Proprietà immobiliare e interventi di ristrutturazione: un caso interessante su alcuni presupposti dell’illecito edilizio
di Ilaria Ottolina, Avvocato Scarica in PDFT.A.R. Lazio, Roma, sez. II bis, sentenza 23 novembre 2020, n. 12304
Immobili e proprietà – edilizia e urbanistica – interventi realizzati in assenza o difformità del titolo edilizio – sanzione pecuniaria o demolizione – eccezionalità della sanzione pecuniaria – prova dell’indemolibilità degli abusi a carico del proprietario – assenza – aumento di superficie e di volume – tenuità dell’abuso – non sussiste – interventi di manutenzione straordinaria – differente distribuzione interna dell’immobile – titolo edilizio – non necessario – comunicazione di inizio lavori – necessaria.
Riferimenti normativi: art. 3, co. 1, lett. b), D.P.R. n. 380/2001 – art. 6-bis D.P.R. n. 380/2001
“… la sanzione pecuniaria per interventi realizzati in assenza o difformità del titolo edilizio [è] una misura eccezionale, alternativa alla demolizione solo ove risulti l’impossibilità del ripristino …”
“… neppure le altre doglianze, svolte in relazione alla eventuale tenuità degli abusi ed alla pretesa irrilevanza anche edilizia degli stessi, … [sono] in alcun modo condivisibili, stante l’indubbio aumento di superficie e di volume utile prodotto dai lavori, anche se riguardo al c.d. “vano tecnico” – solo per scelta del ricorrente adibito a locale caldaia ma comunque costituito da un locale chiuso, formato da una struttura permanente, stabilmente ancorata al suolo e parte integrante delle altre opere volte ad aumentare l’estensione dell’abitazione principale – …
“… come evidenziato dalla costante giurisprudenza, “gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’art. 3, comma 1, lett. b), D.P.R. n. 380 del 2001, ivi compresa l’apertura di porte interne e lo spostamento di pareti interne, purché non riguardino le parti strutturali dell’edificio, possono essere eseguiti senza alcun titolo”, anche se previa comunicazione, con conseguente “illegittimità dell’ordine di demolizione di opere edilizie e di ripristino dello stato dei luoghi, nel caso di interventi ascrivibili alle fattispecie assoggettate al regime della comunicazione di inizio lavori (c.i.l.), qualora essi si concretizzino nella diversa distribuzione interna …”
CASO
La sentenza in commento è interessante perché contiene tre principi di diritto – peraltro espressi in modo sintetico e lineare – in tema di abusi edilizi posti in essere dal privato proprietario, che effettua alcune opere all’esterno e all’interno del proprio immobile.
La vicenda è la seguente: il proprietario ricorrente adiva il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio per ottenere l’annullamento della determinazione dirigenziale di Roma Capitale (nonché degli atti presupposti e conseguenti), avente ad oggetto l’ingiunzione di rimozione (o demolizione) degli interventi di ristrutturazione edilizia abusivamente posti in essere nell’immobile di proprietà (si trattava, per la precisione, della “… realizzazione, sul terrazzo di proprietà, di due manufatti con copertura di legno e tegole, pareti in muratura ed infissi di metallo e vetro … collegati da una pensilina in aderenza all’unità immobiliare … e in alcune differenze nella distribuzione interna dell’appartamento, rispetto all’ultimo titolo edilizio abitativo presente agli atti …”).
A sostegno della propria domanda, il ricorrente deduceva l’illegittimità e la manifesta erroneità dei provvedimenti impugnati, per non avere a) applicato la sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria, tenuto anche conto della non demolibilità delle opere eseguite sul terrazzo (che peraltro, a suo dire, non avevano comportato alcun pregiudizio per le altre parti dell’immobile), b) tenuto conto, in ogni caso, della tenuità degli abusi edilizi e c) ritenuto non necessario il titolo edilizio per gli interventi di manutenzione straordinaria all’interno dell’immobile.
Il Comune di Roma Capitale si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso, siccome infondato.
SOLUZIONE
Il T.A.R. del Lazio accoglieva in parte il ricorso, annullando il provvedimento impugnato limitatamente alla parte relativa alla differente distribuzione interna dell’appartamento, atteso che tali opere possono essere eseguite senza alcun titolo, purché non incidano sulle parti strutturali dell’edificio e, comunque, previa comunicazione di inizio lavori; rigettava invece il ricorso per la restante (e preponderante) parte, relativa alle opere eseguite sul terrazzo, stante la mancata prova della non demolibilità delle stesse e, comunque, della tenuità degli abusi edilizi posti in essere.
