Abuso di maggioranza: il danno si realizza al momento della delibera
di Dario Zanotti, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., Sez. I, sentenza del 2 luglio 2021, n. 18770.
Parole chiave: abuso della maggioranza – aumento di capitale – danno
Massima: “In materia societaria, in caso di illecito consistente nell’abuso di maggioranza, concretatosi in un aumento del capitale sociale non sottoscrivibile dal socio di minoranza per il suo preesistente stato di impotenza finanziaria, il danno risarcibile si produce, prima dell’alienazione dei titoli ad un terzo a prezzo inferiore al loro valore reale, nel momento e per effetto della delibera di aumento del capitale sociale, in conseguenza della sostanziale svalutazione del valore delle partecipazioni societarie dal medesimo detenute, derivante dall’aumento di capitale sociale deliberato dalla maggioranza.”
Disposizioni applicate: Artt. 1223, 1337, 1440, 1975, 2043, 2056 c.c.
La Suprema Corte, nell’ambito di un giudizio avente ad oggetto l’annullamento di una transazione ai sensi degli artt. 1975 e 1440 c.c., coglie l’occasione per specificare quando si realizzi il danno in caso di illecito consistente nell’abuso di maggioranza – che, nella specie, si è verificato in occasione di una delibera di aumento del capitale sociale, aumento non sottoscrivibile da un socio di minoranza per il suo preesistente stato di “impotenza finanziaria”.
In estrema sintesi, una società ha chiesto l’annullamento di un accordo transattivo intervenuto con una persona fisica, ex socia di minoranza, che aveva incardinato un precedente giudizio per vedersi risarcito il danno da abuso di maggioranza, giacché era stato deliberato un considerevole aumento del capitale sociale, pur avendo contezza la maggioranza dell’incapacità di tale socia di far fronte a tale aumento di capitale e costringendola di conseguenza a cedere ad un prezzo molto inferiore rispetto al valore di mercato la propria quota di minoranza. La società e la socia di minoranza avevano poi raggiunto un’intesa transattiva. Tale intesa, che ha visto la società versare una somma all’ex socia, non avrebbe però tenuto conto di una donazione di parte delle quote della socia a un terzo, atto che era stato occultato alla società. La società, che è poi casualmente venuta a conoscenza della donazione, ha così agito per l’annullamento della transazione in quanto non si sarebbe mai verificato alcun danno da deprezzamento delle quote, avendo l’ex socia deciso di alienarne parte a titolo gratuito.
Al di là delle ragioni che hanno portato la società a richiedere l’annullamento della transazione, ciò che interessa ai fini del presente commento, è comprendere quando si concretizza il danno da abuso di maggioranza, circostanza dalla quale poi dipende l’accoglimento delle domande principali della società attrice.
In particolare, nel secondo grado del merito, la Corte d’Appello ha argomentato che l’approvazione della delibera abusiva di aumento di capitale corrispondesse al momento genetico del danno, che quindi si è prodotto già prima della donazione, e che tutti gli atti successivi di disposizione delle quote avrebbero semmai potuto produrre l’effetto di ridurre il danno subìto dall’ex socia.
Secondo la società ricorrente in cassazione, invece, la delibera di aumento di capitale sociale sarebbe semplicemente un “fatto” (pur illecito) mentre il pregiudizio si produrrebbe in due momenti successivi: (i) con la successiva mancata sottoscrizione dell’aumento di capitale (diluizione della quota), oppure (ii) con la “cattiva monetizzazione” delle partecipazioni sociali e dei connessi diritti di opzione.
Tuttavia, la Cassazione ha precisato che oggi il danno risarcibile, ai sensi dell’art. 1223 c.c. applicabile anche agli illeciti extracontrattuali, va individuato non solo nella differenza tra l’ammontare dell’ipotetico patrimonio complessivo del danneggiato senza l’intervento dell’illecito e il suo effettivo ammontare dopo l’illecito stesso (è citata Cass., 15 ottobre 1999, n. 11629), ma anche nella diminuzione dei valori e delle utilità di cui il danneggiato può disporre non implicando il danno sempre e solo un esborso monetario (v. Cass., 5 luglio 2002, n. 9740).
Nella specie si è verificato un “danno da deprezzamento di un bene” (i.e. quote di una società) e tale danno è configurabile anche quando il bene sia rimasto in proprietà ed in godimento del medesimo soggetto danneggiato, ma abbia subìto un deprezzamento (la sentenza riporta Cass., 20 giugno 2019, n. 16585). Con più specifico riferimento alle partecipazioni societarie, la Suprema Corte ha stabilito che il danno consiste nella riduzione del valore delle quote, anche se non vi è stata successiva rivendita, che rileverebbe ai soli fini dell’adempimento dell’onere del danneggiato di ridurre il danno ai sensi dell’art. 1227 c.c. (cfr. Cass., 29 dicembre 2011, n. 29864).
Ciò premesso, la Cassazione ha ritenuto che il danno per l’ex socia si è prodotto per effetto della diminuzione del valore delle sue partecipazioni societarie, verificatasi per effetto della stessa delibera che ha disposto un considerevolissimo aumento del capitale sociale in condizioni di abuso e in un momento in cui costei non poteva far fronte a tale aumento. La delibera costituisce infatti sia il momento consumativo dell’illecito sia quello di produzione del danno. Perciò, l’attività successivamente posta in essere dalla danneggiata per alienare le suddette quote societarie, ancorché ad un prezzo notevolmente inferiore al loro valore reale, costituisce non già il momento di produzione del danno, come assunto dalla società ricorrente, bensì l’adempimento dell’onere, gravante sul danneggiato, di ridurre le conseguenze dannose dell’illecito.
La Cassazione ha così statuito il principio di diritto sopra riportato come massima.