16 Novembre 2021

Gli errori del progettista e del direttore dei lavori non escludono la responsabilità dell’appaltatore per i vizi e i difetti dell’opera

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. II, 22 giugno 2021, n. 17819 – Pres. Di Virgilio – Rel. Carrato

Parole chiave: Appalto – Vizi e difetti dell’opera – Carenze del progetto e delle indicazioni fornite dal direttore dei lavori – Mancata segnalazione – Responsabilità dell’appaltatore – Sussistenza

[1] Massima: In tema di appalto, l’appaltatore, anche quando sia chiamato a realizzare un progetto altrui, è sempre tenuto a rispettare le regole dell’arte e a controllare, nei limiti delle sue cognizioni e in relazione alla perizia e alla capacità tecnica esigibili nel caso concreto, la bontà delle istruzioni impartite dal committente, ovvero la presenza di errori imputabili al progettista o al direttore dei lavori, potendo andare esente da responsabilità, qualora ravvisi palesi incongruità, soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto a eseguirle quale nudus minister, per le insistenze del committente. Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza potere invocare un concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori.

Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1176, 1218, 1667, 1668, 1669

CASO

I soci di una società che aveva eseguito un intervento di manutenzione straordinaria finalizzato all’eliminazione delle barriere architettoniche di un immobile destinato ad abitazione, agivano in giudizio nei confronti dei committenti per ottenere, in qualità di cessionari del credito avente titolo nel contratto d’appalto, il corrispettivo delle opere realizzate.

I convenuti contestavano di essere tenuti al pagamento, eccependo vari inadempimenti dell’appaltatrice e chiedendo, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto: nello specifico, veniva lamentato che, nel corso dei lavori, erano emersi numerosi difetti costruttivi che, confliggendo con le prescrizioni dettate dalla normativa diretta a favorire il superamento e l’abbattimento delle barriere architettoniche, avevano pregiudicato il raggiungimento dell’obiettivo finale della loro eliminazione.

Il Tribunale di Bergamo reputava fondate tali doglianze e dichiarava la risoluzione del contratto d’appalto, condannando gli attori alla restituzione di tutti gli acconti percepiti e al risarcimento dei danni, in solido con il direttore dei lavori (chiamato in causa dai committenti).

Riformando la sentenza di primo grado, invece, la Corte d’appello di Brescia condannava i committenti a pagare quanto era stato loro richiesto (sia pure in misura inferiore, a seguito di una parziale decurtazione dell’importo azionato), ritenendo che l’impresa appaltatrice avesse agito come mera esecutrice di ordini e progetti altrui, sicché non poteva esserle imputato alcun inadempimento.

I committenti, pertanto, proponevano ricorso per cassazione, lamentando che i giudici di secondo grado non avessero considerato inadempiente l’appaltatrice per non avere rilevato e segnalato le carenze del progetto e le erronee indicazioni impartite dal direttore dei lavori.

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, in ragione del fatto che l’appaltatore, anche quando si attiene – nella realizzazione dell’opera commissionatagli – al progetto fornito dal committente e alle indicazioni impartite dal direttore dei lavori, risponde dei vizi e dei difetti accertati, se abbia omesso di segnalare le carenze e gli errori riscontrabili sulla base dell’ordinaria diligenza, salvo che, nel caso specifico, non abbia svolto il ruolo di mero esecutore delle istruzioni ricevute, senza alcuna possibilità di iniziativa o di vaglio critico.

QUESTIONI

[1] L’ordinanza che si annota enuncia alcuni principi fondamentali per delineare la responsabilità dell’appaltatore per i vizi e i difetti dell’opera realizzata, quando questi dipendano (in tutto o in parte) da errori ascrivibili al progettista o al direttore dei lavori, ovvero da indicazioni impartite direttamente dal committente.

L’appalto è il contratto con il quale l’appaltatore assume, a proprio rischio, l’obbligo di compiere un’opera o un servizio verso un corrispettivo in denaro, avvalendosi della propria organizzazione imprenditoriale e agendo in piena autonomia, ossia senza alcun vincolo di subordinazione nei confronti del committente.

Si ritiene che l’obbligazione dell’appaltatore sia tipicamente di risultato, essendo egli tenuto a compiere ogni attività finalizzata a raggiungere lo scopo perseguito dal committente con l’affidamento dell’incarico.

Nell’esecuzione delle prestazioni demandategli, l’appaltatore è tenuto a osservare la regola dell’arte, ossia i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro commissionatogli, onde evitare che l’opera possa risultare affetta da vizi o difetti che, da un lato, ne minino l’integrità e, dall’altro lato, la rendano inidonea all’assolvimento dello scopo cui è destinata.

Dal punto di vista contenutistico, le obbligazioni dell’appaltatore vanno individuate sulla scorta delle previsioni contrattuali che descrivono e specificano l’oggetto dell’appalto, nonché sulla base delle conoscenze tecnico-scientifiche del settore, dei principi tecnici e degli usi che presiedono, nel momento storico e nel luogo in cui l’opera dev’essere realizzata, all’esecuzione dei lavori affidati: si tratta, più precisamente, del complesso di regole che concernono la sicurezza, la stabilità e l’utilizzabilità dell’opera e che possono arrivare a riguardarne anche l’aspetto estetico.

