24 Novembre 2020

Lodo arbitrale: la questione sul dies a quo da cui decorre il “termine lungo” per l’impugnazione

di Francesco Tedioli, Avvocato Scarica in PDF

Cass. sez. I, 24 settembre 2020, n. 20104 Pres. Giancola e Rel. Scotti

Lodo – Annullamento – Termine per l’impugnazione – Decorrenza – Rimessione della causa al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite 

(art. 374 co. 2, 825, 828 c.p.c.)

La questione concernente il dies a quo del cosiddetto “termine lungo” per l’impugnazione del lodo arbitrale è suscettibile di una pluralità di soluzioni e configura una questione di massima di particolare importanza meritevole di sottoposizione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c.

CASO

Un’associazione temporanea di imprese conveniva in giudizio avanti la Corte di Appello una società cooperativa chiedendo l’annullamento del lodo pronunciato fra le parti e l’accoglimento nel merito delle domande sottoposte agli arbitri.

L’impugnazione veniva dichiarata inammissibile, perché giudicata tardiva: la citazione era stata notificata oltre il termine annuale dalla sottoscrizione del lodo da parte degli arbitri. Seguiva il ricorso per cassazione, sulla base di due motivi.

Con il primo, la ricorrente denunciava la violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. e, in subordine, prospettava questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 828, comma 2, c.p.c. In particolare, osservava che l’art. 828, nel testo risultante dalla riforma del 1994, applicabile ratione temporis, prevede la decadenza dall’impugnazione per nullità del lodo se proposta dopo il decorso di un anno dall’ultima sottoscrizione.

L’interpretazione offerta dalla Corte d’Appello sarebbe errata ed in conflitto con il principio del giusto processo, per aver attribuito rilevanza determinante alla data di sottoscrizione del lodo a prescindere dal momento della sua comunicazione alle parti.

La ricorrente ricordava che, nella procedura di formazione del lodo ex artt. 823 e 824 c.p.c., manca il momento della «pubblicazione» e, a differenza di un giudizio ordinario, sono presenti solo due sottofasi: quella di «deliberazione-redazione» non pubblica, e quella di «comunicazione».

In questo quadro, il lodo deliberato, ma non comunicato, rimane atto non conoscibile per le parti, a differenza della sentenza, conoscibile attraverso l’accesso in cancelleria, sia pur dopo la pubblicazione. Ai fini dell’impugnazione, non si dovrebbe, quindi, considerare il termine compreso tra l’ultima sottoscrizione e la comunicazione alle parti.

Con il secondo motivo di ricorso, veniva denunciata la violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e art. 183, comma 4, c.p.c., lamentandosi il fatto che la Corte territoriale si fosse pronunciata su questione rilevata d’ufficio, senza previa segnalazione alle parti. L’impugnazione era stata, così, dichiarata inammissibile con una decisione “a sorpresa” o “della terza via”, ignorando la comminatoria generale e astratta della sanzione di nullità.

SOLUZIONE

La Suprema Corte ravvisa, nel primo motivo di gravame, una questione di massima, di particolare importanza, meritevole di sottoposizione alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, aggiungendo che il problema interpretativo non può ritenersi circoscritto alla normativa applicabile in forza della disciplina transitoria, ma si propone, in termini analoghi, anche con riferimento alla attuale regolazione dell’impugnazione per nullità del lodo arbitrale.

QUESTIONI

L’art. 828 c.p.c. è chiaro ed apparentemente non dovrebbe porre alcuna difficoltà interpretativa. Il termine annuale per l’impugnazione decorre dall’ultima sottoscrizione, poiché la norma non fa alcun riferimento alla data in cui le parti hanno avuto conoscenza legale della pronuncia.

Questo evento si verifica con la comunicazione del lodo che gli arbitri, ai sensi dell’art. 824 c.p.c., effettuano, a mezzo plico raccomandato, entro 10 giorni dalla data dell’ultima sottoscrizione.

Ad un’analisi più attenta si aprono, invece, diverse soluzioni.

Una prima scelta interpretativa, già accolta nell’unica pronuncia di legittimità di cui si abbia contezza sul punto (Cass. 5 settembre 2018, n. 21648), conduce al rigetto della tesi proposta dalla ricorrente e dei dubbi di illegittimità costituzionale da quest’ultima accampati.  Non vi sarebbe violazione dell’art. 3, Cost., perché la modesta diversificazione delle date di decorrenza dei termini per impugnare le sentenze e i lodi arbitrali potrebbe trovare ragionevole giustificazione, nella differente natura dei provvedimenti e nell’intervento, nel procedimento di formazione delle sentenze, dell’amministrazione statale, che attraverso i propri funzionari di cancelleria provvede a renderle pubbliche.

