Il termine breve a seguito di notifica della sentenza via pec in formato illeggibile
di Marco Russo, Avvocato Scarica in PDFCass., sez. lav., 21 febbraio 2020, n. 4624 Pres. Nobile, Rel. Raimondo
Procedimento civile – Sentenza – Notifica a mezzo posta elettronica certificata – Termine di impugnazione c.d. breve (C.c. art. 1335; C.p.c. artt. 153, 285, 326, 360, 372; Legge 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3 bis; D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68)
In tema di notifica della sentenza via posta elettronica certificata e di decorso del termine c.d. breve di impugnazione, nel momento in cui il sistema genera la ricevuta di accettazione della p.e.c. e di consegna della stessa nella casella del destinatario si determina una presunzione di conoscenza della comunicazione da parte del destinatario: conseguentemente, spetta al destinatario, in un’ottica collaborativa, rendere edotto il mittente incolpevole delle difficoltà di cognizione del contenuto della comunicazione legate all’utilizzo dello strumento telematico.
CASO
Ai fini che ci occupano rileva, della complessa vicenda sostanziale e processuale dedotta nei tre gradi di giudizio, quest’unica scansione:
- il 18 febbraio 2018 la sentenza d’appello è notificata dalla parte vittoriosa a mezzo posta elettronica certificata;
- la parte destinataria della notifica, constatata l’illeggibilità del file allegato alla p.e.c., si astiene sul momento da qualsiasi iniziativa e notifica ricorso per cassazione oltre il termine di sessanta giorni e, in particolare, il 10 agosto dello stesso anno;
- il controricorrente eccepisce l’inammissibilità dell’impugnazione per tardività;
- il ricorrente produceva quindi documentazione – legittima ai sensi dell’art. 372 c.p.c., trattandosi di elementi riguardanti l’ammissibilità del ricorso – dalla quale emergeva che la notifica a mezzo p.e.c. conteneva un “allegato illeggibile”, che, dove “aperto”, offriva la seguente dicitura: “Acrobat Reader: errore durante l’apertura del documento. Il file è danneggiato e non può essere riparato”; e aggiungeva di aver ricevuto nella stessa giornata altra comunicazione via p.e.c. dallo stesso difensore della parte vittoriosa, risultata leggibile e avente ad oggetto la richiesta di rimborso delle spese del giudizio d’appello.
Per tali ragioni, il ricorrente chiedeva dichiararsi l’ “invalidità” della notifica della sentenza ai fini del decorso del termine breve e, in subordine, la rimessione nel termine per la proposizione dell’impugnazione.
LA SOLUZIONE
La Cassazione accoglie l’eccezione di inammissibilità del ricorso, e dunque conferma la validità della notifica avente ad oggetto un file illeggibile, osservando che “nel momento in cui il sistema genera la ricevuta di accettazione della p.e.c. e di consegna della stessa nella casella del destinatario si determina una presunzione di conoscenza della comunicazione da parte del destinatario analoga a quella prevista, in tema di dichiarazioni negoziali, dall’art. 1335 c.c.. Spetta quindi al destinatario, in un’ottica collaborativa, rendere edotto il mittente incolpevole delle difficoltà di cognizione del contenuto della comunicazione legate all’utilizzo dello strumento telematico”.
In concreto, dunque, il difensore avrebbe dovuto “informare il mittente della difficoltà nella presa visione degli allegati […] onde fornirgli la possibilità di rimediare a tale inconveniente”, e a causa di tale omissione la decadenza deve ritenersi non incolpevole, con conseguente insussistenza dei presupposti per la concessione della rimessione in termini ex art. 153, comma 2 c.p.c.
LA QUESTIONE
La Corte ribadisce il rigoroso orientamento per cui la semplice verifica dell’avvenuta accettazione dal sistema e della successiva consegna, ad una determinata data ed ora, del messaggio di posta elettronica certificato contenente l’allegato notificato è sufficiente a far ritenere perfezionata e pienamente valida la notifica, e a nulla rileva non soltanto, come affermato dalla Cassazione penale in materia di notificazioni, “l’eventuale mancata lettura dello stesso da parte del difensore per eventuale malfunzionamento del proprio computer”, il ché deve essere “imputato a mancanza di diligenza del difensore che nell’adempimento del proprio mandato è tenuto a dotarsi dei necessari strumenti informatici e a controllarne l’efficienza” (Cass. pen., sent. 18.1.2017, n. 2431); ma anche – e ciò appare meno scontato, l’illeggibilità del file allegato alla p.e.c. (Cass., 31.10.17, n. 25819).
La giurisprudenza, nei casi in cui ha preso in esame la fattispecie, ha univocamente addossato al ricevente, rimasto colpevolmente inerte, i pregiudizi processuali derivanti dall’impossibilità di leggere l’atto allegato alla comunicazione inviata via posta elettronica certificata.
Anche nel citato precedente deciso dalla Cassazione civile nel 2017, infatti, la Corte aveva vagliato in via preliminare l’eccezione di inammissibilità di un ricorso proposta dal controricorrente che lamentava l’illeggibilità del file contenente l’atto introduttivo, ritenendone infine l’infondatezza atteso che la semplice verifica dell’avvenuta accettazione dal sistema e della successiva consegna, ad una determinata data ed ora, del messaggio di posta elettronica certificato contenente l’allegato notificato è sufficiente a far ritenere perfezionata e pienamente valida la notifica: “spetta quindi al destinatario, in un’ottica collaborativa, rendere edotto il mittente incolpevole delle difficoltà di cognizione del contenuto della comunicazione legate all’utilizzo dello strumento telematico. Di conseguenza, nel caso di specie, sarebbe stato dovere del difensore dei controricorrenti informare il mittente della difficoltà nella presa visione degli allegati trasmessi via pec, onde fornirgli la possibilità di rimediare a tale inconveniente”.
