La coibentazione dell’edificio condominiale non è opera gravosa o voluttuaria e le relative spese devono essere ripartite tra tutti i condomini
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFIl pagamento del singolo condomino direttamente al terzo creditore non estingue il debito pro quota nei confronti del condominio
In tema di spese per la conservazione delle parti comuni, l’obbligo del singolo partecipante di sostenere le spese condominiali, da un lato, e le vicende debitorie del condominio verso i suoi appaltatori o fornitori, dall’altro, restano del tutto indipendenti, il primo si fonda sulle norme che regolano il regime di contribuzione alle spese per le cose comuni (artt. 1118 e 1123 ss. c.c.), le seconde trovando causa nel rapporto contrattuale col terzo, approvato dall’assemblea e concluso dall’amministratore in rappresentanza dei partecipanti al condominio; ne consegue che il pagamento diretto eseguito dal singolo partecipante a mani del creditore del condominio non è idoneo ad estinguere il debito “pro quota” dello stesso relativo ai contributi ex art. 1123 c.c.
CASO
Gli attori, cinque condomini proprietari di unità condominiali interrate, agivano contro il condominio, convenuto, impugnando due delibere assembleari – risalenti rispettivamente all’aprile 2012 e all’agosto 2012 – con cui erano state ripartite tra tutti i condomini le spese straordinarie sostenute per la coibentazione del condominio. Parte attrice deduceva la propria estraneità ai lavori di installazione del c.d. “cappotto” termico nell’edificio condominiale in quanto le rispettive proprietà – consistenti in locali sotterranei – non beneficiavano in alcun modo dell’isolamento termico apportato. Gli attori chiedevano contestualmente l’accertamento dell’avvenuto pagamento ad opera di terzi e dell’indebita pretesa di contribuzione da parte del condominio nei confronti dei condomini.
SOLUZIONE
Il Tribunale di Trento con sentenza del 2014 respingeva tutte le pretese attoree e la Corte d’appello di Trento nel 2015 confermava la sentenza del Tribunale.
Avverso quest’ultima pronuncia i condomini attori presentavano ricorso per cassazione articolato in otto[1] motivi, inerenti a diversi passaggi motivazionali della sentenza di secondo grado.
La Corte di Cassazione rigettava il ricorso, ritenendo tutti i motivi dedotti manifestamente inammissibili.
In particolare, tali motivi – intrinsecamente connessi ed interdipendenti tra loro, essendo basati su medesime considerazioni di diritto e di fatto – presentavano profili comuni di manifesta inammissibilità. Ciascuna censura era stata infatti strutturata premettendo una parte del giudizio espresso nella sentenza impugnata di cui si deduceva l’errore mediante richiamo dei corrispondenti motivi di appello, assunti insoddisfatti dall’esito della sentenza di secondo grado. Tutti i fatti, le questioni e le domande poste dagli attori ed appellanti e richiamate nel ricorso, risultavano, invero, essere già stati presi in considerazione nel giudizio di secondo grado. Per contro, i motivi di ricorso – che non osservavano i requisiti imposti dall’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. – non consideravano le argomentazioni decisorie essenziali della sentenza impugnata ed erano sostanzialmente volti a sovvertire la decisione della Corte d’Appello e gli accertamenti di fatto posti a base di essa che, com’è noto, sono riservati all’apprezzamento dei giudici di merito.
QUESTIONI
La sentenza della Corte di Cassazione presa in esame in questa sede pone in rilievo alcune importanti questioni attinenti al diritto condominiale.
Particolarmente rilevanti sono i punti della pronuncia relativi all’esclusione della coibentazione dell’edificio condominiale come innovazione gravosa o voluttuaria; all’impugnazione della delibera assembleare con cui si approvano i lavori da realizzare, non già quella con cui si dividono le relative spese, in quanto è l’approvazione dell’intervento, ove si tratti di innovazioni o di lavori di manutenzione straordinaria, che ha valore costitutivo dell’obbligazione di contribuzione alle spese, mentre la ripartizione che indica il contributo di ciascuno, ha valore puramente dichiarativo; infine al pagamento ad opera di terzi dei debiti del condomino e dei crediti del condominio nei confronti dei condomini.
