Legato in sostituzione di legittima e computo del legatario nel novero dei legittimari
di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDFCassazione Civile, Sezione II, Sentenza n. 18561 del 30/06/2021
SUCCESSIONI “MORTIS CAUSA” – SUCCESSIONE NECESSARIA – DIRITTI RISERVATI AI LEGITTIMARI – Legato in sostituzione di legittima – Computo nella porzione indisponibile – Conseguenze – Inclusione del beneficiario nel numero complessivo dei legittimari
Il legato in sostituzione di legittima, come espressamente previsto dall’art. 551 c.c., deve gravare sulla porzione indisponibile; ne consegue che, al fine della determinazione di ciascuna quota di riserva, il legittimario che sia beneficiario di detto legato, ancorché lo abbia accettato perdendo il diritto di chiederne un supplemento, deve essere calcolato nel numero complessivo degli eredi legittimari.
Disposizioni applicate
Articoli 542 e 551 cod. civ.
[1] A mezzo testamento, Tizio disponeva delle proprie sostanze distribuendo tra tre dei suoi figli (Caio, Mevio e Sempronio) il proprio patrimonio immobiliare, lasciando l’usufrutto generale alla propria moglie ed imponendo a Caio il pagamento di una somma di denaro in favore dell’altro figlio (Filano) da determinarsi in misura pari al valore di uno dei beni attribuito a Caio. Tizio precisava che il lascito della somma di denaro a favore di Filano dovesse trovare giustificazione nella circostanza che egli non aveva ricevuto alcun appartamento.
Filano conveniva in giudizio il fratello Caio, chiedendo la condanna del medesimo al pagamento della somma prevista in suo favore dal testatore.
Caio si costituiva, domandando il rigetto delle pretese attoree e, in via riconvenzionale, la riduzione della disposizione in favore di Filano, ritenuta lesiva della propria quota di riserva.
Integrato il contraddittorio nei confronti dei coeredi, il tribunale accoglieva la domanda principale e rigettava la domanda di riduzione proposta in riconvenzionale.
Caio adiva la Corte d’appello, la quale confermava la sentenza, nel contraddittorio con gli eredi di Filano, nel frattempo venuto a mancare.
Decadeva anche Caio e i di lui eredi proponevano ricorso in Cassazione, fondandolo su otto motivi
[2] I primi sei motivi del ricorso censurano la sentenza nella parte in cui la corte d’appello ha affermato che dal tenore del testamento non si evince affatto che «il testatore abbia inteso escludere dall’eredità il figlio Filano, emergendo, al contrario, la volontà di beneficiare tutti i figli, con l’unica differenza che Filano avrebbe dovuto ricevere una somma di denaro, anziché beni in natura […]».
A tale ricostruzione i ricorrenti obiettano: a) che il testamento di Tizio ha comportato la preterizione di Filano, a favore del quale il testatore aveva previsto solo un legato obbligatorio a carico di Caio; b) che detto legato, in quanto imposto a carico del legittimario Caio, deve essere considerato nullo ai sensi dell’art. 549 c.c. o, in subordine, ai sensi dell’art. 647, comma 3, c.c., quale onere illecito perché in contrasto con l’art. 549 c.c.
Se il settimo motivo di impugnazione non rileva ai fini della presente indagine, merita attenzione l’ottavo, ove si censura la decisione là dove la corte d’appello ha determinato la legittima di Caio nella quota di 1/8 del patrimonio, invece della quota maggiore derivante dall’accrescimento dipendente dall’esclusione dall’eredità del coniuge e di uno dei quattro figli (Filano, appunto).
[3] La Suprema Corte ha ritenuto infondati tutti i suddetti i motivi, sulla base delle seguenti argomentazioni.
Innanzitutto, vengono superate le obiezioni in ordine alla presunta nullità della disposizione a favore di Filano in quanto da considerarsi peso ex art. 549 c.c. sulla quota di legittima di Caio.