L’obbligo di rispettare tali regole prescinde da una specifica previsione del contratto, perché la conformazione a esse è direttamente ascrivibile al canone della diligenza, cui l’appaltatore, come ogni debitore, deve conformare la propria condotta nell’adempimento delle obbligazioni che gravano su di lui.

Peraltro, stante la qualifica di soggetto che opera professionalmente nello svolgimento della propria attività imprenditoriale, l’appaltatore non può limitarsi a osservare la diligenza esigibile dall’uomo medio, ma deve attenersi a quella che caratterizza il settore in cui esplica la sua professionalità: in questo senso, la qualità di imprenditore che  riveste e l’elevato tasso tecnico della prestazione alla quale è obbligato, impongono all’appaltatore di adottare una particolare perizia nell’esecuzione dell’opera affidatagli, che consenta di raggiungere e di soddisfare le utilità connesse all’incarico commissionatogli.

È per tale motivo che, nel dovere di attenersi alle regole tecniche e di osservare la perizia che inerisce al campo di attività dell’appaltatore, rientra anche l’obbligo di verificare che l’opera, sia nella fase di progettazione che in quella di esecuzione, corrisponda alla funzionalità e all’utilizzabilità previste dal contratto: dal primo punto di vista, l’appaltatore deve valutare, sulla base delle proprie conoscenze specifiche, se le previsioni contrattuali, ovvero emergenti dalla documentazione tecnica o di progetto predisposta direttamente dal committente o da un professionista da lui incaricato, siano o meno in contrasto con le regole dell’arte, segnalando le criticità riscontrate e suggerendo i correttivi da apportare per non pregiudicare la realizzazione dell’opera; dal secondo punto di vista, l’appaltatore è chiamato a effettuare le scelte tecniche organizzative, produttive e realizzative che conducano all’esecuzione dell’opus perfectum.

In entrambi i casi, ogni volta che si verifichi un conflitto tra quanto richiestogli e quanto prescritto dalla regola dell’arte, che possa influire sul risultato dei lavori affidati e comporti la necessità di apportare dei correttivi (se non delle vere e proprie modifiche) rispetto a quanto inizialmente previsto e pattuito, l’appaltatore è tenuto a informarne il committente e a sottoporgli la diversa soluzione tecnica da adottare per assicurare il raggiungimento del risultato avuto di mira. Se, all’esito di tale segnalazione, il committente acconsente ai correttivi suggeriti dall’appaltatore, quest’ultimo dovrà senz’altro attuarli; se, al contrario, il committente debitamente informato insista comunque nel pretendere l’osservanza delle prescrizioni negoziali, all’appaltatore – che, in simili frangenti, assume il ruolo di nudus minister, ossia di mero esecutore materiale degli ordini del committente, senza alcuna possibilità di discostarsene – non potrà essere addebitata alcuna responsabilità.

Nel caso portato all’attenzione dei giudici di legittimità, andava senz’altro escluso che l’impresa appaltatrice potesse essere considerata alla stregua di un nudus minister (figura che non ricorre per il semplice fatto che l’opera venga eseguita sulla base di un progetto predisposto o fornito dal committente), giacché l’appaltatore, al fine di realizzare l’opera a regola d’arte, è tenuto a controllare, con la diligenza richiesta dal caso concreto (e pur sempre nei limiti delle cognizioni tecniche da lui esigibili), la congruità, la completezza e la bontà del progetto stesso e delle istruzioni impartite dal direttore dei lavori (il quale agisce per conto e su incarico del committente, al quale è legato da un rapporto di mandato), segnalando tempestivamente eventuali errori consistenti nella mancata previsione di accorgimenti o componenti necessari per rendere l’opera tecnicamente valida e idonea a soddisfare le esigenze del committente; solo se, dopo avere manifestato il proprio dissenso, sia stato, ciononostante, indotto a eseguire fedelmente quanto previsto dal progetto per le insistenze del committente e a rischio di quest’ultimo, l’appaltatore potrà andare esente da responsabilità, per l’assenza di qualsiasi profilo di autonoma iniziativa e di vaglio critico.

Nulla di tutto ciò era emerso in corso di causa (né alcun dissenso dell’appaltatore rispetto alle soluzioni progettuali ed esecutive indicategli, né alcuna manifestazione di volontà dei committenti in merito alle modalità di realizzazione delle opere commissionate), sicché la Corte di cassazione ha censurato la statuizione dei giudici di appello che avevano escluso la responsabilità dell’impresa appaltatrice, sulla quale, per effetto dell’obbligazione di risultato su di essa gravante, andavano riversate le conseguenze dei vizi e delle difformità riscontrate, senza che potesse essere invocato, al fine di escludere ciò, il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori.

Secondo un orientamento giurisprudenziale più che consolidato, la diligenza qualificata ex art. 1176, comma 2, c.c. – che impone all’appaltatore di impiegare le energie e i mezzi necessari per soddisfare l’interesse del committente ed evitare possibili eventi dannosi – rileva anche quando il progetto sia stato fornito dal committente o le istruzioni rivelatesi erronee o insufficienti siano ascrivibili al direttore dei lavori, perché nell’obbligazione dell’appaltatore e nella prestazione che è tenuto a eseguire rientra anche il controllo del progetto e delle indicazioni, nonché la segnalazione degli errori e delle correzioni da apportare.

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