QUESTIONI GIURIDICHE
1) Sulla non configurabilità di abuso edilizio in caso di diversa distribuzione interna
Le opere eseguite all’interno dell’immobile del ricorrente – segnatamente: apertura di porte e spostamento di pareti, in modo tale da modificare la distribuzione interna dei volumi, senza tuttavia incidere sulle parti strutturali dell’edificio – sono state qualificate come “manutenzione straordinaria”, dato peraltro non contestato.
A mente dell’art. 3, comma 1, lett. b), D.P.R. n. 380/2001 (recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”), come modificato dal “decreto semplificazioni” D.L. 16/07/2020, n. 76 convertito in Legge 11/09/2020, n. 120, “Ai fini del presente testo unico si intendono per: … b) “interventi di manutenzione straordinaria”, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti incremento del carico urbanistico. Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione di uso. Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono comprese anche le modifiche ai prospetti degli edifici legittimamente realizzati necessarie per mantenere o acquisire l’agibilità dell’edificio ovvero per l’accesso allo stesso, che non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio, purché l’intervento risulti conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia e non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 …”.
Sotto il profilo del regime amministrativo degli interventi edilizi, allo stato il T.U.E. subordina l’inizio di lavori di manutenzione straordinaria alla presentazione all’ente competente della comunicazione di inizio attività asseverata da un tecnico (C.I.L.A.), ai sensi dell’art. 6-bis del D.P.R. n. 380/2001 (in precedenza, sino all’abrogazione ad opera del c.d. “decreto SCIA 2” D.Lgs. n. 222/2016, tale tipo di intervento richiedeva la semplice comunicazione di inizio lavori o C.I.L., ex art. 6, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, e rientrava nell’attività edilizia libera[1].
Di poi, il carattere residuale degli interventi subordinati a comunicazione di inizio lavori asseverata (art. 6-bis T.U.E.:“Gli interventi non riconducibili all’elenco di cui agli articoli 6, 10 e 22 …”) – segnatamente, nell’ordine: attività di edilizia libera, interventi subordinati a permesso di costruire e interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio attività – evidenzia, per esclusione, che l’attività di manutenzione straordinaria debba essere avviata previa comunicazione di inizio lavori asseverata[2].
Ebbene, la sentenza in commento, nell’accogliere il ricorso sotto il profilo della non configurabilità di abuso edilizio in caso di mera ridistribuzione degli ambienti interni, conferma il principio giurisprudenziale secondo il quale “gli interventi di manutenzione straordinaria … purché non riguardino le parti strutturali dell’edificio, possono essere eseguiti senza alcun titolo, anche se previa comunicazione …”: in altre parole, l’interessato non deve richiedere all’ente comunale il rilascio del permesso di costruire ma deve piuttosto trasmettere all’ufficio competente la (più semplice) comunicazione di inizio lavori, che ora dev’essere asseverata da un tecnico[3].
Da detto principio discende che l’omessa comunicazione di inizio lavori (circostanza che peraltro non pare ricorrere nel caso di specie) non può giustificare l’irrogazione della sanzione demolitoria (fatta eccezione per le zone vincolate), posto che essa presuppone il dato formale della realizzazione dell’opera senza il prescritto titolo abilitativo, nonché la suscettibilità dell’opera edilizia a produrre una significativa trasformazione urbanistica ed edilizia[4].
Del resto, il dato normativo commina, coerentemente, la sanzione pecuniaria pari a mille euro in caso di mancata comunicazione asseverata di inizio lavori, sanzione peraltro che si riduce a due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente durante l’esecuzione dei lavori (art. 6-bis, comma 5, D.P.R. n. 380/2001).
Si può dunque concludere, sul punto, che la decisione resa dal Giudice Amministrativo in commento in parte qua sia pienamente condivisibile.
2) Sui procedimenti repressivi degli abusi edilizi e sulla configurabilità di abuso edilizio in caso di aumento di volume e di superficie
a) Tutt’altro è il discorso nel caso in cui l’opera realizzata determini un aumento di volume e di superficie: in assenza o difformità del titolo edilizio, si ha abuso edilizio, in via generale, l’opera dev’essere demolita.
