Annullamento di delibera assembleare condominiale: limiti dell’efficacia preclusiva e precettiva del giudicato
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, sez. II, 29 gennaio 2021, n. 2127. Presidente D’Ascola, Estensore Scarpa
“L’efficacia preclusiva e precettiva del giudicato di annullamento di una delibera condominiale è meramente negativa, in quanto essa pone soltanto un limite all’esercizio dell’attività di gestione dell’assemblea, impedendole di riapprovare un atto affetto dagli stessi vizi, atto che sarebbe altrimenti a sua volta invalido; la sentenza di annullamento resa ai sensi dell’art. 1137 c.c. ha, inoltre, effetto nei confronti di tutti i condomini, anche qualora non abbiano partecipato direttamente al giudizio di impugnativa promosso da uno o da alcuni di loro, ma con riguardo alla specifica deliberazione impugnata”.
CASO
La condomina società s.r.l. impugnava la deliberazione assembleare del condominio risalente al luglio 2005 in cui era stato deciso di proporre ricorso per cassazione, con contestuale rifiuto della proposta transattiva formulata dell’avvocato, in un giudizio corrente tra il condominio ed altri due condomini, concernente il risarcimento dei danni cagionati da infiltrazioni di acqua.
Il Tribunale respingeva la domanda della società s.r.l., ed anche la Corte d’appello di Napoli non accoglieva l’impugnazione conseguente. La sentenza dei giudici di secondo grado rimarcava, in particolare, che il riferimento contenuto nell’ordine del giorno dell’assemblea del luglio 2005 al giudizio civile cui ineriva la proposta transattiva dell’avvocato rendeva prevedibile uno sviluppo della discussione diretto a deliberare la proposizione del ricorso per cassazione; non rilevava, ai fini delle modalità di convocazione, il richiamo agli articoli 40 e 41 del regolamento condominiale relativi rispettivamente alla legittimazione passiva dell’amministratore e al quorum costitutivo dell’assemblea condominiale, in quanto la condomina società s.r.l. aveva partecipato comunque all’assemblea, sanando così ogni eventuale irregolarità dell’ordine del giorno; non occorreva inoltre la maggioranza di cui all’art. 1136 comma 4 c.c., per le liti esorbitanti dalle attribuzioni dell’amministratore, trattandosi di causa per risarcimento dei danni provocati da cose comuni, e comunque risultava raggiunto il quorum ex art. 1136 comma 4 c.c.; quanto all’articolo 40 del regolamento di condominio, esso neppure implicava la necessità della maggioranza di cui all’ all’art. 1136 comma 4 c.c.
La società s.r.l., soccombente in entrambi i gradi di giudizio, proponeva ricorso in cassazione, articolato in dieci motivi avverso la sentenza di secondo grado. Resisteva con controricorso il condominio.
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione confermava la sentenza di secondo grado, rigettando l’impugnazione e dichiarando tutti i motivi di ricorso inammissibili o comunque infondati.
QUESTIONI
La sentenza in esame pone rilievo su diverse questioni di interesse che verranno di seguito analizzate contestualmente ai motivi di ricorso ai quali sono inscindibilmente connesse.
Con primo motivo di ricorso si deduceva la violazione o falsa applicazione di disposizioni normative[1] e regolamentari[2], essendo stata disattesa l’eccezione della società s.r.l. vertente sulla non corretta costituzione in giudizio del condominio, stante la disposizione regolamentare per la quale l’amministratore, per agire o resistere in giudizio, avrebbe conseguire l’autorizzazione dell’assemblea, tranne che per le azioni contro il condomino moroso e nei casi di urgenza (art.40 del regolamento condominiale).
In primo luogo, la Suprema Corte osserva come tale motivo presenti profili di inammissibilità in quanto strutturato con richiamo di norme di diritto asseritamente violate o inosservate, senza recare poi nel suo contenuto la specifica indicazione delle affermazioni contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumevano in contrasto con ciascuna delle medesime norme individuate come regolatrici della fattispecie. In secondo luogo, il Collegio osserva, seguendo consolidato orientamento giurisprudenziale[3] e dottrinale[4], come, sebbene con il primo motivo la parte ricorrente intendesse dimostrare che la Corte d’appello non aveva osservato quanto stabilito nel regolamento condominiale, quest’ultimo non abbia natura di atto normativo generale e astratto[5], rendendo pertanto inammissibile il motivo del ricorso per cassazione col quale si lamenti la violazione o falsa applicazione delle norme di tale regolamento ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La Cassazione rileva come all’interno di tale prima censura si trovino sia considerazioni sulla validità della costituzione in giudizio del condominio nel processo relativo all’impugnazione della deliberazione assembleare del luglio 2005, sia considerazioni inerenti alla valida proposizione del ricorso per cassazione approvato con quella delibera, in diverso giudizio avente ad oggetto il risarcimento dei danni cagionati da beni condominiali.
