La prova del conflitto di interessi in assemblea di condominio: verifica della dannosità della delibera e del voto determinante dei condomini aventi interessi in conflitto
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF“Soltanto se risulti dimostrata una sicura divergenza tra l’interesse istituzionale del condominio e specifiche ragioni personali di determinati singoli partecipanti, i quali non si siano astenuti e abbiano, perciò, concorso con il loro voto a formare la maggioranza assembleare, la deliberazione approvata sarà invalida. L’invalidità della delibera discende, quindi, non solo dalla verifica del voto determinante dei condomini aventi un interesse in conflitto con quello del condominio (e che, perciò, abbiano abusato del diritto di voto in assemblea), ma altresì dalla dannosità, sia pure soltanto potenziale, della stessa deliberazione. Il vizio della deliberazione approvata con il voto decisivo dei condomini in conflitto ricorre, in particolare, quando la stessa sia diretta al soddisfacimento di interessi extracondominiali, ovvero di esigenze lesive dell’interesse condominiale all’utilizzazione, al godimento ed alla gestione delle parti comuni dell’edificio.”.
CASO
La vertenza in rassegna prende le mosse dall’impugnazione, da parte di un condomino, di una delibera assembleare di lavori di rifacimento del tetto comune, assunta anche con il voto di condomini, a dire del ricorrente, in conflitto di interesse.
La delibera impugnata, si aggiunge, era stata adottata dall’assemblea condominiale in ratifica e dunque in sanatoria di una precedente delibera, anch’essa concernente l’approvazione dei lavori di ristrutturazione del coperto.
Lo stesso attore domandava altresì la necessaria estromissione delle votazioni di quest’ultimi anche se ciò avrebbe determinato il mancato raggiungimento del quorum necessario per l’esecuzione dei predetti lavori.
Il Tribunale di Messina rigettava l’impugnazione della delibera assembleare, in quanto, secondo il giudicante gli interessi perseguiti dai condomini, che l’attore definiva in conflitto, si concretizzavano nel finalizzato rifacimento del tetto condominiale e dunque coincidente con l’interesse condominiale. Al medesimo approdo addiveniva anche la Corte d’Appello di Messina la quale rigettava il gravame e confermava la decisione del giudice di prime cure.
Avverso la pronuncia di secondo grado, il condomino attore presentava ricorso per Cassazione con atto affidato a quattro motivi.
SOLUZIONE
La Suprema Corte di Cassazione rigettava il ricorso per le motivazioni che seguono e, ravvisandone i presupposti processuali, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, condannava il ricorrente al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione.
QUESTIONI
La vertenza in rassegna verte sulla materia dell’invalidità delle delibere assembleari sorrette dal consenso di condomini in conflitto di interessi.
Per ciò che qui importa, il condomino ricorrente con il secondo ed il terzo motivo di ricorso, esaminati congiuntamente dalla Suprema Corte per la loro connessione, deduceva il vizio del conflitto di interessi che avrebbe inficiato tanto l’impugnata delibera di approvazione dei lavori di rifacimento del tetto comune, quanto la precedente delibera, ratificata dalla prima.
Il ricorrente lamentava altresì che il vizio del procedimento collegiale avrebbe imposto un diverso calcolo delle necessarie maggioranze assembleari; ma tale conclusione, a ben vedere dei giudici di diritto, era contraria all’ormai consolidato orientamento interpretativo della medesima Curia.
Di fatti, in tema di impugnazione delle delibere condominiali, purché possa verificarsi la rinnovazione sanante con effetti retroattivi, alla stregua dell’art. 2377 c.c., comma 8, è necessario che la deliberazione impugnata sia sostituita con altra che abbia un identico contenuto, e che quindi provveda sui medesimi argomenti, della prima deliberazione, ferma soltanto l’avvenuta rimozione dell’iniziale causa di invalidità[1].
La sostanza del secondo e del terzo motivo di ricorso, secondo gli Ermellini non teneva comunque conto dell’orientamento in base al quale, in tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell’intero edificio, sia ai fini del “quorum” costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (e non debbono) astenersi dall’esercitare il diritto di voto, ferma la possibilità per ciascun partecipante di ricorrere all’autorità giudiziaria in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio[2].
Detta tendenza discende dal presupposto dell’ammissibilità, nella disciplina delle assemblee di condominio, di una “interpretazione estensiva” o meglio, del ricorso ad un’applicazione analogica dell’art. 2373 c.c. che, come noto, assume valore sul piano dell’organizzazione societaria, sancendo l’invalidità della delibera potenzialmente lesiva per l’organizzazione.
