22 Giugno 2021

Il “supercondominio” e la presunzione legale di condominialità rispetto ad un impianto fognario posto in rapporto di accessorietà: “la soluzione del doppio regime”

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. II, 4 febbraio 2021, n. 2623. Presidente D’Ascola, Estensore Scarpa

“Rispetto ad un impianto fognario posto in rapporto di accessorietà con una pluralità di edifici costituiti in distinti condomini, giacché oggettivamente e stabilmente destinato all’uso od al godimento di tutti i fabbricati, trova applicazione la disciplina specifica del condominio, anziché quella generale della comunione, e perciò opera la presunzione legale di condominialità, ma solo sino al punto in cui è possibile stabilire a quale degli edifici la conduttura si riferisca, per poi considerare cessata la comunione dal punto in cui le diramazioni siano inequivocabilmente destinate a ciascun edificio; da ciò consegue che, ove i danni subìti da un terzo siano connessi ad un tratto del detto impianto posto ad esclusivo servizio di uno dei condomìni, la relativa responsabilità (nella specie, di natura extracontrattuale, ex art. 2051 c.c.) è addebitabile esclusivamente a quest’ultimo e non all’intero supercondominio, non potendosi estendere agli altri condomìni del complesso gli obblighi di custodia e di manutenzione gravanti sull’amministratore e sull’assemblea del singolo edificio”.

  1. INELUDIBILE SPECIFICAZIONE DEL CASO

La Alpha s.r.l., proprietaria di una unità immobiliare al piano interrato del fabbricato costituente il Condominio X, con citazione, preceduta da domanda di provvedimenti di urgenza ex articolo 700 c.p.c., aveva domandato al Tribunale di Roma la condanna dei Condomini Y, Z, K e J a riparare l’impianto fognario comune ai cinque edifici, ad eseguire le necessarie opere di manutenzione ed a risarcire i danni subiti dall’attrice per effetto della tracimazione di liquami.

Mentre il ricorso cautelare, che aveva ordinato le opere di urgente manutenzione, era stato accolto nei confronti di tutti i condomini convenuti, la sentenza di primo grado aveva invece condannato soltanto il Condominio X a realizzare una vasca nell’area sottostante ai locali danneggiati ed a risarcire all’attrice i danni.

Il Condominio X, pertanto, aveva proposto appello in via principale alla Corte d’appello di Roma, che, confermando la decisione resa in primo grado, respingeva sia il gravame principale che quelli incidentali.

La Corte d’Appello aveva motivato il rigetto dell’appello principale secondo quanto segue:

-la costruzione della vasca non costituiva opera di manutenzione straordinaria gravante su tutti i condomini che si servono della comune rete fognaria ai sensi dell’articolo 4 della Convenzione posta in essere dalle originarie società costruttrici dei diversi fabbricati, in quanto dispositivo ulteriore rispetto all’impianto esistente e destinato all’utilità del solo scantinato del Condominio X, per evitare rigurgiti dal collettore comunale;

-non sussistevano contraddittorietà tra le CTU espletate né occorreva sottoporre nuovi quesiti all’ausiliare sulle cause degli allagamenti; la causa della fuoriuscita dei liquami era stata ravvisata nella parte di rete fognaria ubicata nel sottosuolo dell’edificio del Condominio X;

-non vi era alcuna contraddittorietà tra la ripartizione degli obblighi manutentivi della rete fognaria in capo a tutti i condomini e la ravvisata responsabilità ex articolo 2051 c.c., del solo Condominio X;

-era stata raggiunta prova dei danni subiti per l’inutilizzabilità’ del locale da parte della Alpha s.r.l. ed erano stati correttamente quantificati i danni stessi; non sussistevano violazioni della strumentalità del giudizio ex articolo 700 c.p.c., ne’ era prescritta l’azione risarcitoria, stante la persistenza dei fenomeni infiltrativi.

Avverso la sentenza n. 5982/2015 della Corte d’appello di Roma, il Condominio X proponeva ricorso articolato in otto motivi, ricalcando le otto censure già formulate in appello, e resistevano con distinti controricorsi la Alpha s.r.l., il Condominio Y, unitamente al Condominio Z, ed il Condominio K, inoltre era stato intimato anche il Condominio J, il quale, tuttavia, non ha svolto attività difensive.

Il ricorrente lamentava, nella sostanza delle sue prime quattro censure, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito,

Il motivo 5 del ricorso deduceva la violazione e falsa applicazione dell’articolo 40 c.p. e articolo 2697 c.c., nonché dell’articolo 2729 c.c. e dell’articolo 116 c.p.c..: si assumeva che la mancata locazione del bene a causa della fuoriuscita del liquame dall’impianto fognario doveva essere specificamente provata dalla società attrice. A tal fine, veniva criticata la rilevanza probatoria della lettera di recesso dei Testimoni di Geova, conduttori dei locali di proprietà di Alpha s.r.l., che indicherebbe la fuoriuscita del liquame come semplice concausa.