Gli Ermellini, dapprima, ricostruiscono la natura giuridica del divieto di cui alla citata norma, riportando come “secondo una parte della dottrina la sanzione del divieto è quella propria degli atti vietati, cioè la nullità (art. 1418, comma 1, c.c.), opponibile dal solo legittimario e non rilevabile d’ufficio” e precisando che “mentre la lesione di legittima, nel senso in cui se ne parla con riferimento all’azione di riduzione, è sempre eventuale, a seguito e risultato di operazioni propriamente intese alla determinazione della legittima, le disposizioni con il quali il testatore intende gravare la legittima, disponendo sulla quota pesi o condizioni, si rilevano già di per sé, e non solo eventualmente, lesive. Il divieto si applica tanto ai «pesi o condizioni» che incidono sull’oggetto di un’istituzione di erede o di un legato disposto dal testatore, quanto a quelli che vengono da lui imposti sulla quota spettante al legittimario come erede ab intestato; sempre che — e nella misura in cui — essi gravino appunto sulla legittima. Se il testatore abbia istituito erede il legittimario in una quota maggiore, che comprende tutta o parte della disponibile, il peso e la condizione saranno validi per l’eccedenza, subordinatamente all’esito del calcolo generale della legittima di cui all’art. 556 c.c. Si ha qui un tipico esempio di esigenza di determinazione della legittima non coordinata all’esperimento dell’azione di riduzione”.
Nel caso in oggetto, già dai valori riportati dal medesimo Caio, emergeva come a favore dello stesso fossero stati attribuiti beni che, anche dopo la detrazione del lascito a favore di Filano, avevano un valore ben superiore alla quota di riserva. Ciò era sufficiente a giustificare la validità del “peso” non essendo intaccata la legittima.
[4] Come anticipato, i ricorrenti sostenevano, inoltre, che la corte d’appello avesse fatto un’impropria applicazione dell’art 542 c.c., includendo erroneamente nel novero dei legittimari sia il coniuge, nonostante questo fosse destinatario di un legato sostitutivo, sia Filano, che il testatore aveva escluso dalla successione. Caio, Mevio e Sempronio, pertanto, “soli riservatari concorrenti nella successione, avevano diritto di avere, in tale qualità, l’intera quota riservata”. Anche in ragione della quota di riserva così calcolata si sarebbe dovuta riconoscere l’esistenza di una lesione della legittima spettante a Caio.
Nell’affermare l’infondatezza del motivo, gli Ermellini evidenziano come “ai sensi dell’art. 551 c.c., il legato in sostituzione di legittima, per espressa disposizione di legge, deve gravare sulla porzione indisponibile. Consegue che il legittimario beneficiario di detto legato, ancorché lo abbia accettato perdendo il diritto di chiederne un supplemento, deve essere calcolato nel numero complessivo degli eredi legittimari, al fine della determinazione di ciascuna quota di riserva.”
La pronuncia in esame si pone in continuità con l’orientamento costante della Giurisprudenza, suggellato dalla pronuncia a Sezioni Unite del 2006, ove è affermato il principio per cui “in tema di successione necessaria, l’individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari ed ai singoli legittimari appartenenti alla medesima categoria va effettuata sulla base della situazione esistente al momento dell’apertura della successione e non di quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento, per rinunzia o per prescrizione, dell’azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari”.[1]
Pertanto, nel caso di specie, sia il coniuge superstite, sia Filano dovevano essere conteggiati nel novero dei legittimari.[2]
[5] Di notevole interesse sono le ulteriori riflessioni sviluppate dalla Cassazione in merito ad un aspetto in realtà non rilevato dai ricorrenti.
In particolare, gli Ermellini sottolineano come la disposizione a favore di Filano avrebbe potuto essere oggetto di una diversa obiezione, legata ai limiti che incontra il testatore nella composizione della quota di riserva.
