Configura il vizio di omessa pronuncia la mancata statuizione da parte del giudice sulla domanda di condanna a un facere infungibile
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. I, 9 dicembre 2019, n. 32023, Pres. De Chiara – Est. Cesare
[1] Domanda di condanna ad un facere infungibile – Omessa pronuncia – Motivo di ricorso – Ammissibilità – Ragioni (art. 112, 360, 614-bis c.p.c.).
L’omessa pronuncia su un motivo di appello avente ad oggetto il vizio della mancata statuizione da parte del giudice di primo grado sulla domanda di condanna ad un facere infungibile, integra un motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c., stante l’ammissibilità di un tale genere di pronuncia, in quanto idonea a produrre i suoi effetti tipici in conseguenza dell’esecuzione volontaria da parte dell’obbligato, oltre a consentire l’eventuale e successiva domanda di risarcimento del danno nonché l’adozione delle misure di coercizione indiretta ex art. 614 bis c.p.c. (massima ufficiale).
CASO
[1] Il Consorzio Nazionale Imballaggi conveniva in giudizio una società chiedendo l’accertamento della violazione da parte sua dell’obbligo di dichiarazione dei quantitativi di imballaggi ceduti e di versamento del contributo ambientale, nonché la conseguente condanna alla presentazione di tali dichiarazioni e al pagamento dei contributi dovuti.
L’adito Tribunale di Roma accertava l’obbligo di presentazione delle dichiarazioni predette, rigettava la domanda di condanna al pagamento dei contributi ambientali sulla base dell’avvenuta prescrizione del relativo diritto e ometteva di pronunciarsi sulla domanda di condanna alla presentazione delle dichiarazioni relative ai quantitativi di imballaggi ceduti.
Avverso tale sentenza il Consorzio proponeva appello, lamentando il fatto che la sua domanda di condanna della società convenuta alla presentazione delle dichiarazioni anzidette fosse stata riduttivamente letta (e accolta) come mera domanda di accertamento, con conseguente omissione della pronuncia di condanna all’obbligo di facere coincidente con la presentazione di tali dichiarazioni. La Corte d’Appello di Roma rigettava il gravame, omettendo di provvedere su tale specifico motivo di appello.
Il Consorzio proponeva ricorso per cassazione lamentando, quale motivo di ricorso ex art. 360, n. 4), c.p.c., l’omessa pronuncia sul motivo di appello anzidetto e, con ciò, la violazione dell’art. 112 c.p.c.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte accoglie il ricorso riconoscendo la sussistenza del denunciato vizio di omessa pronuncia compiuto dalla Corte d’Appello di Roma, in particolare dimostrando come tale vizio ben possa configurarsi anche nei riguardi di una domanda di condanna all’esecuzione di un obbligo di facere infungibile. Conseguentemente, cassava la pronuncia con rinvio al predetto giudice di seconde cure, in diversa composizione.
QUESTIONI
[1] La Suprema Corte è stata dunque chiamata a verificare la sussistenza del vizio in discorso nel caso in cui il giudice di seconde cure ometta di pronunciarsi su un motivo d’appello in cui la parte ha lamentato a sua volta l’omissione di pronuncia, da parte del giudice di primo grado, su una domanda di condanna all’esecuzione di un obbligo di facere infungibile.
A tal riguardo, è opportuno richiamare anche le difese svolte dalla società controricorrente, la quale, in particolare, assumeva l’assenza, in capo al Consorzio, dell’interesse ad agire in vista della pronuncia in discorso. Essa sosteneva, anzi, la sufficienza, ai fini dell’assicurazione di un’adeguata tutela giurisdizionale all’attore, della conseguita pronuncia di mero accertamento conseguita, sì da concludere che la domanda di condanna all’esecuzione dell’obbligo di facere infungibile coincidente con la presentazione delle dichiarazioni prescritte fosse inammissibile (per difetto di interesse ad agire appunto): ciò, allo scopo di superare la censura di omessa pronuncia per ininfluenza di una eventuale statuizione sul punto.
