La “transazione fiscale” tra Legge Fallimentare e C.C.I.I.: applicazione delle disposizioni prospettiche quali criterio interpretativo di quelle vigenti
di Federico Callegaro, Cultore di Diritto Commerciale presso l' Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass. Civ. S.U., Ordinanza 23 febbraio 2021[1], n. 8504, Pres. Travaglino – Rel. Manzon
Parole chiave: “transazione fiscale”[2] – configurabilità di norme del C.c.i.i. quali utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare – ambito di continuità tra regime vigente e regime futuro – competenza del Giudice Ordinario.
Riferimenti normativi: Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (C.c.i.i.) artt. 48, 390, Legge Fallimentare art. 150, 182bis, 181ter, D.lgs. 14/2019 art. 91.
CASO
Una Società che aveva presentato istanza ex artt. 182 bis e ter L.F., riguardante l’intero Gruppo di appartenenza, che per quanto concerneva la proposta di “trattamento dei crediti tributari” veniva rigettata. Le mancate adesioni venivano impugnate avanti alla Commissione tributaria territorialmente competente “sostenendosi da parte delle società ricorrenti che, pacifica la natura – oggettivamente- tributaria della controversia”, cui seguiva, da parte dell’Agenzia, la proposizione di un ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione.
Parti ricorrenti – singolarmente ciascuna impresa del Gruppo Societario di appartenenza – sosteneva, indicando “pacifica la natura – oggettivamente – tributaria della controversia”, come l’atto impugnato dovesse “analogicamente ricondursi alla fattispecie normativa astratta di cui all’art. 19, comma 1, lett. h), d.lgs 546/1992 (sub specie: diniego di agevolazione ovvero rigetto di domanda di definizione agevolata di un rapporto tributario)”.
SOLUZIONE
La Corte, quale incipit del “Considerato che”, così esordisce chiarendo: “Nell’affrontare la questione di giurisdizione oggetto del giudizio, appare anzitutto necessario effettuare una sintetica illustrazione del quadro normativo direttamente ovvero indirettamente rilevante ai fini della decisione”[3].
In Punto Giurisdizione:
Le S.U., riferendosi alla “prima forma di transazione fiscale”[4], nel riconoscerle la non “affatto irrilevante portata sistematica in relazione al principio, filo tempore quasi un “dogma”, della indisponibilità del credito tributario”, sottolineano come risultasse “comunque confinata nell’ambito dell’esecuzione esattoriale e quindi nell’ambito tributario, senza alcun riferimento diretto alle coeve esecuzioni concorsuali ordinarie” – espressione che parrebbe forse sottolineare un carente coordinamento in sede legislativa della prima con queste ultime[5] -.
Definito l’excursus sull’evoluzione dell’istituto la Corte sottolinea come con l’art. 1, comma 81, legge 232/2016 (legge di bilancio 2017), novellandosi l’art. 182-ter, LF, l’istituto, non più denominato transazione fiscale, ma “trattamento dei crediti tributari e contributivi”, è stato profondamente modificato, ne vengono sintetizzate le caratteristiche essenziali “tenendo conto delle specifiche finalità di questo giudizio”[6]:
- la proposta di accordo sui debiti tributari è obbligatoria, nel senso che non sono previste alternative con riguardo alle procedure concorsuali per le quali è consentita;
- è necessaria la relazione di un professionista indipendente, ma designato dal debitore, che deve attestare la sussistenza dei presupposti di legge per la transazione fiscale (con particolare riguardo alla sua “convenienza”[7];
- a differenza del “modello” precedente, il perfezionamento della transazione fiscale non realizza automaticamente il “consolidamento” (cristallizzazione) dei debiti tributari;
- nell’ambito del concordato preventivo la posizione dell’Ente impositore non è più espressa con un “atto autonomo”, di accoglimento ovvero rigetto della proposta, bensì sulla proposta concordataria stessa.
- nell’ambito delle trattative per un accordo di ristrutturazione dei debiti è prevista la formale adesione alla proposta transattiva del direttore dell’ufficio territoriale.
In punto applicabilità Norme C.c.i.i.
Le Sezioni Unite, rifacendosi a quanto in precedenza già espresso[8] “anche per accedere alla tesi agenziale circa la possibilità di impiego ermeneutico della nuova normativa CCII …”, hanno ritenuto necessario “stabilire in via di comparazione se vi è o meno «continuità» tra le disposizioni legislative direttamente applicabili e quelle che lo saranno ai giudizi instaurati successivamente al 4 dicembre 2020”[9].