Sul primo punto, circa l’autonoma legittimazione dell’amministratore a resistere all’impugnazione della delibera assembleare, l’interpretazione della Suprema Corte sostiene che spetti in via esclusiva all’amministratore del condominio la legittimazione passiva a resistere nei giudizi promossi dai condomini per l’annullamento delle delibere assembleari, ove queste non attengano a diritti sulle cose comuni[6]. Essendo l’amministratore l’unico legittimato passivo nelle controversie ex articolo 1137 c.c., in forza dell’attribuzione conferitagli dall’articolo 1130 c.c., n. 1, e della corrispondente rappresentanza in giudizio ai sensi dell’articolo 1131 c.c., allo stesso spetta altresì la facoltà di gravare la relativa decisione del giudice, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea[7], quest’ultimo ha solo l’onere – a pena di revoca – di informare l’assemblea in caso riceva la notifica di atti giudiziari ed dal 2010 anche istanze di media conciliazione. Del pari sussiste la legittimazione passiva dell’amministratore, quindi anche quella a proporre impugnazione avverso la sentenza che abbia visto soccombente il condominio, senza necessità di autorizzazione dell’assemblea a costituirsi nel giudizio, rispetto alla controversia relativa alla domanda di risarcimento dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione di un bene condominiale, essendo l’amministratore comunque tenuto a provvedere alla conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio ai sensi dell’articolo 1130 c.c., n. 4.
Il Collegio segue anche nel caso di specie il consolidato orientamento interpretativo[8] secondo cui il potere – dovere di compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio, attribuito all’amministratore di condominio dall’articolo 1130, n. 4, c.c., implica in capo allo stesso la correlata autonoma legittimazione processuale attiva e passiva, ex articolo 1131 c.c., in ordine alle controversie in materia di risarcimento dei danni, qualora l’istanza appaia connessa o consequenziale, appunto, alla conservazione delle cose comuni.
All’uopo si riafferma che il potere dell’amministratore di rappresentare il condominio nelle liti proposte contro il medesimo di cui all’articolo 1131 c.c., nell’ambito delle attribuzioni conferitegli a norma dell’articolo 1130 c.c., deriva direttamente dalla legge e non può venire limitato né per volontà dell’amministratore né per deliberazione della assemblea. Ne deriva che la clausola contenuta in un regolamento condominiale, ancorché quest’ultimo deliberato con l’accordo di tutti i condomini, secondo cui l’autorizzazione a stare in giudizio debba essere deliberata dall’assemblea, non ha efficacia giuridica, poiché l’articolo 1138 c.c., comma 4, prevede che le norme regolamentari non possono derogare alle disposizioni del codice civile, fra le quali è appunto compresa quella di cui all’articolo 1131 c c citato.