Se, infatti, è pacifico che la tutela riconosciuta al legittimario è di tipo quantitativo e non qualitativo – potendo il testatore soddisfare le ragioni dei legittimari con beni di qualunque natura – si evidenzia come esista un limite ritenuto inviolabile dal giudice di legittimità: la soddisfazione del legittimario deve avvenire con beni ereditari.[3] Il testatore non potrebbe, nell’esercizio delle facoltà attribuitegli dagli artt. 733 e 734 c.c., disporre che i diritti del legittimario siano soddisfatti dall’erede della disponibile con denaro non proveniente dall’asse ereditario. [4]
L’eventuale divisione operata dal testatore, contenente la disposizione per la quale le ragioni ereditarie di un riservatario debbano essere soddisfatte mediante corresponsione di somma di denaro non compresa nel relictum, sarebbe affetta da nullità ex art. 735, comma 1, c.c.. Rimanendo, peraltro, fermo il principio che il legittimario acquista la quota di riserva e, con essa, la qualità di erede, mediante l’azione di riduzione, consegue che, congiuntamente con la domanda di nullità della divisione, egli deve reclamare in via pregiudiziale la quota ereditaria di riserva, sulla quale la nullità si fonda.[5]
Precisa, infine, la Suprema Corte che “la sanzione dell’art. 735, comma 1, c.c. si giustifica perché il testatore deve far concorrere nella divisione tutti coloro che hanno diritto ad una quota dei beni compresi nella divisione stessa; quindi, non solo gli eredi preventivamente istituiti (in quote astratte), ma anche, indipendentemente da tale presupposto, i legittimari, quando la divisione venga estesa alla quota indisponibile.
Il legittimario, in favore del quale il testatore abbia disposto il pagamento di una somma di denaro non compresa nell’asse, può certamente rifiutare il lascito e far valere il diritto alla legittima in natura tramite l’azione di nullità della divisione, previa, eventualmente, azione di riduzione contro gli eredi istituiti. La nuova divisione, in ipotesi preceduta dalla riduzione, dovrà essere fatta assegnando al legittimario una porzione di valore pari alla quota legittima e mantenendo fra gli altri eredi la proporzione risultante dalle assegnazioni del testatore. Deve ritenersi infatti acquisito che la nullità ex art. 735, comma 1, c.c. travolge il riparto delle sostanze, senza travolgere le disposizioni istitutive”.[6]
È appena il caso di riportare l’opinione di autorevole, seppur isolata, dottrina che si pone in netto contrasto con l’orientamento costante della Cassazione e della dottrina maggioritaria.[7] Secondo tale autore non sussisterebbero ragioni per negare al testatore una facoltà che è, invece, ammessa per i condividenti. Costoro, infatti, potrebbero legittimamente convenire di attribuire l’intero patrimonio ereditario ad uno dei coeredi con l’obbligo di corrispondere agli altri l’equivalente in denaro (denaro, ovviamente, non presente nell’asse, altrimenti di divisione vera e propria si tratterebbe). Orbene, la dottrina in esame non vede ragione per cui non debba riconoscersi la medesima facoltà in capo al testatore.
A tale ricostruzione si obietta come sia proprio l’accordo di tutti i condividenti a legittimare il sacrificio del singolo condividente al diritto reale su beni ereditari. Se fosse concessa tale possibilità al testatore, costui trasformerebbe detto diritto reale in un mero diritto di credito.
[1] Cass. Civ., Sez. Un., Sentenza n. 13429 del 09/06/2006. Conformi: Sez. Un, Sentenza n. 13524 del 12/06/2006; Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 3471 del 13/02/2008; Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 13385 del 17/06/2011; Sez. 2 – , Sentenza n. 27259 del 16/11/2017: “In tema di successione necessaria, la quota spettante al legittimario rinunciante non si accresce a favore degli altri legittimari accettanti, dovendo l’individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari ed ai singoli legittimari appartenenti alla medesima categoria essere effettuata sulla base della situazione esistente al momento dell’apertura della successione e non a quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento, per rinunzia o per prescrizione, dell’azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari.”