Al fine di porre in chiara evidenza le questioni di rilievo che emergono dalla sentenza si rende utile analizzare i motivi di ricorso ad esse sottesi.
Il primo motivo di ricorso si riferisce alla parte della sentenza di secondo grado in cui si affermava in capo alla parte attrice – nonché appellante – l’onere della prova circa la natura di innovazione gravosa e voluttuaria. Nel corso della censura si adduceva l’omesso esame di fatti decisivi, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1121 c.c. e l’omessa motivazione sul punto. Secondo i ricorrenti, i lavori eseguiti per la realizzazione del cappotto di coibentazione consistevano in innovazioni gravose e voluttuarie, le cui spese dovevano ripartirsi ai sensi dell’art. 1121 comma 1 c.c., mentre la Corte d’Appello non aveva considerato, da un lato, l’applicabilità dell’art. 1121, comma 2, c.c., e dall’altro, la “separata utilizzabilità” dell’opera di isolamento termico.
Il secondo motivo di ricorso censura la parte della sentenza di secondo grado in cui si dichiarava che l’obbligo degli appellanti di partecipare alle spese sostenute per la coibentazione discendesse dalla delibera di approvazione delle opere del giugno 2011, non impugnata, non dalle delibere dell’aprile 2012 e dell’agosto 2012, le quali avevano unicamente ripartito le spese derivanti da quelle opere. I ricorrenti sostenevano di non aver avuto interesse ad impugnare la delibera del giugno 2011, in quanto, essendo proprietari dei locali interrati, non erano titolari di diritti reali su nessuna delle unità immobiliari beneficiate dalla coibentazione: riguardo a tale delibera, deducevano che “non imputava loro alcuna spesa, limitandosi ad approvare, quale presupposto necessario per la loro esecuzione, i lavori di installazione del cappotto”. Con questo motivo viene contestato inoltre l’omesso esame circa la fruibilità in misura diversa della coibentazione e circa la natura delle spese de quibus, nonché la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1123 c.c.
Il terzo motivo di ricorso si riferisce all’onere della prova dell’autonomia strutturale dei locali di proprietà dei condomini ricorrenti rispetto al corpo condominiale, attribuito dalla sentenza di secondo grado in capo agli attori; mentre il quarto motivo attiene alla non appartenenza degli attori di diritti in ordine agli altri appartamenti, in quanto titolari di unità immobiliari interrate nonché servite da autonomo ingresso. La Corte di Trento ha affermato che non era stato allegato né provato che i locali degli appellanti fossero strutturalmente autonomi rispetto al corpo condominiale, mentre i ricorrenti oppongono di aver documentalmente provato che i locali sotterranei sono strutturalmente autonomi e che non beneficiano – non potendo beneficiarne né potenzialmente né effettivamente – della coibentazione.
Il quinto motivo di ricorso lamenta che la Corte d’appello, trattandosi di interventi di tinteggiatura sui muri perimetrali, conseguenti all’applicazione del cappotto e al riposizionamento delle grondaie, dunque di “spese comunque comuni a tutti i condomini”, non abbia considerato la mancata dimostrazione di un “miglioramento del decoro architettonico di cui avrebbe beneficiato la facciata dell’edificio”, ai sensi dell’art. 1120 c.c., miglioramento peraltro smentito dalle risultanze istruttorie.
Il sesto motivo di ricorso censura la parte della sentenza di secondo grado che ha ritenuto non applicabile l’art. 1180 c.c., essendo state pagate le fatture della impresa che si era occupata dei lavori di coibentazione direttamente dal condominio (per godere dei benefici fiscali connessi all’esecuzione dei lavori finalizzati al risparmio energetico) e non dai singoli condomini pro quota, e perciò sussistendo la legittimazione dello stesso condominio ex art. 1203 n. 3 c.c. ad esigere il pagamento di tali importi dai morosi. La censura contenuta nel sesto motivo sostiene che l’obbligazione condominiale, sia essa interna o esterna, ha natura parziaria e concerne il rapporto fra ciascun condomino ed il suo creditore. Nel caso di specie, gli altri condomini, soggetti terzi, avrebbero adempiuto all’obbligazione arbitrariamente imputata ai ricorrenti, senza peraltro surrogarsi nei diritti del creditore, con tutte le conseguenze di cui all’art. 1180 c.c.
