7 Settembre 2021

L’errore sulla situazione patrimoniale della società nella vendita di partecipazioni sociali

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. VI, 16 giugno 2021, n. 17053 – Pres. Lombardo – Rel. Falaschi

Parole chiave: Partecipazione sociale – Trasferimento – Mancanza di qualità inerente al patrimonio sociale – Rilevanza ai fini dell’annullamento o della risoluzione del contratto – Garanzia contrattuale specifica – Necessità

[1] Massima: Nella compravendita di partecipazioni sociali, in mancanza di specifiche garanzie assunte dal venditore in ordine alla consistenza patrimoniale della società, la determinazione del prezzo è rimessa alla libera volontà delle parti, senza che assuma rilevanza, ai fini dell’annullamento o della risoluzione del contratto, l’errore in ordine al valore reale della quota che sia determinato dall’omissione di informazioni sulla situazione patrimoniale dell’ente, salvo che la condotta del venditore sia accompagnata da malizie o astuzie volte a ingannare la controparte e idonee a sorprendere una persona di normale diligenza.

Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1429, 1439, 1440, 1453, 1455, 1460, 1490, 1497

CASO

Il titolare di una partecipazione in una società in nome collettivo addiveniva alla sua cessione in favore di un terzo, il quale, tuttavia, non provvedeva al pagamento del prezzo, adducendo l’esistenza di debiti sociali non dichiarati, ovvero di ammontare notevolmente superiore rispetto a quanto dichiarato dal cedente, che avrebbero inciso in maniera determinante sul valore della quota.

La domanda di risoluzione del contratto per inadempimento del cessionario proposta dal cedente veniva accolta dal Tribunale di Bergamo.

La Corte d’appello di Brescia confermava la pronuncia di primo grado, pur escludendo l’effetto ripristinatorio delle posizioni delle parti, stante l’assenza di una esplicita ed espressa richiesta del cedente in tale senso.

Il cessionario proponeva, quindi, ricorso per cassazione, lamentando la mancata considerazione, da parte dei giudici di merito, della condotta reticente del venditore, che aveva dolosamente taciuto, in sede di trattative, l’esistenza di debiti sociali di entità tale da influire in misura rilevante sul valore della quota e sul corrispettivo conseguentemente pattuito e da escludere, così, che il rifiuto di pagarlo potesse reputarsi ingiustificato.

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione ha respinto il ricorso, ritenendo che le circostanze addotte dal cessionario per giustificare il mancato adempimento dell’obbligo di pagamento del corrispettivo della cessione non fossero idonee a giustificare l’annullamento del contratto per dolo o la fondatezza dell’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c.

QUESTIONI

[1] L’ordinanza che si annota torna sul tema delle garanzie in ordine alle condizioni patrimoniali della società connesse alla compravendita di partecipazioni sociali, escludendo che, in loro assenza, il valore economico della quota rientri tra le qualità che l’art. 1429 c.c. considera essenziali affinché possa essere pronunciato l’annullamento del contratto per errore, quand’anche l’acquirente sostenga che il prezzo pattuito non corrisponda all’effettivo valore del bene e che ciò sia la conseguenza di false informazioni rese dal venditore in sede di trattative.

Accade spesso che, in sede di cessione di partecipazioni sociali, vengano previste clausole volte a garantire non già determinate caratteristiche delle quote (che costituiscono l’oggetto immediato del contratto), bensì una certa situazione patrimoniale e reddituale della società (che rappresenta, invece, solo l’oggetto mediato del negozio), ossia la consistenza e la capacità di generare utili dell’impresa (si parla, a tale riguardo, di business warranties). Tale garanzia, in linea di massima, può riguardare la composizione del patrimonio sociale, oppure elementi atti a incidere in via indiretta su di essa (quali l’ottemperanza di obblighi previsti dalla disciplina fiscale, valutaria o contributiva, la non insorgenza di sopravvenienze passive successive al trasferimento ma riconducibili a circostanze o comportamenti anteriori).

Infatti, dato che le quote sociali hanno natura di beni di secondo grado – essendo rappresentative di diritti relativi a beni economicamente riferibili, attraverso l’entità giuridica di cui è parte, al titolare delle quote stesse – e, come tali, non sono del tutto distinte e separate dal patrimonio sociale, le varie componenti di quest’ultimo non risultano completamente estranee al contratto di cessione, sicché deve reputarsi lecito e meritevole di tutela il patto con cui il venditore assicura al compratore una determinata consistenza quantitativa e qualitativa di detto patrimonio, incidente sulla solidità economica e produttiva della società e, in definitiva, sul valore stesso delle quote.

Purtuttavia, nella cessione di azioni o di quote di società, oggetto della vendita rimangono sempre e soltanto le partecipazioni sociali (che conferiscono al loro titolare i diritti di partecipazione all’attività di gestione dell’impresa, con i connessi poteri e le relative facoltà) e non i beni costituenti il patrimonio sociale, che sono e restano di proprietà della società e non dei soci, i quali non sono titolari di un diritto reale su tali beni e subiscono, per effetto delle perdite del capitale sociale, un danno riflesso, consistente nella diminuzione del valore della loro partecipazione.

Le clausole di garanzia, dunque, non concernono l’adempimento dell’obbligazione di trasferimento delle quote, ma – di norma – attribuiscono all’acquirente il diritto a un indennizzo qualora la consistenza patrimoniale della società (che non integra una qualità promessa delle partecipazioni vendute, non attenendo alla loro struttura materiale, alla loro funzionalità o a un loro attributo giuridico) si riveli diversa da quella considerata dalle parti al momento della conclusione del contratto di cessione. In altri termini, gli eventi relativi alla consistenza e alla redditività della società, pur potendo influire sul valore delle quote cedute, non incidono comunque sulle qualità intrinseche di queste ultime e non legittimano, quindi, il compratore a invocare la garanzia legale prevista dagli artt. 1490 e 1497 c.c., venendo in gioco il diverso aspetto della convenienza economica dell’operazione di cessione.