Nell’ambito della trattazione di diritto dell’aspetto che precede, la Corte nel precisare, da un lato con riferimento alle previsioni contenute nell’art. 182-ter “questa disciplina è quella senz’altro applicabile nel caso di specie, particolarmente nelle parti che riguardano la speciale procedura di cui all’art. 182-bis, LF.”, chiarisce, dall’altro, che “per contro non può farsi applicazione del d.lgs 14/2019, Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (brevíter, CCII) nè risulta applicabile[10] la versione degli artt. 180, 182 bis e ter, LF recentissimamente introdotta dall’art. 3, comma 1 bis, d.l. 125/2020”.
Si riportano, brevemente, alcuni elementi del complesso sillogismo offerto dalla Pronuncia – che, di per sé, assumono autonomo rilievo quali punti di riferimento per ulteriori e diverse applicazioni dl principio che ne costituisce presupposto -;
- la fonte normativa novellante (d.l. 125/2020) non contiene disposizioni di diritto transitorio e quindi, trattandosi di norme processuali, deve senz’altro applicarsi il principio tempus regit actum – limitandosi quindi ai procedimenti iniziati dopo l’entrata in vigore della relativa legge di conversione -;
- essendo il procedimento in esame anteriore, viene indicata la necessità di fare riferimento “all’ulteriore principio generale della perpetuatio jurisdictionis di cui all’art. 5, cod. proc. civ., appunto con specifico riguardo alla «legge vigente .. al momento della proposizione della domanda»”, non assumendo rilievo i suoi mutamenti successivi;
- Premettendo come “la configurazione dell’istituto transitata sostanzialmente immutata nelle disposizioni del CCII e nella novella anticipatrice del dicembre 2020” la Corte afferma come non si profili “una “soluzione di continuità” tra la vecchia e la nuova disciplina”, con la conseguenza di utilmente impiegare quest’ultima “come elemento di valutazione ermeneutica della prima”;
- nel richiamare come, in base alla norma, il tribunale omologhi gli accordi di ristrutturazione o il concordato preventivo, anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria quando a) l’adesione sia determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali e b) la proposta di soddisfacimento dell’amministrazione sia conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria, precisa e chiarisce come tela scelta normativa indirizzi “in modo marcato la questione della mancata adesione alla proposta di transazione da parte dell’agenzia fiscale verso la competenza giurisdizionale di merito del tribunale fallimentare, collocando ancor più chiaramente l’istituto de quo all’interno delle procedure concorsuali ed alle loro, peculiari, finalità, piuttosto che nell’ambito delle procedure di attuazione dei tributi”.
La Corte a conclusione delle specifiche analisi effettuate:
- sottolinea come la “transazione sui ruoli” e la “transazione fiscale” presentino “aspetti di significativa diversità, riguardando la prima la, sola, esecuzione esattoriale e la seconda le procedure concorsuali e paraconcorsuali”;
- evidenzia come rispondano, quindi, ad “esigenze che non sono omogenee tra loro, essendo evidente la natura esclusivamente tributaria della prima, essenzialmente concorsuale della seconda”;
- chiarisce che “non può infatti ritenersi sufficiente a fare rientrare nella sfera di applicazione dell’art. 2, d.lgs. 546/1992 (limite esterno della giurisdizione tributaria speciale) la mera natura giuridica delle obbligazioni oggetto della transazione fiscale”, risultando necessario “valorizzare la prevalente/assorbente finalità concorsuale dell’accordo transattivo e quindi del suo mancato raggiungimento a causa del dissenso opposto dall’Ente impositore”;
- dichiara “in conclusione … la giurisdizione del giudice ordinario nella declinazione del giudice competente in ordine alle procedure concorsuali”.
QUESTIONI
La pronuncia, in uno con il precedente dalla stessa citato, assume rilievo non solo con riferimento alle fattispecie già concretizzatesi – pendenti, o meno, eventuali procedimenti giudiziari -, nonchè, non secondariamente a quelle che da qui alla definitiva entrata in vigore del C.c.i.i., potranno emergere. La questione si pone, non da ultimo, sia all’attività di analisi giuridica in fase studio e predisposizione del ricorso alla decisione / pronuncia avversa quanto anche alla stessa stesura della domanda di ammissione ovvero altro atto mediante il quale vengano presentate memorie od altre istanze[11].