Con riferimento al primo motivo di ricorso, la Cassazione ritiene corrette e condivisibili le valutazioni svolte dalla Corte d’Appello di Trento, la quale ha affermato che l’intervento di miglioramento dell’efficienza energetica del fabbricato condominiale consistente nella realizzazione di un isolamento termico delle superfici che interessano l’involucro dell’edificio (cosiddetto “cappotto termico”), nonché nella esecuzione delle collegate opere accessorie e di ripristino della facciata non possa qualificarsi come “innovazione gravosa o voluttuaria”, ai sensi dell’art. 1121 c.c., i quanto i lavori di coibentazione eseguiti permettono a lungo termine un risparmio energetico che compensa ampiamente l’eventuale gravosità dell’investimento iniziale, peraltro in parte fiscalmente detraibile.[2]
Conformemente alla giurisprudenza di legittimità, i giudici di merito hanno ritenuto che si intendono innovazioni voluttuarie, per le quali è consentito al singolo condomino, ai sensi dell’art. 1121 c.c., di sottrarsi alla relativa spesa, quelle nuove opere che incidono sull’entità sostanziale o sulla destinazione della cosa comune che sono tuttavia prive di oggettiva utilità, mentre sono innovazioni gravose quelle caratterizzate da una notevole onerosità rispetto alle particolari condizioni e all’importanza dell’edificio.[3]
In particolare, le innovazioni voluttuarie, consentite dal primo comma e vietate dal secondo comma dell’art. 1121 c.c., a seconda che consistano, o meno, in opere suscettibili di utilizzazione separata, sono quelle che, per la loro natura, estensione e modalità di realizzazione, esorbitino apprezzabilmente dai limiti della conservazione, del ripristino o del miglior godimento della cosa comune, per entrare nel campo del mero abbellimento e/o del superfluo.[4]
La S.C. ha ritenuto inapplicabile al caso di specie la disciplina di cui all’art. 1121 c.c., ai sensi del quale il condomino che non voglia partecipare alle spese per una innovazione gravosa o voluttuaria, approfittando della eccezionale causa di esonero dalla obbligatorietà per tutti i partecipanti supposta dall’art. 1137 comma 1 c.c., debba manifestare il suo dissenso in assemblea o con la tempestiva impugnazione della deliberazione[5]. Nel caso concreto infatti l’intervento di coibentazione era stato approvato all’unanimità con la delibera del giugno 2011, che approvava il preventivo dell’impresa appaltatrice e che non veniva impugnata; mentre le delibere dell’aprile 2012 e dell’agosto 2012, impugnate ex art. 1137 c.c., avevano provveduto alla ripartizione delle spese per l’innovazione precedentemente deliberata. La Suprema Corte osserva come d’altro canto la realizzazione di un “cappotto termico” sulle superfici esterne dell’edificio condominiale, in quanto volta a migliorare l’efficienza energetica dello stesso, non dia luogo ad opera che possa ritenersi suscettibile di utilizzazione separata, agli effetti dell’art. 1121, comma 1, c.c., né, una volta eseguita, configura una cosa che è destinata a servire i condomini in misura diversa, oppure solo una parte dell’edificio, sicché le relative spese possano intendersi da ripartire in proporzione dell’uso o da porre a carico del solo gruppo dei condomini che ne trae utilità.
