19 Ottobre 2021

Configurabilità del reato di diffamazione in capo all’amministratore di condominio nel caso dell’affissione in area comune di un avviso recante la notizia dell’avvenuto pignoramento immobiliare nei confronti di un condomino

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione penale, sez. V, sent. 23.03.2021 n. 22777. Presidente G. Sabeone – Estensore M. Brancaccio

Non è configurabile di per sé il reato di diffamazione per l’amministratore di condominio che affigge nell’ascensore un avviso con cui comunica l’avvenuto pignoramento nei confronti di un condomino, senza aggiungere altre espressioni”.

CASO

L’amministratore di un condominio sito in Messina veniva rinviato a giudizio davanti al Tribunale di quella città e successivamente ritenuto responsabile del reato di diffamazione (art. 595 c.p.) per avere, in qualità di amministratore del condominio ove abitava la persona offesa, affisso sui muri delle scale, nell’androne e nel vano ascensore del condominio medesimo un avviso che riportava la nuova istanza di vendita dell’appartamento della persona offesa, a seguito del pignoramento immobiliare eseguito nei confronti di quest’ultimo. Secondo il Tribunale di Messina, infatti, l’aver definito il condomino interessato come “debitore pignorato” davanti a tutti gli altri condomini, nonché a quanti accedevano all’edificio medesimo, offendeva la reputazione della persona offesa, mettendone in evidenza la scarsa solvibilità e l’inaffidabilità economica.

L’imputato proponeva appello, ottenendo una riforma della sentenza di primo grado nella sola determinazione della pena che veniva così ridotta ad euro mille di multa; ciononostante, la Corte d’Appello di Messina confermava nel resto, lasciando immutato l’accertamento relativo alla sussistenza del delitto di cui all’art. 595 c.p.

A questo punto, l’amministratore del condominio de quo ricorreva per Cassazione, lamentando violazione di legge in relazione all’art. 595 c.p. e vizio di motivazione ex art. 606 lett. e) c.p.p.

Secondo le argomentazioni difensive, infatti, il reato di diffamazione non potrebbe ritenersi integrato per la contestuale carenza dell’elemento oggettivo (l’offesa all’altrui reputazione, consistendo la condotta dell’imputato unicamente nella necessità di informare gli altri condomini sui nuovi oneri condominiali) e dell’elemento soggettivo (mancando nel soggetto agente qualsivoglia volontà dispregiativa od offensiva nella comunicazione della situazione di debitore pignorato).

SOLUZIONE

Con sentenza depositata in data 23.03.2021, la Suprema Corte di Cassazione accoglieva il ricorso dell’imputato, annullando con rinvio la sentenza impugnata.

QUESTIONI

La pronuncia della Corte di Cassazione offre allo scrivente diversi ed interessanti spunti che attengono alla posizione dell’amministratore all’interno del condominio, ai suoi obblighi professionali e alla loro inosservanza che può, in taluni casi, condurre ad una sentenza di condanna per violazione di una o più norme del Codice penale.

Le argomentazioni contenute nella pronuncia degli ermellini, che si fonda sulla corretta interpretazione della fattispecie penale di cui all’art. 595 c.p. e sull’apoditticità della sentenza impugnata, prendono le mosse dalla definizione di “debitore pignorato” e, dunque, dall’elemento oggettivo del reato.

 In particolare, si sostiene che la qualità di debitore pignorato, che pure “può avere connotazioni offensive dell’onore altrui, implicando una sorta di giudizio di inaffidabilità personale relativo alla propria capacità di adempiere ad obbligazioni”, non era stata utilizzata dall’imputato, nel caso in commento, nell’accezione negativa ipotizzata dall’accusa. Infatti, l’imputato, aveva semplicemente cercato di adempiere diligentemente i propri compiti di amministratore di condomino, rendendo nota ai condomini una vicenda che certamente poteva avere dei riflessi sulla gestione economica delle spese afferenti allo stabile comune: si pensi, per non fare che un esempio, al pagamento degli oneri pro quota da parte degli altri condomini, anche considerando che, nel caso di specie, il condomino/persona offesa aveva espressamente richiesto, in seguito al pignoramento del suo immobile, di essere dispensato dagli oneri condominiali.