Il secondo motivo di ricorso denunciava la disattesa l’eccezione della parte ricorrente sulla non corretta convocazione dell’assemblea del luglio 2005, per inesistenza nell’ordine del giorno del deliberato “ricorso per cassazione”. Anche questo motivo denotava alcuni profili di inammissibilità. La giurisprudenza della S.C. consolidatasi prima dell’entrata in vigore dell’articolo 66 disp. att. c.c., comma 3, (introdotto dalla L. 220/2012, e perciò non applicabile al caso di specie ratione temporis), afferma che, affinché la delibera di un’assemblea condominiale sia valida, è necessario che l’avviso di convocazione elenchi, sia pure in modo non analitico e minuzioso, specificamente gli argomenti da trattare tali da far comprendere i termini essenziali di essi e consentire agli aventi diritto le conseguenti determinazioni anche relativamente alla partecipazione alla deliberazione. La disposizione dell’articolo 1105 c.c., comma 3, che si riteneva applicabile anche in materia di condominio di edifici, in difetto di una analoga prescrizione quale quella attualmente contenuta nel richiamato articolo 66 disp. att. c.c., comma 3, la quale stabilisce che tutti i partecipanti debbano essere preventivamente informati delle questioni e delle materie sulle quali sono chiamati a deliberare, non comporta che nell’avviso di convocazione debba essere prefigurato lo sviluppo della discussione ed il risultato dell’esame dei singoli punti da parte dell’assemblea[9]. In ogni caso, l’accertamento della completezza o meno dell’ordine del giorno di un’assemblea condominiale, nonché della pertinenza della deliberazione dell’assemblea al tema indicato nell’ordine del giorno contenuto nel relativo avviso di convocazione, rimane demandato all’apprezzamento del giudice del merito insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato, come nel caso in oggetto, nel quale era stato chiarito come la decisione di proporre ricorso per cassazione costituiva possibile sviluppo della discussione e dell’esame dello specifico punto all’ordine del giorno “procedura civile – proposta transattiva dell’Avvocato”
Il terzo motivo di ricorso censurava da un lato l’insufficienza del quorum deliberante dell’assemblea del luglio 2005 e dall’altro l’esclusione della lite dalle attribuzioni dell’amministratore.
Il motivo è ritenuto infondato per le ragioni già esposte a proposito della prima censura: la controversia relativa alla domanda di risarcimento dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione di un bene condominiale vede quale legittimato passivo l’amministratore (il quale può perciò anche proporre impugnazione avverso la sentenza che abbia visto soccombente il condominio), senza necessità di autorizzazione dell’assemblea a costituirsi nel giudizio, avendo lo stesso il potere-dovere sostanziale di “compiere atti conservativi”, il quale si riflette, sul piano processuale, nella legittimazione inerente alle domanda di risarcimento dei danni, qualora connessa con la conservazione dei diritti sulle parti comuni[10].
Il quarto, il quinto e il sesto motivo di ricorso vertevano sulla violazione dell’articolo 112 c.p.c., con riferimento all’articolo 2909 c.c., avendo la Corte d’Appello ignorato o contraddetto il giudicato formatosi su alcuni punti fondamentali della controversia derivanti da una sentenza dello stesso Tribunale, su un’altra vertenza intercorsa tra i condomini dello stesso condominio, anche in relazione alla sentenza n. 2363/2012 della Corte di cassazione[11].
Il settimo e l’ottavo motivo di ricorso allegavano la violazione dell’articolo 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello ignorato o contraddetto successivi verbali assembleari (rispettivamente risalenti al giugno 2011, febbraio 2013 e giugno 2013) nei quali si prescriveva la presenza di tutti i condomini all’assemblea per l’approvazione dell’autorizzazione dell’amministratore a costituirsi in giudizio.
Il nono motivo di ricorso verteva sul principio di non contestazione, non avendo il Condominio contestato in alcun modo le argomentazioni poste a fondamento delle precedenti censure.
La Suprema Corte esamina i motivi dal quarto al nono congiuntamente, in quanto connessi, dichiarandoli tutti inammissibili o comunque infondati.
In particolare, il quarto, il quinto ed il sesto motivo di ricorso assumono che, per effetto della produzione di copia dell’altra sentenza del Tribunale e della sentenza n. 2363/2012 della Corte di Cassazione da parte della difesa, i giudici di appello avrebbero dovuto pronunciare sulla eccezione di giudicato esterno o comunque verificare l’effettiva esistenza di una pronuncia avente tale valenza.
La ricorrente però si è limitata alla mera allegazione della precedente pronuncia del Tribunale, da cui intendeva trarre giovamento, deducendo che la materia del contendere era coperta dal giudicato formatosi in altro giudizio già intercorso tra le parti, senza tuttavia dedurre in modo specifico, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le statuizioni di quella pronuncia che diano fondamento all’opponibilità dell’invocato effetto preclusivo derivante dal giudicato formatosi nell’altro giudizio, in maniera da consentire al giudice di legittimità le indagini e gli accertamenti necessari, anche di fatto.
L’omessa pronuncia sull’eccezione di giudicato esterno come l’omesso esame dei documenti indicati sottendono, comunque, una questione di diritto che appare manifestamente infondata, senza richiedere ulteriori accertamenti di fatto, e perciò renderebbero comunque inutile il ritorno della causa nella fase di merito[12].
