22 Settembre 2020

Produzione in giudizio di un telegramma: prova presuntiva dell’avvenuta consegna dell’atto e base per la presunzione di conoscenza in capo al destinatario ex art. 1335 c.c.

di Valentina Baroncini, Avvocato e Ricercatore di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. II, 25 agosto 2020, n. 17720, Pres. D’Ascola – Est. Varrone

[1] Obbligazioni e contratti – Prova in genere in materia civile – Vendita (artt. 1335, 2727, 2729 c.c.).

La presunzione di conoscibilità di un atto giuridico recettizio richiede la prova, anche presuntiva, ma avente i requisiti di cui all’art. 2729 c.c., che esso sia giunto all’indirizzo del destinatario, sicché, in caso di contestazione, la prova della spedizione non è in sé sufficiente a fondare la presunzione di conoscenza, salvo il caso in cui, per le modalità di trasmissione dell’atto (raccomandata, anche senza avviso di ricevimento o telegramma), o per i particolari doveri di consegna dell’agente postale, si possa presumere l’arrivo nel luogo di destinazione. Di conseguenza la produzione in giudizio di un telegramma, o di una lettera raccomandata, anche in mancanza dell’avviso di ricevimento, costituisce prova certa della spedizione, attestata dall’ufficio postale attraverso la relativa ricevuta, dalla quale consegue la presunzione dell’arrivo dell’atto al destinatario e della sua conoscenza ai sensi dell’art. 1335 c.c., fondata sulle univoche e concludenti circostanze della suddetta spedizione e sull’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico.

CASO

[1] Due soggetti stipulavano un contratto preliminare di compravendita di un terreno concordando il termine, da considerarsi essenziale, per la stipula del definitivo. A tal fine, i promittenti venditori provvedevano, con telegramma, a convocare presso un notaio il promissario acquirente il quale, tuttavia, non si presentava all’incontro.

Con atto di citazione il promissario acquirente conveniva in giudizio i promittenti venditori al fine di ottenere, a norma dell’art. 2932 c.c., sentenza costitutiva avente gli effetti del contratto definitivo di compravendita non concluso. I convenuti si costituivano in giudizio domandando, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto, stante l’inadempimento del promissario acquirente all’obbligo di concludere il contratto definitivo.

Il Tribunale di Catania rigettava la domanda attorea e accoglieva la domanda di risoluzione avanzata in via riconvenzionale.

L’adita Corte d’Appello di Catania rigettava l’appello proposto dal promissario acquirente, in particolare in relazione al motivo relativo al luogo di notifica del telegramma di convocazione per la stipula del definitivo che, secondo l’appellante, era avvenuto a un civico diverso rispetto alla sua abitazione e, per questo, non poteva considerarsi conosciuto dallo stesso, con conseguente assenza di una sua condotta inadempiente.

Il promissario acquirente proponeva allora ricorso per cassazione, articolato in cinque differenti motivi. In estrema sintesi, egli lamentava che la Corte d’Appello avesse erroneamente applicato gli artt. 1335 e 2727 c.c., presumendo che il telegramma con il quale egli era stato convocato per la stipula del definitivo fosse giunto all’indirizzo del destinatario e, dunque, che si fossero prodotti gli effetti di cui all’art. 1335 c.c.: nel caso di specie, infatti, vi era prova soltanto dell’avvenuta spedizione del telegramma, peraltro a un indirizzo diverso rispetto a quello del domicilio del ricorrente. Più nel dettaglio, il ricorrente lamentava la violazione del divieto di doppia presunzione in cui sarebbe incorsa la Corte d’Appello la quale, partendo dall’unico dato certo della prova dell’avvenuta spedizione del telegramma di convocazione innanzi al notaio, aveva presunto, sulla base dell’ordinario regolare funzionamento del servizio postale italiano, l’effettivo buon fine della spedizione (prima presunzione), nonostante il telegramma recasse un indirizzo diverso rispetto a quello usato nelle precedenti comunicazioni: da qui, l’applicazione di una seconda presunzione, ex art. 1335 c.c., nel momento in cui ha ritenuto che l’atto di convocazione, giunto all’indirizzo del destinatario sulla base della prima presunzione menzionata, fosse stato conosciuto dal destinatario.

SOLUZIONE

[1] La Suprema Corte si pronuncia nel senso dell’infondatezza del ricorso per cassazione proposto. In primo luogo, infatti, essa ricorda l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui il telegramma, anche se privo di avviso di ricevimento, attraverso la ricevuta di spedizione consente di presumere, sulla base di univoche e concludenti circostanze – quali la prova certa della spedizione attestata dall’ufficio postale e l’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico -, che l’atto sia giunto all’indirizzo del destinatario e, dunque, che sia da questi conosciuto ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1335 c.c. (per tali principi, che verranno ripresi in sede di analisi delle questioni affrontate dalla decisione in commento, Cass., 11 gennaio 2019, n. 511; Cass., 25 settembre 2014, n. 20167). Inoltre, la Cassazione ricorda come, anche recentemente, si sia affermata l’assenza, nell’ordinamento, di un divieto delle presunzioni di secondo grado, con la conseguenza per cui un fatto accertato in via presuntiva ben può costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea a fondare l’accertamento di un fatto ignoto (così, Cass., 1° agosto 2019, n. 20748).

QUESTIONI

[1] La Corte di Cassazione affronta, nella decisione in commento, due questioni giuridiche, che è senz’altro opportuno esaminare separatamente.

In via preliminare, però, è utile richiamare le norme destinate a venire in rilievo nel caso di specie.

