Nella conversione del pignoramento si tiene conto dei creditori intervenuti anche successivamente all’istanza del debitore, ma prima dell’udienza fissata per l’ammissione del debitore alla conversione
di Valentina Scappini, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, sesta sez., ordinanza del 13 gennaio 2020, n. 411; Pres. Frasca; Rel. D’Arrigo
Nella determinazione delle somme dovute per la conversione del pignoramento, si deve tenere conto anche dei creditori intervenuti successivamente all’istanza, fino all’udienza in cui il giudice provvede (ovvero si riserva di provvedere) sulla stessa con l’ordinanza di cui dell’art. 495, comma 3, c.p.c.
Caso
In data 26 settembre 2014 il debitore esecutato C.F. faceva richiesta di conversione del pignoramento ai sensi dell’art. 495 c.p.c. Il Giudice dell’esecuzione fissava l’udienza del 27 novembre 2014 per provvedere sull’istanza.
Nel frattempo, in data 31 ottobre 2014, Italfondiario s.p.a. interveniva nel processo esecutivo.
Il Giudice dell’esecuzione, provvedendo ex art. 495, co. 3, c.p.c., determinava le somme dovute per la conversione del pignoramento, tenendo in considerazione anche il credito dell’interveniente Italfondiaria s.p.a.
C.F. proponeva opposizione avverso l’ordinanza di determinazione delle somme, adducendo la tardività dell’intervento di Italfondiaria s.p.a. e, in ogni caso, l’irrilevanza di tale intervento ai fini dell’istanza di conversione, essendo stato lo stesso promosso dopo la presentazione dell’istanza di cui all’art. 495 c.p.c.
Respinta l’istanza di sospensione della procedura ex art. 618 c.p.c., il Giudice dell’esecuzione rigettava l’opposizione e disponeva la prosecuzione del giudizio.
C.F. introduceva quindi nel merito il giudizio di opposizione agli atti esecutivi, al termine del quale il Tribunale di Viterbo respingeva l’opposizione, condannando C.F. al pagamento delle spese di lite.
Contro tale sentenza C.F. ha proposto ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111, co. 7, Cost., con un unico motivo.
Soluzione
Il consigliere relatore, ravvisata la manifesta infondatezza del ricorso e ritenuta, pertanto, la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380 bis, co. 1, c.p.c. (come sostituito dal d. l. 168/2016, conv. con modific. dalla l. n. 197/2016) ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.
La Corte di cassazione, con motivazione redatta in forma semplificata, ha rigettato il ricorso, evidenziando che esso non contiene alcuna ragione per distaccarsi dall’orientamento secondo cui, nella determinazione delle somme dovute per la conversione del pignoramento, si deve tenere conto anche dei creditori intervenuti successivamente all’istanza, fino all’udienza in cui il giudice provvede (o si riserva di provvedere) sulla stessa con l’ordinanza di cui all’art. 495, co. 3, c.p.c.
Questioni
Con un unico motivo di ricorso, C.F. ha rilevato che l’orientamento cui il Tribunale di Viterbo ha aderito per rigettare l’opposizione agli atti esecutivi (sul quale già Cass., terza sez., 24 gennaio 2012, n. 940) frustrerebbe il fine proprio dell’istituto della conversione del pignoramento, che, nell’interpretazione del ricorrente, sarebbe costituito dalla liberazione del debitore mediante lo spontaneo pagamento dei crediti ritualmente ammessi nel processo esecutivo alla data di presentazione dell’istanza.
La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso a fronte della sua manifesta infondatezza, ha evidenziato che, in realtà, la conversione del pignoramento, quale strumento satisfattivo delle ragioni dei creditori, è informato al principio della par condicio creditorum, secondo il quale tutti i creditori hanno pari diritto a soddisfarsi sui beni del comune debitore in proporzione ai rispettivi crediti (art. 2741 c.c.).
