimedi previsti dall’ordinamento, esercitando l’azione volta alla declaratoria della risoluzione del contratto e alla pronuncia delle conseguenti condanne restitutorie e risarcitorie, soggiacendo ai relativi oneri di allegazione e probatori.

Il recesso previsto dall’art. 1385, comma 2, c.c., cui è funzionalmente collegata la caparra, configura uno speciale strumento di risoluzione del contratto, che si affianca agli altri contemplati dall’ordinamento (e, precisamente, dagli artt. 1454, 1456 e 1457 c.c.), vista la sostanziale omologabilità dei presupposti (sussistenza di un inadempimento grave e colpevole) e delle conseguenze (caducazione retroattiva degli effetti del contratto). Da questo punto di vista, anche quando la parte non inadempiente decida di agire in via ordinaria per la risoluzione del contratto, rinunciando così all’esercizio del diritto di recesso attribuitole dall’art. 1385 c.c., l’obbligo di restituzione della caparra è nondimeno correlato agli effetti propri della risoluzione negoziale, come conseguenza del venire meno della causa della corresponsione, ferma restando la perdita della funzione di limitazione forfettaria e predeterminata della pretesa risarcitoria (in questi termini, di recente, Cass. civ., sez. II, 12 luglio 2021, n. 19801).

Tenuto conto di ciò, sia quando la risoluzione è l’effetto del recesso esercitato dalla parte non inadempiente, sia quando essa deriva dalla pronuncia della sentenza che, accertata la ricorrenza delle condizioni previste dalla legge, l’abbia dichiarata, la genesi dell’obbligo, a carico della parte inadempiente, di restituire la caparra si colloca in corrispondenza ovvero in concomitanza del fatto generatore dello scioglimento del vincolo contrattuale, con la differenza che solo nel secondo caso tale obbligo ha fonte nella sopravvenuta carenza di titolo dell’originaria dazione, quale conseguenza dell’efficacia ex tunc – ovvero retroattiva – della risoluzione e, nel contempo, ha per oggetto una somma di denaro che ha perso la funzione di limitazione forfettaria e predeterminata della pretesa risarcitoria.

Un tanto esplica riflessi anche sulla posizione dei soggetti che possono essere obbligati in via solidale alla restituzione della caparra e, per quanto specificamente interessa, su quella di colui che ha perso la qualità di socio prima che l’effetto risolutorio si producesse. Si tratta, evidentemente, dell’ipotesi in cui l’obbligazione in parola gravi su una società di persone e non di capitali, essendo prevista solo nel primo caso (e non anche nel secondo) una responsabilità concorrente dei soci per i debiti sociali, per effetto della limitata autonomia patrimoniale che caratterizza il tipo sociale.

Ebbene, come ha osservato la sentenza che si annota, anche se il presupposto per avvalersi del diritto di recesso di cui all’art. 1385 c.c. (ossia, nel caso di specie, l’inadempimento della società somministrata) sussisteva già quando il socio faceva ancora parte della compagine, rileva pur sempre, ai sensi e per gli effetti previsti dagli artt. 2267 e 2290 c.c., il momento in cui la facoltà di provocare lo scioglimento del contratto è stata concretamente esercitata.

Poiché, come evidenziato in precedenza, è all’esercizio della facoltà di recesso che si ricollegano, in relazione a quanto previsto dall’art. 1385 c.c., la caducazione della convenzione negoziale e l’esplicazione degli effetti che discendono dal venire meno del contratto in conseguenza del recesso, per valutare se chi, in quel momento, non era più socio sia nondimeno obbligato al pagamento del doppio della caparra versata occorre tenere conto del fatto che:

  • l’art. 2290, comma 1, c.c. stabilisce che, quando il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi sono responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento;
  • la posizione dell’ex socio è ancorata al momento in cui il rapporto si è sciolto e ha per oggetto la responsabilità per le obbligazioni sociali versi i terzi secondo quanto disposto dall’art. 2267 c.c.

A tale riguardo, l’obbligazione di corrispondere il doppio della caparra confirmatoria a titolo di risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 1385 c.c., viene a giuridica esistenza quando la parte non inadempiente esercita il diritto di recesso, a prescindere dal momento in cui si colloca la condotta che la legittima ad avvalersene; di conseguenza, se già prima di allora il socio aveva dismesso la propria partecipazione, ossia se lo scioglimento del rapporto sociale si è verificato quando ancora non era insorto l’obbligo restitutorio, la fattispecie costitutiva della responsabilità di cui all’art. 2290 c.c. non può dirsi integrata, giacché il contratto non si era ancora risolto e, di conseguenza, non era venuta in essere alcuna obbligazione restitutoria, secondo il meccanismo configurato dall’art. 1385 c.c.

Da questo punto di vista, l’esistenza di un inadempimento pregresso, che pure avrebbe potuto giustificare l’esercizio della facoltà di recesso in un momento in cui il socio faceva ancora parte della compagine sociale, non assume rilevanza ai sensi dell’art. 2290 c.c., atteso che la responsabilità ivi disciplinata restava comunque condizionata al recesso, ossia a un evento futuro, incerto e nient’affatto attuale, come invece prescrive la norma.

Diversamente, secondo i giudici di legittimità, se la somministrante avesse agito in via ordinaria ai sensi dell’art. 1453 c.c. e avesse fatto valere pretese risarcitorie ricollegate a inadempimenti commessi anteriormente allo scioglimento del vincolo sociale, in quel caso avrebbe potuto invocare l’art. 2290 c.c., perché l’obbligazione risarcitoria non avrebbe avuto titolo nel recesso (ossia in un fatto intervenuto dopo la fuoriuscita del socio), ma in una condotta verificatasi quando il rapporto sociale era ancora in essere, seppure accertata in un momento successivo.

Tale distinzione, in verità, presta il fianco a qualche perplessità, visto che risulta obiettivamente difficile giustificare un trattamento differenziato di situazioni sostanzialmente analoghe (in entrambi i casi, infatti, la fonte della responsabilità risarcitoria è pur sempre l’altrui inadempimento), solo per il diverso meccanismo che determina l’insorgenza dell’obbligazione di pagamento, che, tuttavia, sottende la medesima esigenza di tutela, perseguita attraverso due strumenti (la pattuizione di una caparra confirmatoria e l’azione di risoluzione del contratto) che, come ribadito dagli stessi giudici di legittimità, sono accomunati sia quanto ai presupposti, sia quanto agli effetti.

Questa, tuttavia, è la ragione per la quale, nella sentenza che si annota, è stato reputato necessario correggere la motivazione della pronuncia gravata (che era pervenuta a conclusioni identiche), nella quale, in effetti, era stato assunto, quale elemento discriminante, il momento in cui si era collocato l’inadempimento rilevante ai fini del recesso dal contratto di somministrazione.

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