Per quanto riguarda la materia delle presunzioni, norma di riferimento è rappresentata dall’art. 2727 c.c., che le definisce come le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato. Da tale definizione è possibile dedurre la differenza tra le presunzioni legali – stabilite dalla legge e disciplinate al successivo art. 2728 c.c. -, e le presunzioni semplici, «lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti» (art. 2729 c.c.). Il tenore dell’art. 2727 c.c., peraltro, laddove impone di far procedere il ragionamento presuntivo da un “fatto noto”, rappresenta l’addentellato testuale dal quale si dovrebbe desumere l’esistenza, nell’ordinamento, di un divieto di doppia presunzione, che per l’appunto farebbe muovere la seconda presunzione da un fatto a sua volta dedotto in via presuntiva e, dunque, non “noto”.

Ai fini in esame è poi utile ricordare il dettato dell’art. 1335 c.c. che, in materia contrattuale, dispone una presunzione di conoscenza degli atti recettizi nel momento in cui essi giungono all’indirizzo del destinatario, a meno che questi non dimostri di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia. Dall’arrivo dell’atto all’indirizzo del destinatario, in altri termini, si presume, fino a prova contraria, che tale soggetto sia giunto a conoscenza dell’atto medesimo.

Venendo ora alle questioni affrontate dal provvedimento in epigrafe, la prima ha riguardo all’interrogativo circa il se, dal fatto certo inerente all’avvenuta spedizione di un telegramma, si possa presumere che esso sia effettivamente arrivato all’indirizzo del destinatario. Tale questione, lo si ricorda, costituisce la prima presunzione tratta dalla Corte, nella costruzione del suo complessivo ragionamento. A tal proposito, la pronuncia richiama un consolidato principio di diritto, recentemente ribadito dalla già citata Cass., n. 511/2019, secondo cui «La produzione in giudizio di un telegramma, o di una lettera raccomandata, anche in mancanza dell’avviso di ricevimento, costituisce prova certa della spedizione, attestata dall’ufficio postale attraverso la relativa ricevuta, dalla quale consegue la presunzione dell’arrivo dell’atto al destinatario e della sua conoscenza ai sensi dell’art. 1335 c.c., fondata sulle univoche e concludenti circostanze della suddetta spedizione e sull’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico» (conf., Cass., 12 ottobre 2017, n. 24015). In altri termini, la circostanza per cui il servizio telegrafico italiano e l’attività espletata dagli agenti postali sono ordinariamente regolari, consentirebbe di presumere che il telegramma spedito sia pure arrivato all’indirizzo di destinazione ivi indicato.

Così chiarita in senso positivo la possibilità di presumere dall’avvenuta spedizione del telegramma la sua consegna all’indirizzo ivi indicato, la Corte ha affrontato la seconda questione giuridica rilevante nel caso di specie, ossia la possibilità di muovere da tale fatto (ossia, l’avvenuta consegna del telegramma all’indirizzo del destinatario), accertato in via presuntiva, al fine di trarre l’ulteriore presunzione di cui all’art. 1335 c.c., ossia asserire che dalla (presunta) consegna dell’atto all’indirizzo del destinatario possa presumersi l’avvenuta conoscenza dello stesso in capo a tale soggetto.

Sul punto, la Cassazione riprende un proprio recente arresto che ha negato l’esistenza, nell’ordinamento, di un divieto delle presunzioni di secondo grado, «in quanto lo stesso non è riconducibile né agli artt. 2729 e 2697 c.c., né a qualsiasi altra norma […] ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea – in quanto a sua volta adeguata – a fondare l’accertamento del fatto ignoto» (così, Cass., n. 20748/2019; l’esistenza di tale principio, peraltro, è ancora costantemente affermata in materia tributaria: tra le più recenti, Cass., 14 maggio 2020, n. 8915). In tale linea si inserisce il principio espresso da Cass., n. 20167/2014, la quale, con riferimento a fattispecie analoga a quella ora in esame, ha precisato che «la presunzione di conoscibilità di un atto giuridico recettizio richiede la prova, anche presuntiva, ma avente i requisiti di cui all’art. 2729 c.c. (gravità, univocità e concordanza), che esso sia giunto all’indirizzo del destinatario, sicché, in caso di contestazione, la prova della spedizione non è in sé sufficiente a fondare la presunzione di conoscenza, salvo il caso in cui, per le modalità di trasmissione dell’atto (raccomandata, anche senza avviso di ricevimento o telegramma), e per i particolari doveri di consegna dell’agente postale, si possa presumere l’arrivo nel luogo di destinazione»: in tale arresto, evidentemente, la Suprema Corte ha confermato come la prova che l’atto recettizio sia giunto all’indirizzo del destinatario (fatto da cui far operare la presunzione di cui all’art. 1335 c.c.), ben possa essere fornita in via presuntiva, ammettendo così la liceità di una presunzione di secondo grado.

A completamento della ricostruzione svolta, è solo il caso di precisare come la Cassazione abbia rilevato l’assenza di adeguata prova contraria portata dal promissario acquirente circa la mancata conoscenza del telegramma, in particolare in relazione alla circostanza, pur rilevata da tale soggetto, della non coincidenza tra il numero civico riportato nel telegramma e quello del proprio domicilio che, se adeguatamente provata, avrebbe probabilmente disinnescato il meccanismo presuntivo di cui all’art. 1335 c.c. Se si fosse dimostrata la spedizione a un indirizzo sbagliato, in altri termini, non sarebbe stato possibile presumere, sulla sola base dell’efficienza del servizio postale, la ricezione del telegramma da parte del destinatario e, con essa, l’avvenuta conoscenza dell’atto in capo allo stesso.