[2] Deve darsi atto dell’esistenza di dottrina contraria a tale impostazione. Tra tutti, si veda: M. Ferrario Hercolani, Il legato in sostituzione di legittima, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni diretto da G. Bonilini, volume III, Milano, 2009, pagg. 335 ss.
[3] Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 16698 del 11/08/2015: “Il principio di intangibilità della legittima comporta che i diritti del legittimario debbano essere soddisfatti con beni o denaro provenienti dall’asse ereditario, con la conseguenza che l’eventuale divisione operata dal testatore contenente la disposizione per la quale le ragioni ereditarie di un riservatario debbano essere soddisfatte dagli eredi tra cui è divisa l’eredità mediante corresponsione di somma di denaro non compresa nel “relictum” è affetta da nullità ex art. 735, comma 1, c.c..”. Conforme, Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 3694 del 12/03/2003.
[4] Sarebbe lecita una previsione di un pagamento con beni non compresi nell’asse ereditario solo laddove si rendesse necessario procedere ad una divisione con conguagli. È la stessa sentenza in commento a richiamare, al riguardo, i precedenti di: Cass. n. 10797/2009; n. 862/2007; n. 10306/1996; n. 5568/1981; n. 2107/1972.
[5] Cass. Civ., Sez. 2 – , Sentenza n. 7178 del 22/03/2018: “In caso divisione del patrimonio ereditario disposta direttamente dal testatore la domanda di nullità proposta dal legittimario pretermesso nel testamento (o, in sostituzione del medesimo, da un suo erede, come verificatosi nel caso di specie) deve essere accolta qualora lo stesso legittimario (o un suo erede agente “iure successionis”), da considerarsi preterito per non essere stato compreso nella divisione, abbia positivamente esperito in via preventiva l’azione di riduzione.”
[6] Si legge, altresì, nella pronuncia in commento: “È stato sostenuto da Cass. n. 2560/1974 che «il legittimario, in favore del quale sia previsto il pagamento di una somma di denaro non facente parte del relictum, non è né pretermesso né leso nei suoi diritti di legittimario (se la quota in denaro corrisponde a quanto gli spetta come riserva). La situazione giuridica che ne deriva è quella di una divisione operata dal testatore, viziata da invalidità, poiché il diritto reale del legittimario alla quota ereditaria non si può trasformare in un diritto di credito nei confronti di un coerede senza il concorso della sua volontà». In tale ipotesi il rimedio a disposizione del legittimario è l’azione di nullità della divisione testamentaria ai sensi del primo comma dell’art. 735 c.c., subordinatamente alla rinunzia al legato. Secondo altre pronunce, il legittimario, compensato dal testatore con l’assegnazione di un credito, al fine di far valere la nullità della divisione, dovrebbe agire preventivamente in riduzione contro gli eredi istituiti, (Cass. n. 3599/1992), come si ritiene pacificamente nella ipotesi di preterizione istitutiva (supra). È stato anche sostenuto, sempre nell’ipotesi del legittimario beneficato con un legato avente ad oggetto un diritto di credito verso l’erede della disponibile, che il legittimario, il quale voglia far valere il diritto alla propria parte dei beni ereditari con l’azione di riduzione, avrebbe l’onere di rinunciare al suddetto legato (Cass. n. 13380/2005). Un simile legato, quindi, non potrebbe essere oggetto di imputazione ex se ( cfr. Cass. n. 653/1953). Senza che sia necessario indugiare oltre su tale questione, ai fini che interessano in questa sede, è sufficiente il rilievo che la concreta operatività del limite imposto al testatore, di non poter soddisfare i diritti del legittimario con un diritto di credito verso gli eredi, suppone che non ci sia il consenso del legittimario stesso (Cass. n. 2560/1974 cit.).
[7] G. Azzariti, Le Successioni e le donazioni, Napoli, 1990, pagg. 242 s.
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