Le clausole in questione, avendo lo scopo di assicurare l’esito economico dell’operazione, ossia che il prezzo pattuito corrisponda al valore della società di cui sono trasferite le quote, prevedono prestazioni accessorie alla cessione che non hanno per oggetto le qualità del bene oggetto della compravendita e non soggiacciono, così, alla disciplina legale dettata in materia di vizi.

In quest’ottica, anche la circostanza per cui il bilancio della società pubblicato prima della vendita sia falso e nasconda la ricorrenza di una situazione in forza della quale si deve applicare la disciplina in materia di riduzione e perdita del capitale sociale, non implica la possibilità di ravvisare una qualità della partecipazione sociale nel senso fatto proprio dall’art. 1429 c.c.

Tale norma, infatti, fa riferimento a due elementi, rappresentati dal comune apprezzamento delle parti (che attiene alla destinazione economica e oggettiva della cosa a realizzare il tipico scopo del contratto prescelto) e dalle circostanze ricorrenti nel caso concreto (che possono identificarsi in dati di fatto o in criteri di stima influenti sul valore della cosa venduta); deve trattarsi di caratteristiche inerenti al bene oggetto del contratto, che non consentono margini di opinabilità, non dipendendo da valutazioni estimative o soggettive del contraente e non riguardando la semplice convenienza dell’affare nella prospettiva di una delle parti, onde evitare che venga surrettiziamente fornita tutela ai meri motivi che inducono a contrattare e alle valutazioni personali che rientrano nell’ambito di rischio di ciascun contraente.

È il principio dell’autonomia delle parti, che informa e permea la disciplina del contratto, a rendere irrilevanti i meri errori di valutazione, che influiscono soltanto sul prezzo, restando confinata nella sfera dei motivi individuali – come tali non rilevanti ai fini dell’annullamento della compravendita – l’apprezzamento in ordine all’utilità o alla convenienza dell’affare.

Le qualità che assumono rilevanza ai fini del consenso debbono, dunque, ritenersi soltanto quelle che attengono alla funzione tipica delle partecipazioni sociali, individuabile nell’attribuzione al loro titolare di una serie di diritti e di facoltà nell’ambito dell’organizzazione e della struttura societaria.

Al contrario, non può avere rilievo il valore di mercato delle quote o delle azioni, quale risultante dal bilancio, dallo stato patrimoniale della società e da tutti gli altri elementi, interni ed esterni (quali, per esempio, le possibilità di sviluppo dell’attività economica, la congiuntura di mercato, l’appartenenza della società a un gruppo piuttosto che a un altro), che influiscono, in via riflessa, sul corrispettivo della vendita, anche ai sensi e per gli effetti previsti dall’art. 1497 c.c.

Secondo i giudici di legittimità, il contraente che compra o vende le partecipazioni sociali non può essere esposto al rischio di vedere annullato il contratto che ha concluso a un prezzo concordato, mediante un’azione di annullamento o di risoluzione fondata su un preteso errore di valutazione ascrivibile a una situazione diversa da quella emergente dagli atti contabili, salvo che non abbia prestato apposita garanzia in merito alla consistenza patrimoniale della società che ricolleghi esplicitamente a essa il valore della partecipazione.

Al di fuori di questa ipotesi, non si possono nemmeno distinguere le oscillazioni di valore che rientrano nell’ambito degli elementi discrezionalmente valutabili e quelle che dipendono dall’esistenza di circostanze tali da portare a una modifica della funzionalità della società (quale può essere la perdita del capitale che impone la messa in liquidazione): si tratta, infatti, di una differenza di misura che non incide sul contenuto giuridico della quota o dell’azione, da intendersi quale titolo di partecipazione alla società (al contrario di quanto sarebbe a dirsi, per esempio, qualora si trattasse delle caratteristiche che identificano le diverse categorie di azioni, fornite di diritti diversi), dal momento che non assumono rilievo le utilità economiche – cioè le aspettative di profitto – che l’acquirente si prefigge allorché si determina a effettuare l’acquisto (rientrando anche questo aspetto nell’ambito della valutazione di convenienza dell’affare, ovvero nella sfera dei motivi).

Di conseguenza, nella compravendita di partecipazioni sociali e in mancanza di specifiche garanzie assunte dal venditore, l’errore in ordine al loro valore reale non esplica rilevanza quand’anche abbia influito sulla determinazione del prezzo, che rimane riservata all’autonomia delle parti. Da questo punto di vista, pur non negando che possa ricorrere il dolo, i giudici di legittimità hanno precisato che il semplice mendacio o l’omissione di informazioni sulla situazione patrimoniale della società non sono da sole sufficienti per provocare l’annullamento del contratto, dovendo tali condotte essere accompagnate da malizie o astuzie volte a indurre in inganno la controparte in buona fede e normalmente avveduta, cui non sia imputabile un difetto di diligenza o un’ignoranza colpevole.

Nel caso di specie, dunque, la mera consapevolezza, da parte del venditore, di ulteriori posizioni debitorie della società sottaciute, non accompagnata da artifici volti a provocare l’errore di percezione e di valutazione da parte dell’acquirente, non costituiva elemento sufficiente per accogliere le doglianze di quest’ultimo, a fronte dell’insussistenza, nel regolamento negoziale, di alcuna garanzia attinente alla consistenza patrimoniale della società delle cui partecipazioni si trattava.