Appare condivisibile l’esito del ragionamento della Cassazione, che, al probabile scopo di impedire in radice opportunistici comportamenti dei soggetti destinatari delle notifiche, sanziona sostanzialmente la sola inerzia di questi ultimi nella segnalazione del problema al notificante, senza attribuire rilievo al tema dell’effettiva leggibilità o meno del file.
Risulta in parte convincente l’iter logico- giuridico adottato per giungere a tale conclusione.
La Corte fonda infatti il percorso argomentativo sull’affidabilità, prevista dalla legge, delle comunicazioni a mezzo posta elettronica certificata, e sull’analogia con l’art. 1335 c.c. in materia di presunzione di conoscenza della proposta, accettazione, revoca delle medesime ovvero “ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona”.
Il primo argomento risulta poco persuasivo.
Il D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, citato anche dalla Cassazione, consente di inviare mail con valore legale equiparato ad una raccomandata con ricevuta di ritorno, “presentando rispetto alla posta elettronica ordinaria caratteristiche aggiuntive tali da fornire agli utenti la certezza dell’invio e della consegna (o della mancata consegna) delle e-mail al destinatario”. Nulla dice tuttavia sul tema in esame ossia la presunta leggibilità dell’allegato informatico della p.e.c. e, dunque, non sembra offrire un fondamento sicuro per la scelta di far discendere dall’inerzia del destinatario la validità processuale di una notifica astrattamente inesistente.
E ciò anche alla luce della pur fortemente restrittiva interpretazione introdotta da Cass., S.U., 20 luglio 2016, n. 14916: la p.e.c. avente ad oggetto un atto illeggibile sembra davvero costituire quell’“attività priva degli elementi costituitivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione” nella quale le sezioni unite hanno sostanzialmente confinato la nozione di notifica inesistente.
Più convincente appare il riferimento di diritto sostanziale all’art. 1335 c.c.
La norma pone infatti una presunzione di conoscenza (“La proposta, l’accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario”), espressamente superabile dalla dimostrazione da parte del destinatario di “essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia”.
Tale prova appare effettivamente non raggiungibile dalla parte che tecnicamente ha avuto notizia dell’esistenza della comunicazione via p.e.c., e abbia volutamente atteso gli sviluppi processuali – come nel caso esaminato dalla sentenza in commento, e dalla Cassazione nel citato precedente del 2017 – per sollevare la questione, senza avvisare il notificante della difficoltà di apertura del file.
Peraltro, la giurisprudenza più recente in materia di interpretazione dell’art. 1335 c.c. sembra offrire spunti di segno opposto, almeno relativamente alle spedizioni “cartacee”: secondo App. Napoli 20.2.2018, in www.dejure.it, la lettera inviata via posta raccomandata costituisce sì “prova certa della spedizione attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta di spedizione, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico, di arrivo dell’atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 c.c. dello stesso”, ma, in caso di contestazione circa il contenuto della spedizione (mutatis mutandis, nel nostro caso circa la leggibilità dell’allegato alla p.e.c.) “spetta al destinatario l’onere di dimostrare che il plico non contiene alcuna lettera al suo interno, ovvero che esso contiene una lettera di contenuto diverso da quello indicato dal mittente”.
Un ammorbidimento dell’approccio sostenuto dalla Cassazione con la sentenza in esame potrebbe in realtà essere riservato ai soli casi nei quali circostanze concrete autorizzino a ipotizzare che il destinatario della notifica sia stato incolpevolmente indotto in errore circa il contenuto rilevante della notifica, come nel caso in cui siano state inoltrate, a stretto giro, più comunicazioni di cui una sola con contenuto illeggibile, nel qual caso non appare implausibile che la ricezione di più comunicazioni (delle quali una con allegato illeggibile e una con allegato leggibile) possa suggerire al destinatario della notifica che la seconda mail rappresenti il “reinoltro” della prima comunicazione, non andata a buon fine sotto lo specifico aspetto della leggibilità del file.
L’ipotesi non riguarda in ogni caso la fattispecie esaminata dalla Corte.
Nel caso di specie infatti il destinatario della notifica ha riferito di aver ricevuto due comunicazioni via p.e.c. nello stesso giorno dallo stesso notificante, una delle quali avente un allegato leggibile in ordine alla pretesa alla rifusione delle spese legali del giudizio d’appello.
L’errore non poteva dunque ritenersi incolpevole perché le due p.e.c., data la diversità di materia, non potevano avere lo stesso “oggetto” così come indicato dal notificante, atteso che le notifiche di atti giudiziari via p.e.c., permesse dall’art. 3 bis della legge 21 gennaio 1994, n. 53, devono contenere per legge la dicitura “Notificazione ai sensi della legge n. 53/1994” a pena di nullità della notifica, e, pertanto, non è ipotizzabile che nel caso concreto potesse generarsi confusione sul fatto che (entrambe le comunicazioni avessero contenuto rilevante, non trattandosi di un reinoltro ma di inoltro di mail distinta, e che) la p.e.c. con allegato illeggibile contenesse la notifica di un atto processuale.