Decreto di trasferimento del giudice dell’esecuzione: equivale a rogito notarile e ha efficacia erga omnes
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFCorte di Cassazione, Sezione 3^, Civile, Sentenza del 12 giugno 2020, n.11285 (Presidente Dott.ssa R. Vivaldi, relatore Dott. M. Rossetti)
Apertura di credito – Garanzia – Ipoteca immobile – Opposizione all’esecuzione – Esecuzione per rilascio – Decreto di trasferimento – Efficacia erga omnes.
CASO
Nel 1992 la Cassa di Risparmio di Venezia concedeva un’apertura di credito a favore di Tizia. Il credito veniva garantito da un’ipoteca iscritta su un immobile, di proprietà del padre e di Caio fratello della debitrice; tuttavia, in esito a successive indagini emergeva che l’immobile risultava edificato su suolo demaniale.
A causa dell’inadempimento della debitrice garantita Tizia, nel 1993, l’istituto di credito iniziava l’esecuzione forzata per espropriazione immobiliare nei confronti dei proprietari dell’immobile.
A termine della procedura, l’immobile veniva aggiudicato all’asta a Sempronio e, dunque, veniva correttamente emesso, dal Giudice dell’esecuzione, il decreto di trasferimento.
In seguito all’emissione del decreto di trasferimento conseguente all’aggiudicazione, il Ministero delle Finanze conveniva in autonomo giudizio tutti i soggetti coinvolti nell’esecuzione – l’aggiudicatario Sempronio, i debitori esecutati (il fratello Caio e il padre della debitrice), la banca esecutante – deducendo che l’immobile oggetto di aggiudicazione, essendo edificato su suolo demaniale, doveva ritenersi di proprietà dello Stato e, quindi, acquisito al demanio per accessione ex. art. 934 c.c.
Nel giudizio introdotto dal Ministero, interveniva anche Melvia (erede del padre ovvero sorella di Tizia e di Caio), dichiarando di “aderire alla domanda formulata da parte attrice”.
Conclusosi il giudizio tredici anni dopo, con rigetto della domanda dell’erario, da parte della Corte d’Appello di Venezia – sul presupposto che nel caso di specie non operava l’istituto dell’accessione ex. art. 934 c.c. – l’aggiudicatario Sempronio, munito del decreto di trasferimento, intimava precetto per rilascio dell’immobile alle due persone che lo occupavano, ovverossia i germani Caio e Melvia.
Quest’ultimi, all’uopo, proponevano opposizione ex. artt. 615-619 c.p.c. a sostegno della quale deducevano l’invalidità del titolo esecutivo, ovverossia il summenzionato decreto di trasferimento nei di Loro confronti.
Il titolo esecutivo sarebbe stato invalido, secondo gli opponenti, perché l’immobile controverso, non sarebbe stato di proprietà del debitore esecutato (Caio, fratello della debitrice), ma della sorella di questi, ovvero Melvia, che lo aveva edificato a proprie spese.
Nella fase di merito la domanda di Caio, nel frattempo deceduto, veniva proseguita dalla moglie ed erede di questi, ovvero Alma.
Si costituiva nel giudizio di opposizione, l’aggiudicatario dell’immobile, Sempronio, invocando l’autorità del giudicato della sentenza con cui la Corte d’appello aveva rigettato la domanda del Ministero (giudizio al quale, come si ricorderà, aveva partecipato anche Melvia) ovverossia pronuncia che, secondo il convenuto-opposto, aveva accertato e dichiarato definitivamente il suo incontrovertibile diritto di proprietà.
L’adito Tribunale di Venezia, rigettava l’opposizione, chiarendo che la domanda dell’erario era stata respinta non perché fosse stata accertata la titolarità del diritto reale in capo all’opponente Sempronio; bensì poiché veniva esclusa, l’operatività nel caso di specie dell’accessione ex art. 934 c.c. a favore del Ministero.
In ordine alle opposizioni di Alma, il Tribunale statuiva l’inammissibilità ritenuto che Ella non aveva alcun diritto sull’immobile; per le opposizioni mosse da Melvia, invece, il Tribunale statuiva l’infondatezza delle stesse, per tre ordini di ragioni:
1. sia perché vi era la prova che l’immobile era stato costruito da Caio, e non dalla sorella Melvia;
2. sia perché Melvia nel pregresso giudizio di accertamento promosso dal Ministero, aveva aderito alla domanda attorea, e chiesto che si accertasse la proprietà dell’immobile in capo al Ministero stesso;
3. sia perché Melvia, malata cronica ed inabile al lavoro, non avrebbe potuto avere le disponibilità economiche necessarie per edificare un immobile.
