21 Settembre 2021

Estinzione del processo esecutivo e compenso del custode

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2021, n. 12434 – Pres. De Stefano – Rel. Tatangelo

Espropriazione forzata – Estinzione – Liquidazione del compenso del custode – Contestazione – Rimedi

Le contestazioni relative all’estinzione e alla chiusura anticipata del processo esecutivo, nonché ai provvedimenti consequenziali in tema di spese del processo estinto o improseguibile, che siano diverse dalla contestazione della liquidazione del compenso spettante agli ausiliari per l’attività svolta (e, in particolare, di quello spettante al custode dei beni pignorati), ossia che non riguardino il quantum di detto compenso, non possono essere fatte valere con l’opposizione di cui all’art. 170 d.P.R. 115/2002, ma con i rimedi tipici del processo esecutivo.

CASO

Nell’ambito di una procedura esecutiva in cui era stata pignorata un’imbarcazione, veniva dapprima emessa un’ordinanza che dichiarava l’estinzione del processo esecutivo e, quindi, pronunciato il decreto di liquidazione del compenso spettante all’istituto incaricato della custodia del bene.

Avverso detti provvedimenti insorgeva il creditore procedente, con ricorso proposto ai sensi dell’art. 170 d.P.R. 115/2002, che veniva dichiarato inammissibile nella parte in cui era stata impugnata l’ordinanza di estinzione del processo esecutivo e infondato quanto al resto.

La sentenza così emessa era impugnata con ricorso per cassazione, con il quale si lamentava, in particolare, che, dopo la declaratoria di estinzione del processo esecutivo, non potesse essere emesso il decreto di liquidazione dei compensi spettanti al custode dei beni pignorati.

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione ha dichiarato l’infondatezza delle censure mosse dal ricorrente, evidenziando che le contestazioni inerenti alla legittimità dei provvedimenti emessi dal giudice dell’esecuzione (e, in particolare, quella riguardante la sussistenza o meno del potere di emettere il decreto di liquidazione del compenso spettante al custode) non potevano essere veicolate con il ricorso di cui all’art. 170 d.P.R. 115/2002, che andava, dunque, dichiarato inammissibile in parte qua.

QUESTIONI

[1] Nella vicenda portata all’attenzione dei giudici di legittimità, alla declaratoria di estinzione del processo esecutivo aveva fatto seguito la pronuncia del decreto di liquidazione del compenso spettante al custode del bene pignorato, il cui pagamento era stato posto a carico del creditore procedente; quest’ultimo, contestando la legittimità dei provvedimenti assunti dal giudice dell’esecuzione, aveva proposto ricorso ai sensi dell’art. 170 d.P.R. 115/2002.

Secondo i principi affermati dalla giurisprudenza, la norma in questione prevede un rimedio con il quale possono essere fatte valere questioni riguardanti la quantificazione del compenso liquidato all’ausiliario del giudice, mentre non possono essere introdotte quelle relative all’individuazione della parte tenuta al pagamento. Al di fuori del processo esecutivo, peraltro, vale la regola per cui, a prescindere da quanto stabilito nel decreto di liquidazione, l’onere di pagamento del compenso spettante, per esempio, al consulente tecnico d’ufficio grava su tutte le parti in solido: l’ausiliario, pertanto, potrà avvalersi del decreto – avente efficacia di titolo esecutivo – nei confronti del soggetto ivi indicato come tenuto al pagamento; tuttavia, se questi non adempie, potrà chiedere l’emissione di un provvedimento di condanna delle altre parti, solidalmente obbligate, affinché gli corrispondano quanto dovuto (così, per esempio, Cass. civ., sez. VI, 9 febbraio 2018, n. 3239, ha affermato che l’obbligo di pagare il compenso per la prestazione eseguita dal consulente tecnico d’ufficio ha natura solidale, per essere la relativa attività svolta nell’interesse comune di tutte le parti, fermo restando che, nei rapporti interni tra i condebitori, vi è solo una presunzione di eguaglianza delle quote dell’obbligazione solidale, che fa salva la possibilità di individuare un diverso criterio di riparto delle stesse).

