16 Febbraio 2021

L’azione revocatoria promossa nei confronti di un Fallimento

di Federico Callegaro, Cultore di Diritto Commerciale presso l' Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

SS.UU. Cass. Civ. Sez. 6, Sent. 24 giugno 2020, n. 12476, Pres. Mammone – Rel. Terrusi

Parole chiave: azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, nei confronti di un fallimento – cristallizzazione del passivo fallimentare – natura di criterio interpretativo del testo C.c.i.i., limiti.

Riferimenti normativi: Legge Fallimentare art. 52, art. 66, 103, 216 – Codice Civile art. artt. 2740 e 2901 – C.c.i.i. art- 290.

CASO

Una procedura fallimentare ha chiesto, ai sensi dell’art. 103 l.f., che fosse dichiarata l’inefficacia di alcuni atti dispositivi posti in essere dalla convenuta “con conseguente restituzione del compendio aziendale che ne aveva costituito oggetto”, che veniva rigettata dal Tribunale adito, in ragione dell’inammissibilità di un’azione revocatoria proposta nei confronti di un fallimento dopo l’apertura del concorso, in virtù del principio della cristallizzazione del passivo fallimentare sancito dall’art. 52 legge fallimentare[2].

SOLUZIONE

In materia di principio di cristallizzazione del passivo fallimentare, chiamando un proprio recente precedente (S.U.. n. 30416/2018) le S.U.:

  1. in primis evidenziano il ricorrere di una peculiarità, della fattispecie sottopostale, rappresentata dal fatto che “la domanda risulta esser stata avanzata … in sede di rivendica fallimentare, ai sensi dell’art. 103 l.f.”. ripercorrendo lo sviluppo logico del proprio precedente[3];
  2. in secundis, quanto alle dedotte violazioni degli artt. 52, 66[4] della legge fallimentare, nonché degli artt. 2740, 2901 del cod. civ., precisano come i relativi motivi di doglianza investano “tutti, in un modo o nell’altro la medesima questione giuridica, e cioè per l’appunto se sia ammissibile o meno l’azione revocatoria (nello specifico la revocatoria ordinaria) avanzata, dopo l’apertura del concorso, nei confronti di una curatela fallimentare”;
  3. richiamano come l’ordinanza interlocutoria, riferendosi a dottrina emersa ad essa critica, ipotizzi che la soluzione del problema interpretativo possa essere diversa “in ragione dell’esigenza di assicurare tutela al ceto creditorio del soggetto disponente, dinanzi a un evento comunque verificatosi prima del fallimento del beneficiario dell’atto; evento che arricchirebbe i creditori di questo a danno, invece, di quelli del primo”. Il Collegio, a tale proposito, sottolinea come siano da operarsi gli opportuni distinguo, in rapporto al fattore cronologico il quale, “identificabile nella prevenzione o meno dell’azione rispetto alla dichiarazione di fallimento del destinatario, postula, nella seconda alternativa, di rinvenire in ambito concorsuale il punto di equilibrio di una soluzione tecnicamente idonea a tutelare anche il ceto creditorio leso nella garanzia patrimoniale – quello dell’alienante -, in tal guisa epurando il richiamato approdo giurisprudenziale da altrimenti inevitabili aporie di sistema” – inciso che indica la rilevanza che viene ad assumere l’elemento interpretativo “punto di equilibrio” il quale, dalla formulazione testuale, apparirebbe influenzabile in sede interpretativo applicativa da quello di “proporzionalità[5] -.

Avuto riferimento all’art. 290 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza[6]:

  • nel richiamare il dato testuale della previsione normativa, sottolineando come il C.c.i.i. sia in generale non applicabile alle procedure aperte anteriormente alla sua entrata in vigore[7], si chiarisce come potrebbe ammettersi “la pretesa di rinvenire in esso norme destinate a rappresentare un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare” solo ove configurabile un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro che le S.U., in termini definitivi, precisano non essere “per ciò che attiene alla questione che rileva”;
  • il percorso logico delle S.U. è, tra le altre, articolato attraverso un’analisi dei contenuti dell’art. 290: a) si muove nel solco di una complessiva e più decisa opera di inquadramento normativo delle procedure di gruppo, non esistente nella legge fallimentare[8], b) il suo terzo comma “racchiude una traccia dell’esperibilità dell’azione contro una società già sottoposta a procedura di liquidazione giudiziale (secondo il novellato lessico del legislatore di questa riforma)[9], c) esso, peraltro, potrebbe dirsi in qualche modo evocabile per una distinta tesi, con riferimento ad imprese appartenenti al medesimo gruppo[10], ma che “non trova alcun riscontro nella normativa ratione temporis qui rilevante[11].