Soccombenti, Melvia e Alma, proponevano gravame dinanzi alla Corte di Appello di Venezia, conclusosi con declaratoria di inammissibilità ex. art. 348 bis c.p.c.
Avverso quest’ultima ordinanza, le due soccombenti insistevano nelle proprie domande e proponevano ricorso per Cassazione; al quale resistevano Caio (aggiudicatario dell’immobile) e la coniuge, con ricorso incidentale condizionato.
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso principale, per le motivazioni che seguono e, per l’effetto dichiarava assorbito il ricorso incidentale condizionato. Parimenti, condannava le ricorrenti, in solido, alla refusione delle spese di giustizia e al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, sussistendo i presupposti previsti dall’art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30.5.2002 n. 115
QUESTIONI
Didascalicamente e allo scopo di chiarire i fatti susseguenti al commento che segue si ricorderà che l’ipoteca, disciplinata agli artt. 2808 c.c. e ss., è un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale, teso a consentire al creditore la concreta realizzazione del suo credito, mediante l’attribuzione del potere di soddisfarsi, con preferenza ovverossia prelazione, sul bene “ipotecato”.
Il pignoramento immobiliare, persegue lo scopo di assicurare il medesimo risultato rispetto a quello a cui si perverrebbe in caso di spontaneo adempimento del debitore, consentendo la soddisfazione coattiva delle pretese creditorie, in assenza della volontà del debitore, mediante la sottrazione del bene e la sua trasformazione in denaro, mediante la vendita.
Secondo quanto previsto dall’art. 555 c.p.c., il pignoramento immobiliare si esegue mediante notificazione al debitore e successiva trascrizione di un atto (c.d. atto di pignoramento) nel quale gli si indicano esattamente i beni e i diritti immobiliari che si intendono sottoporre a esecuzione, e con il quale lo si ingiunge ad astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito i beni che si assoggettano alla espropriazione ed i frutti di essi ex. art. 492 c.p.c.
Col pignoramento il debitore è costituito custode dei beni pignorati e di tutti gli accessori, comprese le pertinenze e, i frutti senza diritto a compenso. Su istanza del creditore pignorante o di un creditore intervenuto, il giudice dell’esecuzione, sentito il debitore, può nominare custode una persona diversa dallo stesso debitore.
Per effetto dell’art. 560 c.p.c., così come modificato dal D.L. 30 dicembre 2019 n. 162, il debitore e i familiari con lui conviventi non perdono il possesso dell’immobile e delle sue pertinenze, sino al decreto di trasferimento, salvo quanto previsto dal successivo sesto comma.
Quest’ultimo prevede che il giudice, sentiti il custode e il debitore, possa ordinare la liberazione dell’immobile pignorato qualora sia ostacolato il diritto di visita di potenziali acquirenti, quando l’immobile non sia adeguatamente tutelato e mantenuto in uno stato di buona conservazione, per colpa o dolo del debitore e dei membri del suo nucleo familiare, quando il debitore viola gli altri obblighi che la legge pone a suo carico, o quando l’immobile non è abitato dal debitore e dal suo nucleo familiare. Fermo quanto previsto dall’anzidetto sesto comma, quando l’immobile pignorato è abitato dal debitore e dai suoi familiari il giudice non può mai disporre il rilascio dell’immobile pignorato prima della pronuncia del decreto di trasferimento ai sensi dell’art. 586 c.p.c..
Nei confronti, di eventuali altri creditori che siano titolari di un diritto di prelazione sul bene risultante da pubblici registri, il creditore pignorante che ha dunque interesse a procedere con la vendita del bene, per effetto dell’art. 498 c.p.c. deve notificare loro un avviso contenente l’indicazione del creditore pignorante, del credito per cui si procede, del titolo e dei beni pignorati.
In ordine alla vendita del bene pignorato ex art. 567 c.p.c., questa può essere richiesta con istanza presentabile dopo il decorso termine di 10 giorni dalla notifica dell’atto di pignoramento e non oltre il termine di 45 gg dal pignoramento stesso, a pena di inefficacia ex art. 497 c.p.c.