E’ quanto afferma – a contrario, ossia sotto il profilo dell’eccezione alla regola – anche la sentenza in commento, laddove si legge che “… la sanzione pecuniaria per interventi realizzati in assenza o difformità del titolo edilizio [è] una misura eccezionale, alternativa alla demolizione solo ove risulti l’impossibilità del ripristino …”: tale principio, del resto, è pacifico in giurisprudenza e deriva dalla maggiore gravità della condotta di chi realizza delle opere in assenza o difformità dal titolo edilizio, rispetto a quella di colui che omette di comunicare l’inizio dei lavori all’ufficio pubblico competente[5].
Anche il dettato normativo è, sul punto, inequivocabile: gli articoli 31, 33 e 34 del T.U.E. declinano infatti, rispettivamente, a) gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, b) gli interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità e c) gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire: ebbene, il dato comune in tutti i casi è che tali abusi edilizi debbono essere rimossi o demoliti.
Peraltro, in tutti e tre i casi, l’alternativa della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria/ripristinatoria è del tutto eccezionale e subordinata a) a prevalenti interessi pubblici (art. 31, co. 5), b) ad impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi (art. 33, co. 2), c) al pregiudizio della parte eseguita in conformità (art. 34, co. 2): nel caso di specie – osserva il T.A.R. Lazio – l’asserita impossibilità di demolire gli abusi è stata dichiarata in modo meramente apodittico, senz’alcun riscontro probatorio a fondamento, con conseguente rigetto del ricorso sul punto.
b) Ultimo argomento su cui il Giudice Amministrativo in commento viene chiamato a pronunciarsi è quello relativo all’asserita tenuità o irrilevanza edilizia degli abusi effettuati sulla parte esterna dell’immobile, invocata dal proprietario ricorrente.
Prospettazione che, tuttavia, deve misurarsi con la sussistenza, nel caso, dell’aumento di volume e di superficie prodotto dai lavori eseguiti, in assenza o difformità del titolo edilizio (si rammenta, a questo proposito, che sul terrazzo erano stati realizzati due manufatti con copertura in legno e tegole, pareti in muratura ed infissi di metallo e vetro, collegati da una pensilina in aderenza all’unità immobiliare).
Ebbene, il T.A.R. adito è netto nell’escludere la prospettazione difensiva del ricorrente, atteso che “… l’indubbio aumento di superficie e di volume utile prodotto dai lavori, anche se riguardo al c.d. “vano tecnico” – solo per scelta del ricorrente adibito a locale caldaia ma comunque costituito da un locale chiuso, formato da una struttura permanente, stabilmente ancorata al suolo e parte integrante delle altre opere volte ad aumentare l’estensione dell’abitazione principale – …” costituisce una definitiva alterazione della costruzione originaria, ossia una nuova costruzione (art. 3, comma 1, lett. e.5, D.P.R. n. 380/2001)[6].
In altre parole, proprio il carattere permanente e stabile della nuova costruzione, idonea ad accrescere l’estensione dell’immobile, declinano le condizioni giuridicamente rilevanti sotto il profilo edilizio ed urbanistico, sicché sarebbe stato necessario il previo ottenimento di idoneo titolo edilizio (permesso di costruire).
Diverso sarebbe stato in caso di opera “precaria” o temporanea: “… la “precarietà” dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e.5), D.P.R. n. 380 del 2001, postula un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze permanenti nel tempo”[7].
[1] Per un approfondimento sul punto si rinvia al parere del Consiglio di Stato 4 agosto 2016, n. 1784; in estrema sintesi e per quanto interessa in questa sede, nell’intento di ulteriore semplificazione dell’attività amministrativa, la Legge Madia n. 124/2015 prima e il decreto attuativo c.d. “SCIA 2” n. 222/2016 poi, hanno sostituito la C.I.L. con la C.I.L.A. – tant’è che ora l’attività di edilizia libera non richiede nemmeno la comunicazione di inizio lavori, attesa l’irrilevanza sul territorio e sull’assetto complessivo degli interessi urbanistici della tipologia di opere ricadenti in tale attività edilizia – ed hanno potenziato il ricorso alla S.C.I.A., che già nel 2010 (art. 49, comma 4-ter, D.L. n. 78/2010) aveva sostituito la denuncia d’inizio attività (D.I.A.) con la più semplice “segnalazione” (art. 19 L.n. 241/1990).