Con riferimento all’esperibilità dell’azione ex art. 103 l.f., come promossa dal Fallimento attore, le S.U. chiariscono come “la domanda proposta secondo lo schema della rivendicazione avrebbe dovuto essere in ogni caso rigettata” atteso come:

  • per quanto la domanda di rivendicazione supponga le forme previste per l’insinuazione al passivo, oggetto di tale domanda è il bene in sé, sul presupposto della proprietà da ravvisare come mantenuta in capo al disponente;
  • in ipotesi di vendita con atto revocabile ciò non è sostenibile, poiché pure in caso di esito vittorioso la revocatoria non travolge mai l’atto impugnato, e non determina come conseguenza che il bene possa esser rivendicato come se ancora fosse parte del patrimonio del debitore;
  • la condizione di revocabilità dell’acquisto non incide cioè sul terzo acquirente del bene che ne costituisce oggetto, il quale terzo continua a mantenere inalterato il diritto di proprietà.

Le S.U. quindi affermano, a definizione dell’analisi svolta, i seguenti principi di diritto:

– oggetto della domanda di revocatoria (ordinaria o fallimentare) non è il bene in sé, ma la reintegrazione della generica garanzia patrimoniale dei creditori mediante l’assoggettabilità del bene a esecuzione;

– il bene dismesso con l’atto revocando viene in considerazione, rispetto all’interesse dei creditori dell’alienante, soltanto per il suo valore ;

–  ove l’azione costitutiva non sia stata dai creditori dell’alienante introdotta prima del fallimento dell’acquirente del bene che ne costituisce oggetto, essa stante l’intangibilità dell’asse fallimentare in base a titoli formati dopo il fallimento (cd. cristallizzazione) – non può essere esperita con la finalità di recuperare il bene alienato alla propria esclusiva garanzia patrimoniale, poiché giustappunto si tratta di un’azione costitutiva che modifica ex post una situazione giuridica preesistente[12];

– in questo caso i creditori dell’alienante (e per essi il curatore fallimentare ove l’alienante sia fallito) restano tutelati nella garanzia patrimoniale generica dalle regole del concorso, nel senso che possono insinuarsi al passivo del fallimento dell’acquirente per il valore del bene oggetto dell’atto di

disposizione astrattamente revocabile, demandando al giudice delegato di quel fallimento anche la delibazione della pregiudiziale costitutiva.

QUESTIONI

In primo luogo appare sottolineare come l’esito del procedimento avanti le S.U. rimarchi la necessità di vedere avviate, per tempo e senza alcun indugio ove ne ricorrano i presupposti, eventuali azioni revocatorie nei confronti dei trasferitari prima dell’ammissione[13], in capo a questi ultimi, ad una procedura concorsuale.

Sotto l’aspetto del creditore, in particolar modo ove sia un imprenditore in bonis, la soluzione adottata dalle S.U. viene a spiegare effetti non secondari sulla relativa situazione patrimoniale in ragione della differente valorizzazione che, prudenzialmente, andrà effettuata rispetto a quella che sarebbe viceversa derivata dal reintegro nel possesso del bene oggetto di rivendica in caso di azione vittoriosa[14].

[1] Data udienza 25 febbraio 2020.

[2] La Pronuncia delle S.U., in premessa, sottolinea come la “questione” fosse già stata già risolta negativamente dalle stesse Sezioni Unite (sentenza n. 30416 del 2018) ma come la prima sezione abbia sollecitato un ripensamento alla luce di alcune posizioni di segno contrario emerse in dottrina.

[3]Sentenza n. 30416/2018 (cit.) la quale enuncia il seguente principio diritto: “Non è ammissibile un’azione revocatoria, non solo fallimentare ma neppure ordinaria, nei confronti di un fallimento, stante il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso ed il carattere costitutivo delle predette azioni; il patrimonio del fallito è, infatti, insensibile alle pretese di soggetti che vantino titoli formatisi in epoca posteriore alla dichiarazione di fallimento e, dunque, poiché l’effetto giuridico favorevole all’attore in revocatoria si produce solo a seguito della sentenza di accoglimento, tale effetto non può essere invocato contro la massa dei creditori ove l’azione sia stata esperita dopo l’apertura della procedura stessa”.

[4] Con riferimento al principio della cristallizzazionevisto che il predetto principio soffre diverse deroghe – espressamente previste dagli artt. 70, 56, 74 e 80 legge fall. – e visto che la dichiarazione di inefficacia, contenuta nella sentenza di accoglimento di una domanda revocatoria, si limita a confermare l’inefficacia originaria dell’atto dispositivo di cui si chiede la revoca”.