Il motivo 6 deduceva la violazione dell’articolo 115 c.p.c., in quanto X è notoriamente nel quartiere (OMISSIS) e non in quello (OMISSIS), quartiere meno signorile e con un valore immobiliare inferiore. Per di più, il locale che si assumeva danneggiato aveva cambiato destinazione d’uso da C1 a C2 solo nel 2002.

Il motivo 7A di ricorso denunciava la violazione degli articoli 112 e 700 c.p.c., non avendo Alpha s.r.l. proposto nel ricorso ex articolo 700 c.p.c., alcuna domanda di risarcimento dei danni per la tracimazione dei liquami, né fatto in esso alcuna espressa riserva per i danni stessi.

L’ottavo motivo di ricorso (numerato in rubrica come 7B) deduceva la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2935 c.c. e articolo 2947 c.c., comma 1, concernente la prescrizione quinquennale che, secondo il ricorrente, doveva comunque intendersi maturata. Al riguardo, la sentenza impugnata, sul presupposto della natura permanente dell’illecito aquiliano attribuito al Condominio X, per la mancata realizzazione dei lavori di riparazione della rete fognaria e la persistenza delle infiltrazioni sin alla data della citazione introduttiva del giudizio, ha negato che si fosse verificata alcuna prescrizione del diritto al risarcimento dei danni.

  1. LA SOLUZIONE DELLA SUPREMA CORTE.

Esaminata pregiudizialmente l’eccezione posta dal Condominio X secondo cui la prima notifica del ricorso era da ritenersi inesistente e ritenuta infondata in quanto l’atto aveva raggiunto comunque il proprio scopo, la Corte accoglieva l’ottavo motivo del ricorso del Condominio X, rigettando i primi sette motivi, e cassava la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma.

Ritenendo di poter esaminare congiuntamente i primi quattro motivi di ricorso in quanto connessi, e comunque inerenti la motivazione della pronuncia di secondo grado, la Cassazione rilevava comuni e diffusi profili di inammissibilità e dichiarava i suddetti motivi infondati. Affermando che la sentenza impugnata contenesse le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, la S.C. qualificava come prive di fondamento le doglianze sulla nullità della pronuncia della Corte d’appello di Roma.

Potendo essere decisi unitariamente, quinto e sesto motivo si rivelavano inammissibili, essendo entrambe le censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata, come imposto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto neppure contenevano l’esatta individuazione delle ragioni contenute nei rispettivi capi della pronunzia impugnata.

In merito al settimo motivo, la Corte si pronunciava ritenendolo infondato. Infatti, essendo il procedimento cautelare autonomo e distinto dal giudizio di cognizione,[1] all’interno di quest’ultimo tutte che le possibili domande attinenti al merito sono da ritenersi proponibili, pur se volte a far valere un diritto diverso da quello cui si riferivano le domande formulate nel procedimento cautelare; pertanto non si ravvisava alcuna inammissibilità della domanda articolata nel giudizio di merito per diversità e, quindi, per novità di essa rispetto a quella precedentemente formulata nel ricorso diretto ad ottenere il provvedimento cautelare, mancando una qualsiasi norma processuale che, in deroga ai generali principi sulla cumulabilità delle azioni, precluda di introdurre dinanzi al giudice del processo di cognizione piena una domanda ulteriore rispetto a quella già oggetto della invocata tutela cautelare.[2]

Per quanto concerneva il motivo 7B, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, allorquando, come nel caso in esame, si lamenti un danno ad un immobile per effetto della creazione di uno stato di fatto e si domandi l’eliminazione di questo ed il risarcimento, sia l’illecito costituito dalla creazione dello stato di fatto in se’ e per se’ quale fonte di danno come tale all’immobile, sia l’illecito rappresentato dalla verificazione di danni all’immobile in quanto originatisi come effetti della presenza dello stato di fatto, hanno natura di illeciti permanenti. Ne consegue che il termine di prescrizione della pretesa di risarcimento in forma specifica mediante rimozione dello stato di fatto non decorre dall’ultimazione dell’opera che lo ha determinato, in quanto la condotta illecita si identifica nel fatto del mantenimento dello stato di fatto che si protrae ininterrottamente nel tempo, mentre il termine di prescrizione del diritto al risarcimento per equivalente dei danni subiti dall’immobile in conseguenza dell’esistenza dello stato di fatto decorre in relazione a tali danni “de die in diem”, e cioè a mano a mano che essi si verificano.

 In sostanza, ravvisato un comportamento illecito permanente del responsabile, va riconosciuto un diritto al risarcimento che sorge in modo continuo e che, in assenza di atti interruttivi, in modo continuo si prescrive, se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si produce.

Ciò detto, la Suprema Corte riteneva fondato l’ottavo motivo di ricorso.

  1. “IL DOPPIO REGIME”

Nel caso di specie, la Suprema Corte si è pronunciata sulla disciplina applicabile ad un impianto fognario posto in rapporto di accessorietà con una pluralità di edifici costituiti in distinti condomini, compresi in una più ampia organizzazione condominiale: il c.d. supercondominio.

La decisione della Corte ha sancito l’applicabilità della normativa condominiale, anziché quella della semplice comunione, in quanto suddetto impianto risultava essere oggettivamente e stabilmente destinato all’uso od al godimento di tutti i fabbricati.