In quest’ultima norma in materia soceitaria, conseguentemente alla riformulazione operatane dal D.lgs. n. 6 del 2003, è venuta meno la disposizione che portava a distinguere, in caso di conflitto di interesse, tra quorum costitutivo dell’assemblea e quorum deliberativo della stessa; tanto che si afferma unicamente che la deliberazione approvata con il voto determinante di soci, che abbiano un interesse in conflitto con quello della società, è impugnabile, a norma dell’articolo 2377 c.c., qualora possa recarle danno.
Entro i limiti della ricostruzione da ultimo offerta, si comprende che soltanto qualora risulti dimostrata una sicura divergenza tra l'”interesse istituzionale del condominio” e specifiche ragioni personali di determinati singoli partecipanti, i quali non si siano astenuti ed abbiano, quindi, concorso con il loro voto a formare la maggioranza assembleare, la deliberazione approvata sarà invalida.
Orbene, mediante la formulazione del principio riportato in epigrafe, dunque, la Suprema Corte chiarisce che l’invalidità della delibera discende, non solo dalla verifica del voto determinante dei condomini aventi un interesse in conflitto con quello del condominio (e che, perciò, abbiano abusato del diritto di voto in assemblea), ma altresì dalla dannosità, sia pure soltanto potenziale, della stessa deliberazione.
Per ciò che attiene alla verifica del voto determinante dei condomini aventi un interesse in conflitto con quello del condominio, in tal caso risulta valido sempre il principio della inderogabilità dei quorum previsti dall’art. 1136 c.c., il quale prescrive che: “le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell’intero edificio, sia ai fini del quorum costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio i quali possono (non devono) astenersi dall’esercitare il diritto di voto”; restando ferma la possibilità di ciascun condomino di ricorrere all’autorità giudiziaria in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio.
In ordine al vizio della deliberazione adottata con il voto decisivo dei condomini in conflitto ricorre quando la stessa sia diretta al soddisfacimento di interessi extracondominiali, ovvero di esigenze lesive dell’interesse condominiale all’utilizzazione, al godimento ed alla gestione delle parti comuni dell’edificio.
Orbene, soltanto se risulti dimostrata una sicura divergenza tra l’interesse istituzionale del condominio e specifiche ragioni personali di determinati singoli partecipanti, i quali non si siano astenuti e abbiano, perciò, concorso con il loro voto a formare la maggioranza assembleare, la deliberazione assembleare approvata sarà a tutti gli effetti di legge invalida.
In ordine al sindacato del giudice sulle delibere condominiali, invece, come chiarisce la Suprema Corte, questo deve pur sempre limitarsi al riscontro della legittimità di esse, e non può estendersi alla valutazione del merito, ovvero dell’opportunità, ed al controllo del potere discrezionale che l’assemblea esercita quale organo sovrano della volontà dei partecipanti[3].
Tornando alla vertenza in atti, la Suprema Corte appurato che seppure la delibera assembleare di rifacimento del tetto comune, risultava sorretta dal voto di condomini in conflitto di interessi, nei fatti la stessa perseguiva apprezzamenti oggettivamente rivolti alla realizzazione dell’interesse collettivo e dunque risultava compatibile alla buona gestione dell’amministrazione.
Per tutte le argomentazioni sinora esposte, il Supremo Collegio rigettava il ricorso aderendo alle precedenti pronunce dei giuridici di merito, in ordine alla validità della delibera e condannava il ricorrente ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, anche alla refusione di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
[1] (Corte di Cassazione, Sezione 6 2, Civile, Ordinanza 8 giugno 2020 n. 10847; Corte di Cassazione, Sezione 2, Civile, Sentenza 9 dicembre 1997 n. 12439; Corte di Cassazione, Sezione 2, Civile, Sentenza 30 dicembre 1992 n. 13740).
[2] (così Corte di Cassazione, Sezione 6 2, Civile, Ordinanza 25 gennaio 2018 n. 1849; Corte di Cassazione, Sezione 6 2, Civile, Ordinanza 25 gennaio 2018 n. 1853; Corte di Cassazione, Sezione 2, Civile, Sentenza 28 settembre 2015 n. 19131; Corte di Cassazione, Sezione 2, Civile, Sentenza 30 gennaio 2002 n. 1201).
[3] Corte di Cassazione, Sezione 2, Civile, Sentenza 20 giugno 2012 n. 10199.
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