2 Novembre 2021

Il ‘Codice rosso’ e le nuove ipotesi delittuose: il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso ex art. 583-quinquies c.p.

di Emanuele Nagni Scarica in PDF

La Legge 19 luglio 2019, n. 69, in materia di “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, ha predisposto un catalogo di reati per contrastare il dilagare di precisi fatti di violenza, anche intervenendo sul rito, per consentire la rapida instaurazione del procedimento penale e la possibile adozione di provvedimenti di difesa e sostegno delle vittime, dando ossequio alla Direttiva n. 2012/29/UE in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato.

Il nuovo testo normativo si articola in ventuno disposizioni ed è diffusamente noto come “Codice rosso”, termine attinto dall’ambito sanitario per richiamare l’iter preferenziale e di imprescindibile urgenza che si intende intraprendere ai fini della trattazione immediata ed efficace dei casi di violenza domestica e di genere.

La L. n. 69 del 2019, invero, ha inteso potenziare il sistema di prevenzione della tutela della vittima di peculiari fattispecie di reato, incrementandone la risposta sanzionatoria mediante l’inserimento di nuove ipotesi criminose, la rimodulazione di circostanze aggravanti e l’inasprimento della cornice edittale di norme incriminatrici già vigenti.

Scendendo nel dettaglio delle modificazioni di diritto sostanziale, nel Codice penale sono stati introdotti i delitti di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa ex art. 387-bis c.p., di costrizione o induzione al matrimonio di cui all’art. 558-bis c.p., di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso ex art. 583-quinquies c.p., di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti disciplinato dall’art. 612-ter c.p.

Ciò premesso, con esclusivo riferimento al fenomeno del c.d. ‘vitriolage’, lemma coniato a seguito del ricorrente – ma non esclusivo – utilizzo dell’acido solforico (dall’inglese ‘oil of vitriol’) nei comportamenti di aggressione mediante getto di liquidi corrosivi per sfigurare la persona offesa, l’art. 12 della novella ha prefigurato un’autonoma fattispecie di reato, abrogando la circostanza aggravante del delitto di lesioni personali di cui all’art. 583, co. 2°, n. 4 c.p., mediante l’introduzione della fattispecie autonoma di cui all’art. 583-quinquies c.p.

Il delitto, che si connota alla stregua di reato di danno e di evento, sanziona con la reclusione da otto a quattordici anni chiunque cagioni ad alcuno una lesione personale dalla quale derivano la deformazione (il sovvertimento estetico e fisiognomico che possa lasciar insorgere nell’osservatore sentimenti di repulsione o ribrezzo) o lo sfregio permanente del viso (ogni modificazione peggiorativa a titolo definitivo dei naturali e armonici lineamenti del volto).

Oltre alle ragioni di politica criminale, un simile inquadramento normativo è fondato, in termini dogmatici, sulla necessità di tenere in considerazione la previsione di cui all’art. 59, co. 2° c.p., che disciplina come le circostanze aggravanti siano valutate a carico dell’autore del reato soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa. Infatti, prima della promulgazione del Codice rosso, la responsabilità per lo sfregio o la deformazione permanente del volto del soggetto passivo veniva ascritta in capo all’agente solo ove questi ne fosse a conoscenza oppure colposamente lo ignorasse o ritenesse inesistente, circoscrivendosi notevolmente il bacino applicativo della norma, oltre che rischiandosi di incorrere nella possibile neutralizzazione della previgente aggravante ad opera del bilanciamento con gli accidentalia delicti di attenuazione della pena.

Sotto il profilo dell’elemento psicologico, poi, l’ipotesi delittuosa è integrata a titolo di dolo generico, rendendosi necessario che l’azione sia realizzata dall’agente con la consapevolezza e la volontà di porre in essere gli elementi costitutivi richiesti dalla norma incriminatrice.

In aggiunta, è doveroso precisare che il secondo comma della fattispecie prevede, nelle ipotesi di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti di cui all’art. 444 c.p.p., oltre ad una sanzione detentiva, anche una pena accessoria, rappresentata dall’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno.

Alla luce di tale disciplina, sembra potersi osservare come il legislatore abbia inteso retribuire gli effetti permanenti della condotta lesiva incriminata e punita con la perpetuità propria di una sanzione accessoria interdittiva. Eppure, stando alle prime istanze della dottrina alla vigenza della L. n. 69 del 2019, si è evidenziato come l’ipotesi delittuosa prevista dall’art. 583-quinquies c.p. sia passibile di non poche critiche sotto il profilo sanzionatorio, in quanto sembrerebbe allontanarsi dall’offrire il giusto ossequio ai canoni di proporzionalità e ragionevolezza fra la sanzione penale e il fatto di reato.