Alla luce di tali principi, nell’ambito dell’espropriazione forzata e del processo esecutivo radicato a seguito del pignoramento, quando non si intenda contestare il decreto di liquidazione dei compensi in favore del custode emesso dal giudice dell’esecuzione nella parte in cui ne viene determinata l’entità, ma in quella che eventualmente indichi il soggetto tenuto al pagamento o che riguardi aspetti diversi dalla determinazione dei compensi stessi (ivi compresa, dunque, la contestazione circa la sussistenza del potere del giudice di procedere alla loro liquidazione per questioni attinenti allo svolgimento o all’esito del processo esecutivo e alle relative conseguenze), non può essere proposto ricorso ai sensi dell’art. 170 d.P.R. 115/2002, ma devono essere utilizzati gli strumenti oppositivi e impugnatori tipici del processo esecutivo (nello stesso senso, anche la più recente Cass. civ., sez. III, 30 luglio 2021, n. 21874).

Nello specifico:

  • va proposto il reclamo previsto dall’art. 630 c.p.c. allorché si voglia contestare il provvedimento in tema di estinzione (per causa tipica) del processo esecutivo e quelli consequenziali – emessi contestualmente o successivamente all’ordinanza di estinzione – aventi per oggetto la regolamentazione e la liquidazione delle spese del processo estinto nei rapporti tra le parti dello stesso;
  • va proposta, invece, l’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 c.p.c. se si intenda contestare il provvedimento di improcedibilità o di chiusura anticipata del processo esecutivo, nonché tutti gli ulteriori provvedimenti del giudice dell’esecuzione consequenziali sia all’estinzione per causa tipica che alla dichiarazione di improcedibilità o di chiusura anticipata della procedura, emessi contestualmente o successivamente ai sensi dell’art. 632 c.p.c. e diversi dalla regolamentazione e liquidazione delle spese processuali tra le parti del processo definito con provvedimento di estinzione cosiddetta tipica.

Nel caso di specie, poiché le doglianze del creditore procedente riguardavano, da un lato, la sussistenza del potere del giudice dell’esecuzione di emettere il decreto di liquidazione del compenso del custode e, dall’altro lato, la correttezza del provvedimento nella parte in cui ne aveva posto il pagamento a suo carico, era evidente che non si discuteva dell’entità del compenso dell’ausiliario e che non poteva, dunque, essere azionato il rimedio contemplato dall’art. 170 d.P.R. 115/2002. Dovevano, invece, reputarsi ammissibili e scrutinabili, previa integrazione del contraddittorio con la debitrice esecutata (litisconsorte necessaria nel giudizio di opposizione e non evocata in giudizio nel caso di specie), le contestazioni inerenti alla quantificazione del compenso, che il creditore procedente aveva pure effettivamente svolto, senza che il tribunale si fosse pronunciato su di esse: per questa ragione, ferma restando l’inammissibilità delle altre censure, la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio, affinché tali doglianze (e soltanto queste) fossero esaminate e decise.

I giudici di legittimità hanno anche escluso che il ricorso ex art. 170 d.P.R. 115/2002 potesse convertirsi in opposizione agli atti esecutivi (e ciò indipendentemente dal fatto che fosse stato proposto innanzi a un giudice diverso da quello dell’esecuzione, con conseguente preclusione della possibilità di celebrare l’insopprimibile fase sommaria prevista dall’art. 618, comma 1, c.p.c.), dal momento che non risultava che fosse stato proposto entro il termine perentorio di venti giorni fissato dall’art. 617 c.p.c.

Si rammenterà, in proposito, che, all’esito dell’esegesi del combinato disposto degli artt. 170 d.P.R. 115/2002 e 15 d.lgs. 150/2011 compiuta dalla Corte costituzionale (con sentenza n. 106 del 12 maggio 2016) e dalla giurisprudenza di legittimità (si vedano, tra le altre, Cass. civ., sez. VI, 9 febbraio 2018, n. 3237 e Cass. civ., sez. VI, 28 novembre 2018, n. 30750), il termine per proporre opposizione avverso il decreto di liquidazione delle spettanze degli ausiliari del giudice è quello di trenta giorni dalla comunicazione o dalla notificazione del provvedimento che è previsto dalla disciplina del rito sommario di cognizione (cui va soggetto il procedimento in questione) e, nello specifico, dall’art. 702-quater c.p.c.