Gli artt. 1120 e 1121, da una parte, e 1123, dall’altra, riguardano fattispecie diverse: le prime due norme regolano il momento dell’approvazione assembleare delle opere di trasformazione che incidono sull’essenza della cosa comune, individuando i presupposti e i limiti del potere dell’assemblea, mentre l’art. 1123 c.c. regola la ripartizione delle spese necessarie, oltre che per la conservazione ed il godimento delle parti comuni e per la prestazione dei servizi di interesse comune, anche proprio per le innovazioni validamente deliberate dalla maggioranza. Se l’innovazione che l’assemblea intende approvare è destinata a servire solo una parte dell’edificio condominiale, e perciò la relativa spesa deve far carico esclusivamente al gruppo di condomini che ne trae utilità, lo stesso computo delle maggioranze indicate dall’art. 1120 c.c. deve operarsi con riferimento ai soli condomini interessati, ossia a quelli facenti parte di tale gruppo.[6]
La Cassazione precisa ancora una volta che l’installazione di un “cappotto termico” sulle facciate dell’edificio condominiale, al fine di migliorarne l’efficienza energetica, non è opera destinata all’utilità o al servizio esclusivo dei condomini titolari di unità immobiliare site nella parte non interrata del fabbricato, come invece sostengono i ricorrenti. Le opere, gli impianti o manufatti che, come il “cappotto” sovrapposto sui muri esterni dell’edificio, sono finalizzati alla coibentazione del fabbricato in funzione di protezione dagli agenti termici, vanno ricompresi tra quelli destinati al vantaggio comune e goduti dall’intera collettività condominiale (art. 1117, n. 3, c.c.), inclusi i proprietari dei locali terranei, e non sono perciò riconducibili fra quelle parti suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura diversa, ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri, di cui all’art. 1123, commi 2 e 3, c.c. Ne consegue che, ove la realizzazione del cappotto termico sia deliberata dall’assemblea, trova applicazione l’art. 1123, comma 1, c.c., per il quale le spese sono sostenute da tutti i condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno.[7]
La Suprema Corte aggiunge che nel caso di specie emerge dagli atti che è proprio la delibera del giugno 2011 che assumeva valenza costitutiva dell’obbligo gravante sui ricorrenti per la contribuzione alle spese di coibentazione del fabbricato, in quanto le delibere dell’aprile 2012 e dell’agosto 2012 avevano unicamente ripartito le relative spese.
Peraltro, l’interpretazione dottrinale ravvisa un duplice oggetto della deliberazione assembleare che approvi un intervento di ristrutturazione delle parti comuni: 1) l’approvazione della spesa, che significa che l’assemblea ha riconosciuto la necessità di quella spesa in quella misura; 2) la ripartizione della spesa tra i condomini, con riguardo alla quale la misura del contributo dipende dal valore della proprietà di ciascuno o dall’uso che ciascuno può fare della cosa.
Se, allora, l’approvazione assembleare dell’intervento, ove si tratti di innovazioni o di lavori di manutenzione straordinaria, ha valore costitutivo della obbligazione di contribuzione alle relative spese, la ripartizione, che indica il contributo di ciascuno, ha valore puramente dichiarativo, in quanto serve solo ad esprimere in precisi termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore, secondo i criteri di calcolo stabiliti dalla legge (o da un’eventuale convenzione).[8]
A proposito del quinto motivo, la S.C. specifica che una delibera che disponga una innovazione diretta al miglioramento dell’efficienza energetica del fabbricato non deve essere volta necessariamente anche al “miglioramento del decoro architettonico” della facciata, essendo, ai contrario, l’eventuale alterazione del decoro architettonico un limite imposto alla legittimità della innovazione (art. 1120, ultimo comma, c.c.).
Il sesto motivo di ricorso, secondo gli Ermellini, non tiene conto dell’oggettiva differenza del fondamento dell’obbligazione dei condomini di contribuire alle spese condominiali derivanti dall’innovazione approvata dall’assemblea del condominio con l’obbligazione che invece lega il medesimo condominio all’impresa esecutrice dei lavori. Invero i ricorrenti invocavano la fattispecie e gli effetti dell’adempimento del terzo ex art. 1180 c.c. sul presupposto che gli altri condomini avevano provveduto al pagamento del corrispettivo in favore dell’appaltatrice.