All’udienza, le parti oltre che formulare osservazioni circa modalità e tempistiche della vendita, possono proporre opposizioni agli atti esecutivi. Nel caso vi siano opposizioni, il tribunale decide con sentenza e il giudice dell’esecuzione disporrà la vendita con successiva ordinanza. In caso contrario, il giudice con ordinanza può fissare la vendita (con o senza incanto) stabilendone modalità di esecuzione e tempi; altrimenti, delegare le operazioni di vendita (senza incanto e con incanto) ad un professionista stabilendo il luogo ed il termine per il loro svolgimento e le modalità della pubblicità (art. 591 bis c.p.c.).
Conclusa la vendita, il giudice dell’esecuzione pronuncia il decreto di trasferimento in favore dell’aggiudicatario del bene, con cui ordina la cancellazione del pignoramento e le iscrizioni ipotecarie.
Il decreto di trasferimento dell’immobile equivale al rogito notarile, infatti con tale provvedimento il diritto di proprietà sul bene (o altro diritto reale) viene trasferito all’acquirente e contestualmente viene ordinato al debitore o al custode, di lasciare l’immobile.
Il decreto di trasferimento costituisce titolo esecutivo a favore dell’acquirente, il quale, infatti, può esercitare l’azione esecutiva per il rilascio, oltre nei confronti dei soggetti su richiamati, anche verso eventuali occupanti il bene senza averne requisito[1]. Pertanto colui il quale, trovandosi nella detenzione dell’immobile, non può limitarsi ad invocare la nullità del titolo esecutivo, ma deve dimostrare di essere titolare di un diritto reale o di godimento sull’immobile, che ne giustifichi il possesso o la detenzione[2].
L’ordine di rilascio non opera, di converso, nei confronti dei soggetti che vantino un contratto di locazione opponibile alla procedura in virtù dell’art. 2923 c.c. o autorizzato dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 560 c.p.c. Ciò, in quanto, il richiamato art. 2923 c.c. ribadisce la generale applicabilità alla vendita forzata del classico principio emptio non tollit locatum (cfr. artt. 1599 e 1600 c.c.); fatta salva l’ipotesi in cui, la locazione (bensì anteriore al pignoramento) appare conclusa a canone vile, ossia inferiore di un terzo al “giusto prezzo o a quello risultante da precedenti locazioni”[3].
Dunque, in ordine al caso di specie, il Supremo Collegio, avallando i provvedimenti dei precedenti gradi, dichiarava inammissibili le censure delle ricorrenti per le seguenti ragioni. Avendo la ricorrente Melvia, nel pregresso giudizio introdotto dal Ministero, aderito alla domanda attorea, anch’Ella chiese accertarsi che l’immobile non era di sua proprietà, ma era stato acquisito dal demanio per accessione, quest’ultima nella successiva opposizione e quindi anche nel presente grado, non aveva un interesse ad agire, quale condizione indefettibile dell’azione: “dolo petis, quod mox restiturus…”.
Dunque, il Tribunale aveva correttamente affermato che non poteva ritenersi proprietario dell’immobile espropriato chi, in separato giudizio, aveva negato di esserlo. Logica è congrua era la valutazione condotta dal tribunale, il quale ritenne la condotta tenuta da Melvia alla stregua di una confessione stragiudiziale ex. art. 2735 c.c.
Recependo l’effetto confessorio discendente della condotta tenuta dalle ricorrenti nei precedenti giudizi; gli Ermellini rigettano il ricorso, avvalorando fermissimo orientamento giurisprudenziale: “Il decreto di trasferimento in base al quale sia iniziata l’esecuzione per rilascio è un titolo opponibile “erga omnes” e, dunque, non solo nei confronti del debitore esecutato, ma anche di chiunque si trovi nella detenzione o nel possesso del bene; pertanto, colui che intenda proporre opposizione non può limitarsi ad invocare la nullità del detto titolo, ma deve dimostrare di essere titolare di un diritto reale o di godimento su tale bene, che ne giustifichi il possesso o la detenzione, così esplicitando il proprio interesse ad agire”.
[1] Cass., sez. 3, civ., ordinanza del 19 gennaio 2018 n. 1259; Cass., sez. 1, civ., sentenza del 17 settembre 2003 n. 13664.
[2] Cass. Sez. 3, civ, sent. 14640 del 27/06/14; Rv. 631580 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 12174 del 01/12/1998, Rv. 521281 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 603 del 22/01/1998, Rv. 511837 01; Sez. 1, Sentenza n. 1024 del 22/04/1963, Rv. 261448 – 01.
[3] Cass. sez. U, civ., sent. n. 459 del 20/1/1994; Cass., sz. 6, civ., ordinanza n. 16718 del 01/10/12; Cass., sez. 6, civ., ordinanza n. 12398 del 24/06/20.