[2] Art. 6-bis Interventi subordinati a comunicazione di inizio lavori asseverata: 1. Gli interventi non riconducibili all’elenco di cui agli articoli 6, 10 e 22, sono realizzabili previa comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato all’amministrazione competente, fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. 2. L’interessato trasmette all’amministrazione comunale l’elaborato progettuale e la comunicazione di inizio dei lavori asseverata da un tecnico abilitato, il quale attesta, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché che sono compatibili con la normativa in materia sismica e con quella sul rendimento energetico nell’edilizia e che non vi è interessamento delle parti strutturali dell’edificio; la comunicazione contiene, altresì, i dati identificativi dell’impresa alla quale si intende affidare la realizzazione dei lavori. 3. Per gli interventi soggetti a CILA, ove la comunicazione di fine lavori sia accompagnata dalla prescritta documentazione per la variazione catastale, quest’ultima è tempestivamente inoltrata da parte dell’amministrazione comunale ai competenti uffici dell’Agenzia delle entrate. 4. Le regioni a statuto ordinario: a) possono estendere la disciplina di cui al presente articolo a interventi edilizi ulteriori rispetto a quelli previsti dal comma 1; b) disciplinano le modalità di effettuazione dei controlli, anche a campione e prevedendo sopralluoghi in loco. 5. La mancata comunicazione asseverata dell’inizio dei lavori comporta la sanzione pecuniaria pari a 1.000 euro. Tale sanzione è ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l’intervento è in corso di esecuzione”.
[3] Si vedano sul punto: Cons. Stato, sez. VI, 03/09/2020, n. 5354, in cui si legge che “In materia urbanistica, la diversa distribuzione degli ambienti interni mediante eliminazione e spostamenti di tramezzature, purché non interessi le parti strutturali dell’edificio, costituisce attività di manutenzione straordinaria soggetta al regime della comunicazione di inizio lavori ai sensi dell’art. 6-bis del D.P.R. n. 380/2001, che disciplina gli interventi subordinati a comunicazione di inizio lavori asseverata”; T.A.R. Lazio Roma, sez. II quater, Sent., 06/12/2017, n. 12096; T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 02/01/2019, n. 1.
E’ interessante annotare, sia pure incidentalmente, il concetto urbanistico di pertinenze (più ristretto e non sempre coincidente con quello applicato in materia civilistica “… qualora [le opere pertinenziali] siano suscettibili, per struttura, posizione distaccata dall’edificio principale o dimensioni, di assolvere ad una funzione autonoma …”: sul punto BELLUCCI G. – PELLEGRINI P., “La repressione degli abusi edilizi”, Torino, 2012, pag. 31 e ss.), anch’esso sottratto, in via generale, al regime del titolo edilizio concessorio:“Non è legittimo l’ordine di demolizione di una tettoia che per caratteristiche morfologiche di realizzazione e destinazione funzionale – struttura in ferro aperta sui lati, ricoperta da onduline, meramente strumentale ad un opificio, di dimensioni adeguate ad assolvere le finalità produttive, senza incremento del carico urbanistico – è riconducibile alla nozione di pertinenza urbanistica, ordinariamente sottratta al regime del titolo edilizio concessorio. Infatti, in materia urbanistica può parlarsi di pertinenza solo quando si tratti di opere che non comportino un nuovo volume, come una tettoia o un porticato aperto da tre lati, nonché di opere che comportino un nuovo e modesto volume tecnico confermandosi con ciò, in definitiva, che devono essere tali da non alterare in modo significativo l’assetto del territorio o incidere sul carico urbanistico, caratteristiche queste la cui sussistenza deve essere peraltro dimostrata dall’interessato” (T.A.R. Campania Salerno, n. 1/2019, cit.).
[4] Ex multis: Cons. Stato, n. 5354/2020, cit.; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 18/04/2011, n. 574; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 11/04/2011, n. 660.
[5] Cons. Stato, n. 5354/2020, cit.; T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 10/08/2020, n. 3564: “Quando venga accertata la realizzazione di abusi edilizi, il Comune deve senza alcun tipo di indugio emanare l’ordine di demolizione e ciò per il solo fatto di aver riscontrato l’abusività delle opere così costruite”.
[6] Cons. Stato Sez. II, 02/12/2020, n. 7631: “In materia edilizia è da considerarsi intervento di nuova costruzione, come tale assoggettato al regime abilitativo del permesso di costruire di cui agli artt. 3 e 10 del D.P.R. n. 380/2001, la costruzione di manufatti edilizi fuori terra, ivi inclusi l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati e di strutture di qualsiasi genere”; T.A.R. Marche Ancona Sez. I, 04/11/2020, n. 637; T.A.R. Liguria Genova Sez. I, 08/10/2020, n. 685; T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, 20/11/2020, n. 5395.
[7] T.A.R. Campania Salerno, n. 1/2019, cit.
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