Anzitutto, è utile ricordare, ai fini della migliore comprensione della vicenda in esame, il concetto di omessa pronuncia. A tal proposito, comunemente si afferma come ricorra il vizio de quo in caso di mancata decisione su una domanda giudiziale inerente al merito, sul presupposto, particolarmente rilevante ai fini de quibus, che la stessa non sia inammissibile (Lasagno, Premesse per uno studio sull’omissione di pronuncia nel processo civile, in Riv. dir. proc., 1990, 453 ss.; Finocchiaro, Poli, sub art. 112 c.p.c., in Comoglio, Consolo, Sassani, Vaccarella, Commentario del codice di procedura civile, II, Torino, 2012, 227). Sul punto della inconfigurabilità di un vizio di omessa pronuncia con riguardo a una domanda inammissibile, peraltro, si è espressa pure la Suprema Corte che, valorizzando il canone dell’economia processuale, ha affermato l’inutilità di una regressione del giudizio per la mera pronuncia di una absolutio ab observantia iudicii sicché, in defintiiva, l’omessa pronuncia avente ad oggetto una domanda inammissibile non costituisce un vizio della sentenza e non rileva nemmeno come motivo di ricorso per cassazione, in quanto, alla proposizione di tale domanda, non consegue l’obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito (così, Cass., 25 settembre 2018, n. 22784; Cass., 2 dicembre 2010, n. 24445).
Il vizio di omessa pronuncia, peraltro, ben può configurarsi anche in secondo grado, in particolare nell’eventualità in cui il giudice di seconde cure ometta di pronunciarsi su un motivo di gravame, il quale altro non rappresenta che la specifica domanda della parte sottesa alla proposizione dell’appello (così, Cass., 16 marzo 2017, n. 6835; Cass., 27 ottobre 2014, n. 22759).
La circostanza per cui l’inammissibilità della domanda faccia venir meno la configurabilità del vizio di omissione di pronuncia nel caso in cui il giudice adito abbia omesso di statuire sulla stessa, spiega allora la difesa svolta dalla società resistente, poco sopra illustrata: negare la sussistenza del requisito dell’interesse ad agire in riferimento alla domanda di condanna alla prestazione di un facere infungibile, infatti, condurrebbe all’inammissibilità della domanda medesima e al conseguente rigetto delle doglianze avanzate dalla ricorrente.
Tale rilievo, tuttavia, non ha colto nel segno: a parte i numerosi precedenti di legittimità che già avevano affermato l’ammissibilità di un’azione volta a ottenere la pronuncia di una condanna all’adempimento di un obbligo di facere infungibile – in quanto la relativa decisione non solo è potenzialmente idonea a produrre i suoi effetti tipici in conseguenza dell’eventuale esecuzione volontaria da parte del debitore, ma è altresì funzionale alla produzione di ulteriori conseguenze giuridiche, quali la possibile successiva richiesta di risarcimento del danno (così, Cass., 5 settembre 2014, n. 18779; Cass., 23 settembre 2011, n. 19454) -, è evidente come ogni dubbio sull’ammissibilità di tale forma di tutela sia stato eliminato dal legislatore con l’introduzione, all’interno del codice di rito, dell’art. 614-bis c.p.c. in materia di misure di coercizione indiretta (in termini, Cass., 23 settembre 2011, n. 19454).
In definitiva, appurata la sussistenza dell’interesse ad agire in capo al Consorzio in relazione alla domanda di condanna alla presentazione delle dichiarazioni predette – e, pertanto, l’ammissibilità e decidibilità nel merito della stessa -, giocoforza consegue, come correttamente concluso dalla Cassazione nella pronuncia in commento, la configurazione dell’omessa pronuncia sulla stessa, nel caso di specie operata, secondo le dinamiche sopra illustrate, dal giudice di appello.