Si ritiene opportuno considerare, pur limitandoci ad esporre l’ipotesi applicativa del principio (infra) espresso dalle Sezioni Unite, anche alle norme comunitarie direttamente applicabili senza necessità di un apposito Provvedimento di Recepimento, quanto alle Disposizioni in esse contenute che presentino le caratteristiche delineate nella Decisione in esame[12], la cui applicazione sia dilazionata nel tempo e che interessino Norme Comunitarie, già recepite nell’Ordinamento Domestico così come Norme vigenti non derivate da una Legislazione Comunitaria oggetto di precedente recepimento, legittimandosi l’utile utilizzo della nuova disciplina quale elemento di valutazione ermeneutica della vecchia. Quanto precede, non da ultimo, troverebbe supporto nell’assenza di limitazioni da parte delle Sezioni Unite alla Fonte Legislativa [se domestica ovvero non domestica] quanto alla capacità di una nuova disciplina – già ritualmente norma – di influire, una volta perfezionato l’iter di sua emanazione, in ragione del trascorrere del tempo da essa previsto per la sua applicazione[13], su una già in vigore.
[1] Data pubblicazione 25 marzo 2021.
[2] Istituto ora denominato “trattamento dei crediti tributari e contributivi”.
[3] Come si avrà modo di rilevare i due aspetti, Applicabilità “anticipata” Norme C.c.i.i. e Competenza Giurisdizionale, risultano strettamente connesse per la definizione della questione posta all’attenzione della Suprema Corte.
[4] “Va ricordato” precisano le S.U. come la prima forma di “transazione fiscale” sia stata introdotta nell’ordinamento con l’art. 3, comma 3, d.l. 138/2002 e trattavasi “di una previsione normativa limitata, riferendosi la stessa solo ai tributi erariali iscritti a ruolo ed il cui modulo attuativo aveva quale presupposto sostanziale l’accertamento della sua convenienza rispetto alla riscossione coattiva”. In dottrina e nella prassi veniva denominata come “transazione sui ruoli” ed era “comunque confinata nell’ambito dell’esecuzione esattoriale e quindi nell’ambito tributario, senza alcun riferimento diretto alle coeve esecuzioni concorsuali ordinarie”.
Viene, inoltre, richiamato come con il d.lgs 5/2006 che viene introdotto l’istituto della transazione fiscale e lo ha collocato all’interno della disciplina delle procedure concorsuali introducendo nella legge fallimentare, tra le altre, l’art. 182-ter Transazione fiscale, “con più radicale deroga al detto principio di indisponibilità dei crediti tributari, prevedeva, per la prima volta, la possibilità di un accordo tra Ente impositore e contribuente insolvente sul pagamento parziale non satisfattivo ovvero sul dilazionamento del pagamento dei debiti tributari di quest’ultimo”,
[5] Si rammenti, peraltro, come le disposizioni in matria di Accordi di ristrutturazione dei debiti sono state, via via introdotte, dal 2006 con l’introduzione alla Legge Fallimentare dell’art. 182-bis – d.l. 14 marzo 2005, n. 35 convertito con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005 -.
[6] Di seguito riassunte.
[7] “essenzialmente intesa come miglior soddisfacimento delle pretese fiscali rispetto alle altre alternative)”.
[8] Cass. Civ. Sent. S. U, 12476 del 25 febbraio 2020 la quale, nel trattare il caso di una revocatoria infra gruppo ha precisato, con riferimento all’eventuale applicazione interpretativa dell’art. 390 C.c.i.i. e sottolineando che “Il C.c.i.i. è testo in generale non applicabile – per scelta del legislatore – alle procedure … aperte anteriormente alla sua entrata in vigore …” precisa “la pretesa di rinvenire in esso norme destinate a rappresentare un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare potrebbe essere ammessa se (e solo se) si potesse configurare – nello specifico segmento – un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro”.
[9] Data dell’entrata in vigore della legge di conversione del d.l. 125/2020, termine relativamente al quale le S.U. richiamano come “La fonte normativa novellante non contiene disposizioni di diritto transitorio e quindi, trattandosi di norme processuali, deve senz’altro applicarsi il principio tempus regit actum”, con esclusione per il caso di specie delle disposizioni con esso introdotte.
[10] Significativo e chiaro il ricorso, da parte delle S.U., del termine “applicazione” che presuppone un diretto collegamento tra una fattispecie ed una norma la cui applicazione alla prima è oggetto di valutazione.
[11] Al pari degli altri casi in cui la Giurisprudenza di Legittimità indica principi di diritto fermo restando come, nell’ambito dell’intervento spiegato dalla Pronuncia qui considerata, la relativa [eventuale] applicazione ai singoli casi di specie più ampia ed approfondita.
[12] In particolare ove “non si profila una “soluzione di continuità” tra la vecchia e la nuova disciplina”.
[13] Unica condizione, quella temporale, che appare possa debba essere presenta per vedersi applicabile il Principio esposto dalle Sezioni Unite.
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