Infatti, non può rivestire alcuna efficacia di giudicato nel presente giudizio, avente ad oggetto la impugnazione della deliberazione assembleare del luglio 2005 del Condominio, proposta dalla condomina società s.r.l., la sentenza resa in giudizio avente ad oggetto l’impugnazione di diversa delibera proposta da altro condomino dello stesso condominio (nella specie, la delibera assembleare dell’ottobre 2005) su cui venne a pronunciare lo stesso Tribunale in altra sentenza. Va considerato come la pronuncia di annullamento di una delibera assembleare riveste unicamente un effetto caducatorio, e non anche un effetto costitutivo per l’assemblea o per l’amministratore. In tal senso, può dirsi che l’efficacia preclusiva e precettiva del giudicato di annullamento di una delibera condominiale e’ meramente negativa, in quanto essa pone soltanto un limite all’esercizio dell’attività di gestione dell’assemblea, impedendole di riapprovare un atto affetto dagli stessi vizi, atto che sarebbe altrimenti a sua volta invalido. Un’efficacia più intensa può essere riconosciuta soltanto al giudicato di invalidità caduto su una deliberazione avente contenuto negativo, che abbia, cioè, respinto proposte o richieste (parimenti impugnabile ai sensi dell’articolo 1137 c.c.: cfr. Cass. Sez. 2, 14/01/ 1999, n. 313), dovendo da esso discendere un obbligo di assumere la decisione illegittimamente rigettata. Pertanto, la sentenza di annullamento resa ai sensi dell’articolo 1137 c.c., ha effetto nei confronti di tutti i condomini, anche se non abbiano partecipato direttamente al giudizio di impugnativa promosso da uno o da alcuni di loro, ma con riguardo alla specifica deliberazione impugnata.
Per contro, l’annullamento con sentenza passata in giudicato di una deliberazione dell’assemblea, impugnata da un condomino per violazione di una norma del regolamento condominiale, non determina il giudicato sulla validità della stessa disposizione regolamentare, la cui conformità, o meno, a norme imperative di legge può essere oggetto di un successivo giudizio tra le medesime parti[13].
Ne consegue che la pronuncia relativa alla validità della deliberazione dell’assemblea dei condomini concernente la costituzione in giudizio del condominio non costituisce giudicato esterno con riguardo a distinte delibere del medesimo consesso aventi analogo oggetto (sicché essa non e’ assimilabile ad un elemento normativo, che fissa la regola del caso concreto, obbligando il giudice davanti al quale venga invocata ad accertarne, in ogni stato e grado, l’esistenza e la portata), ma vale, al più, come precedente giurisprudenziale, del quale il giudice non deve dimostrare esplicitamente l’infondatezza o la non pertinenza rispetto al nuovo caso da decidere, poiché i motivi della decisione in tanto possono essere viziati, in quanto siano di per sé erronei, in fatto o in diritto, in relazione alla fattispecie concreta, non già perché eventualmente in contrasto con quelli addotti in decisioni riguardanti altre fattispecie analoghe, simili o addirittura identiche.
Ancora minore decisività (ovvero, idoneità a determinare un esito diverso della controversia) rivestono i verbali di altre riunioni assembleari del Condominio che avevano affrontato il profilo delle maggioranze occorrenti per la costituzione in giudizio. Torna nuovamente dirimente quanto già affermato a proposito del primo motivo di ricorso, in ordine alla autonoma legittimazione dell’amministratore per la controversia relativa alla domanda di risarcimento dei danni derivati al singolo condomino o a terzi dal difetto di manutenzione di un bene condominiale, senza necessità di autorizzazione dell’assemblea.
E’, infine, inammissibile, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il nono motivo di ricorso, il quale deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione, prescindendo del tutto dalla specifica indicazione degli atti con cui l’attrice aveva ottemperato all’onere di puntuale allegazione dei fatti posti a base delle sue domande, nonché degli atti delle difese del convenuto condominio, sulla cui base il giudice di merito avrebbe dovuto ritenere integrata la non contestazione.
Il decimo motivo di ricorso riguardava l’asserita illegittima condanna della soccombente società s.r.l. alle spese processuali, non essendo stata tenuta in considerazione la peculiarità della vicenda, gli orientamenti giurisprudenziali e l’evoluzione del processo. Tale motivo veniva dichiarato inammissibile, in quanto, secondo consolidata interpretazione giurisprudenziale, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non e’ tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr. ex multis, Cass. Sez. 6 – 3, 26/04/2019, n. 11329).