Scopo dell’istituto non è affatto, dunque, quello di favorire il debitore nella possibilità di liberarsi pagando solo una parte dei creditori intervenuti nel processo, bensì quello di soddisfare i creditori intervenuti tempestivamente, secondo la regola della concorsualità.
In tal modo, la Suprema Corte continua l’insegnamento della citata sentenza n. 940 del 24 gennaio 2012, con la quale gli Ermellini avevano già statuito che “scopo della conversione è quello di sostituire alle cose pignorate una somma che corrisponda all’importo complessivamente dovuto a tutti i creditori, pignorante ed intervenuti, ed è raggiungibile soltanto quando, in forza di quanto versato dal debitore a seguito di determinazione del giudice, risultino soddisfatti tutti i creditori che, secondo le norme che regolano l’intervento, hanno diritto a partecipare all’espropriazione in quel processo esecutivo nel quale il beneficio (della conversione, n.d.r.) è accordato”.
Il riferimento alle norme che regolano l’intervento nel processo esecutivo è agli artt. 499 e 564 c.p.c., secondo cui l’intervento deve considerarsi tempestivo se proposto non oltre la prima udienza per autorizzazione alla vendita o all’assegnazione.
Nella sentenza n. 940/2012 la Suprema Corte rileva, inoltre, che l’art. 495 c.p.c. non pone alcuna esplicita limitazione agli interventi da considerare ai fini della determinazione della somma da sostituire al bene pignorato, poiché, al primo comma, fa riferimento ad “una somma di denaro pari, oltre alle spese di esecuzione, all’importo dovuto al creditore pignorante e ai creditori intervenuti, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese”.
Pertanto, qualora si aderisse alla tesi che vuole inammissibile l’intervento dei creditori proposto dopo la presentazione dell’istanza di conversione da parte del debitore, ai fini della determinazione delle somme da sostituire, si avrebbe “l’imposizione di un termine di preclusione all’intervento dei creditori che non è nei citati artt. 499 e 564 c.p.c., facendo dipendere dal casuale deposito dell’istanza di conversione da parte del debitore la perdita di un diritto che invece le norme riconoscono al creditore che abbia un credito che risponda ai requisiti dell’art. 499 c.p.c., comma 1; inoltre, siffatta preclusione potrebbe risultare anticipata fino alle prime battute del processo esecutivo”.
Una simile lettura dell’art. 495 c.p.c., non trova, appunto, riscontro nel testo normativo e si pone in contrasto con la disciplina dell’intervento nelle esecuzioni immobiliari, quale risultante dalle norme su richiamate.
Tornando alla sentenza in commento, la Suprema Corte di Cassazione ribadisce che l’intervento dei creditori nel processo esecutivo proposto dopo l’istanza di conversione del pignoramento, ma prima dell’udienza fissata per provvedere su di essa ex art. 495, co. 3, c.p.c., deve ritenersi tempestivo ai fini della determinazione delle somme dovute.
Infatti, da una parte, gli interventi successivi all’istanza non incidono ex post sull’ammissibilità della domanda, poiché la commisurazione dell’importo che, a titolo di cauzione, deve accompagnare l’istanza di conversione del pignoramento va rapportata all’ammontare dei crediti insinuati nella procedura esecutiva alla data di presentazione dell’istanza medesima.
Dall’altra, però, di tali interventi successivi il giudice dell’esecuzione deve necessariamente tenere conto nell’ordinanza con la quale determina la somma da sostituire al bene pignorato ai sensi dell’art. 495, co. 3, c.p.c., configurandosi la conversione del pignoramento quale strumento integralmente satisfattivo delle ragioni dei creditori.
In conclusione, la Corte di cassazione ha confermato il principio formulato in epigrafe, secondo cui, “nella determinazione delle somme dovute per la conversione del pignoramento, si deve tenere conto anche dei creditori intervenuti successivamente all’istanza, fino all’udienza in cui il giudice provvede (ovvero si riserva di provvedere) sulla stessa con l’ordinanza di cui dell’art. 495, comma 3, c.p.c.”