8 Settembre 2020

La desistenza non accompagnata dall’estinzione del debito ha natura processuale e va presentata prima della deliberazione della sentenza di fallimento

di Andrea Cassini, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione, Sez. VI, Ordinanza n. 13187/2020 del 30/06/2020 (Ud. 14/02/2020), Pres. Sambito, Rel. Falabella.

Parole chiave: fallimento – dichiarazione di fallimento – desistenza del creditore istante – effetti – estinzione dell’obbligazione – legittimazione attiva – rinuncia – natura processuale.

Massima: Qualora l’unico creditore istante desista dalla domanda, occorre distinguere la desistenza dovuta al pagamento del credito da quella non accompagnata dall’estinzione dell’obbligazione. In questo secondo caso la desistenza costituisce atto di rinuncia all’istanza di fallimento e ha natura meramente processuale; essa, in ragione della sua peculiare natura, è un atto rivolto al giudice e da ostendere allo stesso, al pari della domanda iniziale, perché questo lo valorizzi nel contesto procedimentale in cui è formato, onde la rinuncia non può produrre effetto ove non sia presentata al giudice che deve tenerne conto ai fini della decisione. Sicché, l’atto di desistenza, quale rinuncia, non può essere rappresentato al giudice dopo la deliberazione della sentenza, atteso che il collegio ha già esaurito lo scrutinio di tutte le questioni sottopostegli e quindi siffatto atto non può più produrre effetti; a fortiori deve escludersi che l’atto di rinuncia possa intervenire quando il provvedimento, già redatto, sia in attesa di pubblicazione, avendo il collegio già provveduto all’invio telematico alla relativa cancelleria (massima non ufficiale).

Disposizioni applicate: artt. 6 e 18 l. fall.; artt. 133, comma 1 e comma 2, e 306 c.p.c..

CASO

Alfa sas e il proprio socio illimitatamente responsabile hanno presentato reclamo avverso la sentenza che ha dichiarato il loro fallimento sul presupposto che il tribunale non avrebbe dovuto aprire la procedura concorsuale, poiché, prima della pronuncia dichiarativa, il creditore procedente aveva depositato istanza di desistenza, con rinuncia espressa agli atti del giudizio. Nello specifico, la desistenza era stata depositata prima della pubblicazione della sentenza, ma successivamente alla camera di consiglio nonché dopo l’invio del provvedimento alla cancelleria. Oltre a ciò, i reclamanti hanno contestato lo stato d’insolvenza della società.

La corte territoriale ha però rigettato l’impugnazione, confermando l’apertura della procedura concorsuale, atteso che la decisione del collegio era stata assunta in data anteriore rispetto al deposito -telematico- della desistenza del creditore procedente. Per tale motivo, i giudici d’appello hanno ritenuto tale atto senza effetti. Con riferimento, poi, allo stato di decozione i giudici di secondo grado hanno parimenti ritenuto di non accogliere le censure della società e del socio in quanto generiche e prive di prova.

E’ stato allora proposto ricorso per cassazione avverso tale decisione. Con il primo motivo, i reclamanti hanno censurato il provvedimento della corte d’appello perché a loro avviso la desistenza avrebbe dovuto ritenersi tempestiva, in quanto effettuata comunque prima della conclusione dell’iter procedimentale che porta all’apertura del fallimento. Secondo i ricorrenti, “la sentenza era venuta materialmente ad esistenza nel momento della sua pubblicazione, allorquando il presidente estensore aveva trasmesso la stessa in formato elettronico; tale momento si desumeva dalla «coccarda» e dalla dicitura apposta sul margine desto di ciascuna delle pagine della copia cartacea del provvedimento”. Sicché, sulla base di siffatti elementi, l’atto di desistenza si sarebbe dovuto ritenere tempestivo.

Con il secondo motivo i ricorrenti hanno poi obiettato come il creditore istante non si fosse opposto alla revoca della sentenza dichiarativa di fallimento, pur essendo l’unico soggetto legittimato al reclamo alla luce dell’intervenuta desistenza.

SOLUZIONE

Il Supremo Collegio ha respinto interamente il ricorso per cassazione, soffermandosi preliminarmente sulla necessità di differenziare l’atto di desistenza dovuto al pagamento del credito, e quindi collegato all’estinzione dell’obbligazione, rispetto alla mera rinuncia priva di effetti estintivi del rapporto sottostante, con carattere esclusivamente processuale.

Da tale distinzione, la Corte ne ha fatto discendere un preciso corollario: la desistenza quale atto di rinuncia va rappresentata al giudice prima della deliberazione della sentenza indipendentemente dal fatto che il provvedimento dichiarativo di fallimento risulti già redatto ma in attesa di pubblicazione.

E infatti, proprio in ragione della sua natura meramente processuale, per i giudici siffatto atto deve necessariamente essere messo a conoscenza prima che il collegio abbia esaminato tutte le questioni rilevanti ai fini della decisione, con l’ulteriore evidenza che la desistenza risulta improduttiva di effetti qualora sia depositata dopo la trasmissione del provvedimento alla cancelleria ma prima della pubblicazione.

QUESTIONI

Ad una prima analisi la fattispecie trattata nella pronuncia in parola non pare di particolare rilevanza, ma dai principi nella stessa richiamati, così come dei precedenti citati (Cass. n. 16122/2019), si possono cogliere le ragioni del presente approfondimento.

Si tratta dell’ipotesi -non rara – in cui il creditore desiste dall’istanza di fallimento dallo stesso presentata. Come già anticipato nell’esposizione della parte in fatto, i giudici specificano anzitutto l’esigenza di “distinguere la desistenza dovuta al pagamento del credito da quella non accompagnata dell’estinzione dell’obbligazione”, perché tale differenziazione ha precisi risvolti pratici. Infatti, in caso di desistenza non accompagnata dall’estinzione del debito, la stessa deve essere qualificata come atto di rinuncia all’istanza di fallimento avente natura meramente processuale e, pertanto, va necessariamente messa a conoscenza del giudicante affinché possa produrre determinati effetti.

Diversamente, la desistenza dovuta al pagamento del creditore procedente, e quindi con estinzione dell’obbligazione accertata ex art. 2704 c.c. prima della dichiarazione di fallimento, può influire sulla legittimazione del creditore istante, determinando così la revoca della sentenza di fallimento, anche se prodotta solo in sede di reclamo.

Ed è proprio questo il punto rilevante che viene ripreso dall’ordinanza in commento e qui approfondito: “l’unico” atto idoneo a determinare la revoca della sentenza dichiarativa è la desistenza con connessa prova dell’estinzione del credito, giacché occorre che l’istanza di fallimento sia mantenuta ferma per tutta la durata del processo, anche nella fase di impugnazione, così come la legittimazione del procedente.