Quanto al diritto di difesa (art. 24) e ai principi del giusto processo (art. 111), la lievissima compressione quantitativa del termine concesso dalla legge per l’esercizio del diritto di impugnazione (di massimo 10 giorni), sarebbe sostanzialmente innocua, tanto più se rapportata al lungo periodo temporale di un anno previsto dall’art. 828 c.p.c.

Si ricorda, peraltro, che entrambi i termini di impugnazione del lodo arbitrale, quello breve e quello lungo, in quanto “di natura processuale”, paiono soggetti alla sospensione feriale dei termini, di cui della legge 7 ottobre 1969 n. 742 – come da ultimo modificata con d.l. 12 settembre 2014 n. 132 – risultando, dunque,  ulteriormente prolungati.

Va aggiunto che la Corte Costituzionale (25 luglio 2008, n. 297) ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 327 c.p.c., comma 1, con riferimento all’art. 24 Cost., nella parte in cui, prevedendo la decorrenza del termine annuale per l’impugnazione dalla pubblicazione della sentenza, anziché dalla sua comunicazione a cura della cancelleria, non assicurerebbe alle parti il diritto di difesa costituzionalmente garantito, poiché alle stesse non sarebbe assicurato il godimento per intero del termine per impugnare. Secondo la Corte, infatti, l’ampiezza del termine annuale consente, comunque, al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda.

La Corte remittente individua una diversa esegesi – intermedia fra le tesi estreme – sulla base del collegamento fra l’art. 828, comma 2, e l’art. 825, comma 1, c.p.c. prendendo in considerazione  «la fisiologica decurtazione” dei 10 giorni per la comunicazione, dal termine annuale decorrente dall’ultima sottoscrizione arbitrale. Questo lungo termine (un anno meno massimo dieci giorni), è ampiamente superiore ai sei mesi per l’impugnazione delle sentenze non notificate, e consente certamente alle parti di ponderare le proprie scelte e predisporre gli atti di gravame.

Inoltre, nel caso di dolosa o colposa tardiva/mancata comunicazione del lodo da parte degli arbitri, la parte soccombente può essere sempre assistita dal disposto degli artt. 153 e 184 bis c.p.c., che le consentono di essere rimessa in termini.

La Prima sezione ritiene, infine, percorribile l’ultima linea ermeneutica – sollecitata dalla ricorrente –  che esclude il decorrere del termine prima della comunicazione. Tale tesi trova fondamento in una recente pronuncia della Consulta (Corte Cost. 22 gennaio 2015, n. 3), che ha riconosciuto, ai fini del decorso dei termini, rilievo preminente al momento della pubblicazione della sentenza da parte del cancelliere, rispetto al deposito operato dal magistrato (nello stesso senso, Tarzia, Legge 5 febbraio 1994, n. 25, 1995, 160). Il ritardo, imputabile unicamente all’amministrazione, infatti, non può riflettersi negativamente sul diritto all’impugnazione.

Questa interpretazione, che vale per le sentenze civili, potrebbe essere applicata anche al diverso caso del lodo. Va, infatti, ricordato che le parti del procedimento arbitrale, per quanto solerti e diligenti, non hanno la possibilità di verificare periodicamente il deposito della decisione, mediante il controllo dei registri di cancelleria.

Anche in dottrina (Mandrioli-Carratta, Diritto processuale civile, 27a ed., III, Torino, 2020, 372) si evidenzia come, in pratica, il termine decorra da un evento immediatamente conoscibile dalla parte, come la comunicazione del lodo da parte degli arbitri.

Si tratterebbe di una interpretazione costituzionalmente orientata del combinato disposto dell’art. 828 in correlazione con l’obbligo della comunicazione del lodo alle parti, sancito in passato dall’art. 825 e, ora, dall’art. 824, così da escludere che il termine prenda a decorrere prima di tale adempimento ed evitare che la parte interessata possa subire un pregiudizio per il mancato svolgimento di un’attività processuale in un ambito temporale nel quale ignora incolpevolmente di doverla svolgere.

Nell’ipotesi che l’ostacolo semantico dovesse risultare insuperabile, la Sezione prima sollecita una valutazione di legittimità costituzionale della disciplina. A tale conclusione è giunta anche parte della dottrina (Boccagna-Ruffini, sub art. 828, in Consolo, Codice di procedura civile commentato, 6a ed., VI, Assago, 2018, 1485), pur precisando che la fattispecie si verifica soltanto nel caso “limite” in cui la parte soccombente non abbia conosciuto in tempo utile il lodo.

Verificheremo, dunque, se la questione sarà rimessa dal Primo Presidente alle Sezioni Unite.

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