Secondo consolidata interpretazione giurisprudenziale[9], il credito che il terzo creditore, in forza di contratto concluso dall’amministratore nell’ambito delle sue attribuzioni, può far valere anche direttamente nei confronti del singolo condomino, in proporzione della rispettiva quota millesimale, è cosa giuridicamente diversa (seppur economicamente coincidente) rispetto al credito per la riscossione dei contributi condominiali che può far valere l’amministratore di condominio. Il primo credito ha, invero, natura di prestazione sinallagmatica e trova causa nel rapporto contrattuale col terzo approvato dall’assemblea e concluso dall’amministratore in rappresentanza di tutti i partecipanti al condominio. L’obbligo di pagamento degli oneri condominiali da parte del singolo condomino ha, per contro, causa immediata nella disciplina del condominio, e cioè nelle norme di cui agli artt. 1118 e 1123 ss. c.c., che fondano il regime di contribuzione alle spese per le cose comuni. [10]
L’obbligo del singolo partecipante di pagare al condominio le spese dovute e le vicende debitorie del condominio verso i suoi appaltatori o fornitori rimangono del tutto indipendenti[11], tant’è che il condomino non può ritardare il pagamento delle rate di spesa in attesa dell’evolvere delle relazioni contrattuali tra condominio e soggetti creditori di quest’ultimo, né può utilmente opporre all’amministratore che il pagamento sia stato da lui effettuato direttamente al terzo, in quanto, ciò altererebbe la gestione complessiva del condominio: sicché il singolo deve sempre e comunque pagare all’amministratore, salva l’insorgenza, in sede di bilancio consuntivo, di un credito da rimborso per gli avanzi di cassa residuati.[12]
Inoltre, ponendosi il condominio, nei confronti dei terzi, come “soggetto di gestione” dei diritti e degli obblighi dei singoli condomini attinenti alle parti comuni, l’amministratore di esso assume la qualità di necessario rappresentante della collettività dei condomini, e ciò sia nella fase di assunzione degli obblighi verso i terzi per la conservazione delle cose comuni, sia, all’interno della medesima collettività condominiale, in quanto unico referente dei pagamenti ad essi relativi; con la conclusione che il pagamento diretto eseguito dal singolo partecipante a mani del creditore del condominio non sarebbe comunque idoneo ad estinguere il debito “pro quota” dello stesso relativo ai contributi ex art. 1123 c.c.[13]
Appare dunque evidente in giurisprudenza la diversità tra le attribuzioni dell’assemblea a ripartire le spese e dell’amministratore a riscuotere i contributi condominiali (artt. 1135, 1130 n. 3 c.c. e 63, comma 1, disp. att. c.c.), e la pretesa di pagamento del corrispettivo contrattuale spettante al terzo creditore verso il singolo condomino sul presupposto della riferibilità diretta dei debiti condominiali ai singoli membri del gruppo.
Sulla base di tali considerazioni la Cassazione smentisce quindi ogni dubbio sulla legittimazione del condominio a ripartire e riscuotere i contributi dovuti dai ricorrenti, rimanendo cosa differente ed estranea al caso di specie la qualificazione della pretesa spettante semmai al condomino che abbia versato al terzo creditore anche la parte dovuta dai morosi e voglia poi ottenere da costoro il rimborso di quanto da loro dovuto.[14]
[1] Ai fini del presente articolo l’esame verterà esclusivamente sui primi sei motivi di ricorso, essendo il settimo e l’ottavo motivo non pregnanti per l’analisi che segue
[3] Cass. Sez. 2, 18/01/1984, n. 428; Cass. Sez. 2, 23/04/1981, n. 2408, secondo le quali peraltro l’accertamento di fatto devoluto al giudice del merito è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua.
[4] Cass. Sez. 2, 08/06/1995, n. 6496.
[5] Cass. Sez. 2, 17/04/1969, n. 1215.
[6] cfr. Cass. Sez. 2, 08/06/1995, n. 6496
[7] Argomentazione svolta anche in Cass. Sez. 2, 25/09/2018, n. 22720; Cass. Sez. 2,
15/02/2008, n. 3854; Cass. Sez. 2, 04/05/1999, n. 4403; Cass. Sez. 2, 17/03/1999, n. 2395; Cass. Sez. 2, 23/12/1992, n. 13655.
[8] Argomentazione svolta anche in Cass. Sez. U, 09/08/2010, n. 18477; Cass. Sez. 2,
03/12/1999, n. 13505; Cass. Sez. 2, 15/03/1994, n. 2452; Cass. Sez. U, 05/05/1980, n. 2928.
[9] Cfr., ex multis, Cass. Sez. U, 08/04/2008, n. 9148.
[10] Per ulteriori approfondimenti si rimanda anche in via autoreferenziale a Luppino S., “Il condomino che non paga ed il recupero del credito, ebook, edito da Maggioli.
[11] Luppino S., “Le locazioni in condominio”, Maggioli 2020.
[12] Cass. Sez. 2, 29/01/2013, n. 2049.
[13] Cass. Sez. – 2, 17/02/2014, n. 3636.
[14] cfr. Cass. Sez. 2, del 20/05/2019, n. 13505.
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