[5] Infra multis si richiama quanto espresso dalla Corte Costituzionale “punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del  loro nucleo essenziale” (Sentenza n. 85/2013).

[6] Indicato nel ragionamento svolto dalla Corte quale prima ragione di ripensamento sui cui si baserebbe la (eventuale) revisione, cui l’ordinanza interlocutoria – Cass. Sez. 1 n. 19881,  23 settembre 2019 – invita, dell’orientamento espresso dalla sentenza n. 30416 del 2018 (cit.).

[7] Art. 390, primo comma.

[8] Aggiungendo come il riferimento operato dall’ordinanza interlocutoria e la linea di collegamento essa istituita tra lo stesso art. 290 e l’art. 91 del d.lgs. n. 270 del 1999, indicata quest’ultima come unica norma evocabile nell’attuale regime  della concorsualità, “non giovano più di tanto”, ponendo un chiaro limite ad elaborazioni interpretative in tal senso. La Pronuncia, a tale specifico proposito, richiama il proprio precedente (n. 30416 del 2018 cit.) con la quale puntualizza come non appaia pertinente “poiché riguardante una procedura “speciale”, ancorata a presupposti specifici (con i connessi problemi di tutela dei gruppi di creditori che, per quanto tra di loro autonomi e distinti, sono comunque tutti favoriti o penalizzati da un’unica strategia di gestione del gruppo e della sua crisi, onde la necessità di una previsione regolatrice particolare) che non consentono di invocare ragioni di coerenza normativa e sistematica in grado di giustificare l’applicazione della regola dalla stessa posta anche alla procedura fallimentare, oltre il caso dalla stessa disciplinato (che è quello del compimento di atti tra imprese facenti parte di uno stesso gruppo)”.

[9] Si richiama all’attenzione come il passaggio delle S.U. presentano, quale incipit del relativo periodo a chiusura dell’excursus operato di tale previsione, la seguente espressione “neppure l’art. 290, terzo comma”.

[10]Nei confronti delle imprese appartenenti al medesimo gruppo possono essere promosse dal curatore, sia nel caso di apertura di una procedura unitaria, sia nel caso di apertura di una pluralità di procedure, azioni dirette a conseguire la dichiarazione di inefficacia di atti e contratti posti in essere nei cinque anni antecedenti il deposito dell’istanza di liquidazione giudiziale, che abbiano avuto l’effetto di spostare risorse a favore di un’altra impresa del gruppo con pregiudizio dei creditori, fatto salvo il disposto dell’articolo 2497, primo comma, del codice civile“.

[11] Le S.U. esprimono, in tale punto dell’analisi, un concetto che offre una formale e rilevante interpretazione degli obbiettivi e del contenuto caratterizzanti, in merito a ciò, la volontà e le finalità del Legislatore nella parte in cui chiarisce “Può in vero affermarsi che essa sia frutto della scelta legislativa – completamente nuova e distinta – di disciplinare in modo specifico l’insolvenza del gruppo societario in sé considerato; scelta nuova e distinta che corrisponde a un inedito dettame della legge delega, e quindi non tale da poter essere utilmente richiamata col fine di incidere sull’esegesi di inesistenti norme anteriori”. Appare indubitabile come tale indirizzo non sia da seguire, quantomeno per gli aspetti pertinenti la materia dei Gruppi Societari, avuto riferimento alle previsioni del C.c.i.i. in tale materia.

[12] A tale proposito si richiama all’attenzione l’inciso presente nel Principio di Diritto “B)” esposto nella Sentenza n. 30416, (cit.) secondo il quale “il patrimonio del fallito è, infatti, insensibile alle pretese di soggetti che vantino titoli formatisi in epoca posteriore alla dichiarazione di fallimento e, dunque, poiché l’effetto giuridico favorevole all’attore in revocatoria si produce solo a seguito della sentenza di accoglimento, tale effetto non può essere invocato contro la massa dei creditori ove l’azione sia stata esperita dopo l’apertura della procedura stessa”.

[13] Nell’ipotesi di Concordato Preventivo, chiaramente, il riferimento è al deposito del relativo ricorso.

[14] Atteso, in primis, come l’elemento di riferimento non sarebbe più il bene a suo tempo uscito dal patrimonio quanto l’effettiva misura di recuperabilità del credito, come riconosciuto al passivo fallimentare del trasferitario, ib ragione del rispettivo ordine di priorità .