Dunque, manca l’elemento soggettivo del reato, dal momento che l’aver definito una persona quale “debitore pignorato” non è in alcun modo dipeso dalla volontà di recare nocumento all’onore del condomino interessato. Tale espressione, peraltro descrivente una situazione oggettiva, è stata utilizzata da un professionista nell’esercizio delle sue attribuzioni, al fine di garantire al condominio la tempestiva risoluzione di una situazione economica inedita e la corretta ripartizione delle spese comuni.

Secondo il Supremo Collegio, dunque, l’amministratore, nel momento in cui affiggeva l’avviso negli spazi comuni, “era convinto di dover agire nell’esercizio di una propria prerogativa professionale, mettendo a conoscenza di una situazione di fatto chi ne aveva interesse diretto”.

La Corte ribadisce che è sì sufficiente il dolo eventuale per integrare la fattispecie di diffamazione, ma che tale coefficiente psicologico implichi, in ogni caso, l’uso consapevole da parte del soggetto agente di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive dell’onore della vittima; ribadisce, in conclusione, la necessità, specie nei casi come quello in commento, in cui non vi è stata alcuna incontinenza espressiva da parte dell’imputato, di mantenere sufficientemente alta la soglia di prova necessaria all’accertamento della sussistenza del dolo, anche se solo nella sua forma eventuale.

Nel caso in commento, infatti, la Corte di Cassazione ha saputo interpretare al meglio la normativa penale in tema di diffamazione compiuta da un amministratore di condominio; e lo ha fatto perché ha ben tenuto a mente gli obblighi imposti all’amministratore medesimo dalle norme del Codice civile. Sarebbe illogico e contrario al principio di non contraddizione, infatti, ritenere, sul piano civilistico, che l’amministratore abbia pienamente e correttamente assolto i suoi obblighi professionali e, sul piano penale, emettere una sentenza di condanna nei suoi confronti, con la quale si accerti che quella medesima condotta ha integrato tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie punitiva.

Ed in effetti, nella pronuncia in commento, la Corte di Cassazione altro non fa che rimarcare le carenze argomentative della sentenza impugnata, la quale evita accuratamente di fornire risposta al tema del diligente adempimento dei compiti dell’amministratore di condominio e rivela un approccio apodittico, addirittura “prossimo all’apparenza motivazionale”, nel momento in cui afferma che l’imputato era evidentemente consapevole di mettere in cattiva luce il condominio, diffondendo un’informazione che lo stesso avrebbe preferito mantenere riservata.

Secondo la Corte, che adotta un approccio radicalmente diverso rispetto al giudice del merito, pur potendosi astrattamente sostenere che il definire taluno “debitore pignorato” possa, in certi ambiti, ledere l’altrui reputazione perché rischia di mettere in evidenza l’incapacità economica di una persona o la sua scarsa attitudine ad adempiere le obbligazioni contratte, si dovrà procedere con maggiore cautela qualora una tale espressione venga usata in un contesto come quello condominiale, presidiato da numerose e stringenti regole che impongono doveri e responsabilità, specie nei confronti della figura chiave dell’amministratore. Qualora questi, pur rispettando diligentemente e integralmente gli obblighi impostigli dagli artt. 1129 e ss. del Codice civile e pur utilizzando un linguaggio tecnico e continente, ponga in pericolo il bene giuridico tutelato dall’art. 595 c.p., dovrà andare assolto perché il fatto non costituisce reato.

Ad opinione di chi scrive, la sentenza in commento ha correttamente applicato i principi fondamentali della materia penale in quanto non ha eluso il dovere di individuare precisamente i doveri civilistici dell’amministratore di condominio.

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