La Cassazione ha voluto dunque ribadire la posizione che aveva già adottato in precedenza, optando per la c.d. soluzione del “doppio regime”.

Secondo tale orientamento sono applicabili le norme del condominio allorquando i beni o servizi comuni evidenziano un collegamento funzionale, del tipo di quello proprio dei beni elencati dall’art. 1117 c.c., con i piani o con le porzioni di piano dei diversi edifici, sì da configurare una relazione di accessorietà delle cose comuni rispetto alle unità immobiliari, anche se comprese in più edifici.

Pertanto, l’esistenza di una relazione di accessorietà giustifica l’applicazione delle norme specifiche sul condominio ai complessi immobiliari (i supercondomini) atteso che le cose, gli impianti ed i servizi di uso comune, sono o strutturalmente necessari alla stessa esistenza del bene individuale (fondamenta, scale, tetto), ovvero funzionalmente destinati al servizio di questo, di modo che il godimento dei beni comuni è strumentale al godimento (o al miglior godimento) del bene individuale.[3]

Invece, si deve far riferimento alla disciplina sulla comunione nel caso in cui le cose comuni rivelino aspetti di autonomia tanto da non essere destinate all’esistenza o allo specifico uso delle diverse proprietà individuali, trattandosi di beni non necessari per l’esistenza o per l’uso delle unità abitative, nè destinati al loro uso o servizio.

“Nel caso di pluralità di edifici, costituiti in distinti condomini, ma compresi in una più ampia organizzazione condominiale (c.d. “supercondominio”), trovano applicazione le norme sul condominio negli edifici e non già quelle sulla comunione in generale, con la conseguenza che si applica la presunzione legale di comunione di talune parti, stabilita dall’art. 1117 cod. civ., purché si tratti di beni oggettivamente e stabilmente destinati all’uso od al godimento di tutti gli edifici, come nel caso degli impianti di acqua sino al punto in cui è possibile stabilire a quale degli edifici la conduttura si riferisca, per poi considerare cessata la comunione dal punto in cui le diramazioni siano inequivocamente destinate a ciascun edificio”.[4]

La pronuncia della Cassazione ha enunciato inoltre che tale presunzione legale di condominialità, opera solo sino al punto in cui è possibile stabilire a quale degli edifici la conduttura si riferisca, per poi considerare cessata la comunione dal punto in cui le diramazioni siano inequivocabilmente destinate a ciascun edificio. [5]

Pertanto, ove i danni subìti da un terzo siano connessi ad un tratto del detto impianto posto ad esclusivo servizio di uno dei condomìni, la relativa responsabilità (nella specie, di natura extracontrattuale, ex art. 2051 c.c.) è addebitabile esclusivamente a quest’ultimo e non all’intero supercondominio, non potendosi estendere agli altri condomìni del complesso gli obblighi di custodia e di manutenzione gravanti sull’amministratore e sull’assemblea del singolo edificio

Come accertato nei gradi di merito, l’impianto fognario in questione risulterebbe essere in rapporto di accessorietà con una pluralità di edifici costituiti in distinti condomini, giacché oggettivamente e stabilmente destinato all’uso od al godimento di tutti i fabbricati, e trova comunque applicazione la disciplina specifica del condominio, anziché quella generale della comunione, operando la presunzione legale di condominialità, ma sino al punto in cui è possibile stabilire a quale degli edifici la conduttura si riferisca, per poi considerare cessata la comunione dal punto in cui le diramazioni siano inequivocamente destinate a ciascun edificio.

Per quanto concerne l’obbligazione risarcitoria, ex art. 2051 c.c., è richiesta la prova di una relazione tra la cosa in custodia e l’evento dannoso, nonché dell’esistenza di un effettivo potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe il dovere di vigilare onde evitare che produca danni a terzi.[6]

La sentenza impugnata ha così coerentemente concluso che unicamente al Condominio X incombesse la responsabilità extracontrattuale quale custode e proprietario del tratto di impianto fognario difettoso, spettando, del resto, all’accertamento del giudice di merito, non sindacabile dalla Corte di cassazione verificare l’appartenenza di un bene ad uno soltanto o a tutti gli edifici compresi in una più ampia organizzazione condominiale.[7]

[1]Arg. da Cass. Sez. 2, 30/06/2011, n. 14465

[2]Arg. da Cass. Sez. 3, 10/11/2010, n. 22830; Cass. Sez. 2, 24/05/2000, n. 6809.

[3] Ayroldi G., “Supercondomino: regime della comunione o del condominio?”, in “Diritto civile e commerciale”, Diritto & Diritti ISSN 1127-8579

[4] Cass. Sez. 2, 09/06/2010, n. 13883

[5]Cfr. Cass. Sez. 2, 09/06/2010, n. 13883; Cass. Sez. 2, 02/03/2007, n. 4973.

[6]Si veda indicativamente Cass. Sez. 2, 20/10/2014, n. 22179

[7]Cfr. Cass. Sez. 3, 04/12/1976, n. 4537)

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