In ogni caso, i motivi di doglianza inammissibilmente addotti dal creditore procedente in relazione al decreto impugnato non risultavano meritevoli di accoglimento.

In primo luogo, l’assunto in base al quale il provvedimento non poteva essere emesso dopo la dichiarazione di estinzione o di improseguibilità dell’esecuzione era smentito dall’art. 632, comma 3, c.p.c., a mente del quale il custode deve presentare il conto della sua gestione dopo la dichiarazione di estinzione del processo, affinché venga discusso e approvato davanti al giudice dell’esecuzione; da tale disposizione si evince, dunque, che, concludendosi l’attività del custode solo dopo la definizione anticipata del processo esecutivo (che avvenga per estinzione dovuta a causa tipica o per altra causa di improcedibilità), le sue spettanze vanno ordinariamente liquidate dal giudice dell’esecuzione dopo la dichiarazione di estinzione o di chiusura anticipata, dovendosi ravvisare la sopravvivenza dei poteri necessari per regolare le questioni consequenziali alla definizione anticipata del processo esecutivo, come affermato da una consolidata giurisprudenza (nella sentenza che si annota vengono citate, in proposito, Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 2017, n. 5205; Cass. civ., sez. VI, 19 dicembre 2014, n. 27031; Cass. civ., sez. III, 29 gennaio 2007, n. 1887).

In secondo luogo, la contestazione relativa all’addebito del pagamento del compenso al creditore procedente non coglieva nel segno in virtù delle peculiari regole che governano la regolamentazione delle spese nel processo esecutivo.

Sebbene, infatti, l’art. 95 c.p.c., in apparente assonanza a quanto stabilisce l’art. 91 c.p.c. (espressione del principio in base al quale le spese debbono gravare su chi risulta soccombente nel processo), preveda che le spese sostenute dal creditore procedente e da quelli intervenuti che partecipano utilmente alla distribuzione sono a carico di chi ha subito l’esecuzione, ossia sul debitore espropriato, la granitica giurisprudenza insegna che ciò presuppone un’espropriazione fruttuosa, ossia dalla quale sia stata ricavata una massa attiva da dividere, che rappresenta pur sempre il limite oltre il quale le spese in questione (che beneficiano dei privilegi sanciti dagli artt. 2755, 2770 e 2777 c.c.) non possono essere recuperate.

Inoltre, quando il processo esecutivo si estingue per causa diversa dalla rinuncia agli atti (fattispecie, quest’ultima, contemplata dal comma 3 dell’art. 629 c.p.c., che rinvia all’art. 306 c.p.c.), si applica la disposizione recata dall’ultimo comma dell’art. 310 c.p.c. (espressamente richiamata dall’art. 632 c.p.c.), in virtù della quale le spese restano a carico delle parti che le hanno anticipate (e, al riguardo, dall’art. 8 d.P.R. 115/2002 si ricava la regola per cui, nel processo di esecuzione, è il creditore procedente, quale parte istante, a essere tenuto all’anticipazione), senza che vi sia possibilità di ottenerne la rifusione o la ripetizione incardinando un autonomo giudizio. Secondo un orientamento consolidato, la regola in parola vale anche per le ipotesi di chiusura anticipata dell’esecuzione forzata diverse dall’estinzione e qualificabili come improseguibilità o improcedibilità del processo esecutivo.

Nessun dubbio, pertanto, che, nel caso esaminato dalla sentenza che si annota, le spese dell’esecuzione – fossero esse state anticipate o conseguenti all’adozione del provvedimento di chiusura del processo esecutivo (ivi compreso, dunque, il compenso liquidato al custode) – gravassero definitivamente sul creditore procedente, in applicazione delle regole dettate, rispettivamente, dall’art. 632 c.p.c. e dall’art. 95 c.p.c. (visto che al pignoramento non aveva fatto seguito la vendita del bene).

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