[1] In particolare, gli artt. 1130, 1131, 1135, 1136, 1138 c.c. nonché gli artt. 112, 115 e 132 c.p.c
[2] Riferimento agli art.. 40 e 41 del regolamento condominiale.
[3] Cass. Sez. 2, 07/06/2011, n. 12291; Cass. Sez. 6 – 2, 07/08/2018, n. 20567.
[4] R. Dolce, “Il regolamento condominiale non è fonte normativa”, Smart Lex 24,Il Sole 24 Ore, Norme e Tributi, 3 febbraio 2021, p. 27; “Regolamenti mai in deroga alla legge” ”, Smart Lex 24, Il Sole 24 Ore, 10 aprile 2013, p. 21.
[5] Sulla natura del regolamento condominiale si veda S. Vigliar, Il regolamento condominiale tra interessi collettivi e diritti individuali”, in www.comparazionedirittocivile.it
[6] Cfr. Cass. Sez. 2, 20/04/2005, n. 8286in virtù della quale “spetta all’amministratore del condominio in via esclusiva la legittimazione passiva a resistere nei giudizi promossi dai condomini per l’annullamento delle delibere assembleari, con la conseguenza che in tali casi egli non necessita di alcuna autorizzazione dell’assemblea per proporre le impugnazioni nel caso di soccombenza del condominio”. In senso conforme, Cass. Sez. 2, 14/12/1999, n. 14037; Cass. Sez. 2, 19/11/1992, n. 12379
[7] Cfr. Cass. Sez. 2, 23/01/2014, n. 1451; Cass. Sez. 2, 20/03/2017, n. 7095; Cass. Sez. 2, 10/03/2020, n. 6735.
[8] Cass. Sez. 2, 22/10/1998, n. 10474; Cass. Sez. 2, 18/06/1996, n. 5613; Cass. Sez. 2, 23/03/1995, n. 3366; Cass. Sez. 2, 22/04/1974, n. 1154; cfr. ancheCass. Sez. 2, 15/07/2002, n. 10233; Cass. Sez. 3, 21/02/2006, n. 3676; Cass. Sez. 2, 21/12/2006, n. 27447; Cass. Sez. 3, 25/08/2014, n. 18168; Cass. Sez. U, 10/05/2016, n. 9449)
[9] Cfr. Cass. Sez. 2, 27/03/2000, n. 3634; Cass. Sez. 2, 22/07/2004, n. 13763; Cass. Sez. 2, 10/06/2014, n. 13047; Cass. Sez. 2, 25/10/2018, n. 27159.
[10] Si veda in tal senso, mutatis mutandis,anche la recente Cass. Civ. sez. II, ord. 21562/2020, secondo la quale “l’amministratore di condominio, essendo tenuto a curare l’osservanza del regolamento di condominio ex art. 1130, comma 1, n. 1, c.c., è legittimato ad agire e a resistere in giudizio […] senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare assunta con la maggioranza prevista dall’art. 1136 comma 2 c.c., la quale è richiesta soltanto per le liti attive e passive esorbitanti dalle incombenze proprie dell’amministratore stesso”.
[11] Nella quale la S.C. stabiliva che “il condominio parziale – situazione configurabile per la semplificazione dei rapporti gestori interni alla collettività condominiale, in ordine a determinati beni o servizi appartenenti soltanto ad alcuni condomini – è privo di legittimazione processuale in sostituzione dell’intero condominio in ordine all’impugnazione per cassazione di una sentenza di merito, […] a nulla rilevando che amministratore del condominio parziale ricorrente sia la stessa persona fisica, investita di tale ufficio nel condominio dell’intero edificio”, dichiarando, in applicazione dell’enunciato principio, inammissibile per difetto di legittimazione, il ricorso per cassazione proposto dal Condominio della Scala “D” dell’edificio condominiale parte del giudizio di merito (cfr. Cass. Civ. sez II, sent. 17/02/2012 n. 2363).
[12] Tale argomentazione viene presa dalla Suprema Corte da una precedente sentenza, cfr. Cass. Sez. U, 02/02/2017, n. 2731.
[13] Cfr. Cass. Sez. 2, 29/11/2017, n. 28620; Cass. Sez. 2, 11/05/2012, n. 7405.