4 Febbraio 2020

Risarcimento del lavoratore in somministrazione in caso di licenziamento illegittimo

di Evangelista Basile Scarica in PDF

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 11 novembre 2019, n. 29105

Licenziamento – Somministrazione di lavoro – Illegittimità licenziamento – Ripristino status quo ante

Massima

Il lavoratore in somministrazione va risarcito in base alla retribuzione percepita presso l’utilizzatore se il licenziamento intimatogli è illegittimo. È escluso che il calcolo del risarcimento possa venir effettuato sulla base dell’applicazione dell’indennità di disponibilità poiché il ristoro deve ripristinare lo status quo ante rappresentato dallo svolgimento dell’effettiva attività.

Commento

Con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione è intervenuta su un tema da tempo oggetto di dibattito, ovvero il criterio utile a parametrare e calcolare l’indennità risarcitoria di cui all’art. 18 L. 300/1970 nei casi in cui il licenziamento irrogato a seguito della procedura prevista ex art. 25 CCNL A.p.l. dall’Agenzia di Somministrazione al lavoratore somministrato sia giudizialmente dichiarato illegittimo.  Nel caso di specie, la Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato dalla società di somministrazione stante il mancato raggiungimento dell’onere probatorio circa la cessazione del contratto di somministrazione e circa l’impossibilità di ricollocazione del lavoratore.  Quale conseguenza di ciò, il Giudice applicava la tutela reintegratoria di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 7 e 4, come novellato dalla L. n. 92 del 2012 prendendo a parametro di riferimento – ai fini della quantificazione del risarcimento – la retribuzione percepita dal dipendente durante l’ultima missione lavorativa svolta presso la società utilizzatrice e non il compenso corrisposto dall’Agenzia (cd. indennità di disponibilità) nel corso della procedura di cui all’art. 25 CCNL di settore. Secondo il ragionamento operato dal Supremo Collegio, la retribuzione globale di fatto, quale parametro di riferimento per la determinazione dell’indennità risarcitoria ex art. 18 L. n. 300/1970, deve essere parametrata tenendo conto dei motivi che hanno comportato la cessazione della missione del lavoratore presso l’utilizzatore. In particolare, evidenzia la Corte, se il licenziamento si appalesa illegittimo per insussistenza del motivo oggettivo dedotto nella lettera di licenziamento (nella specie, conclusione della missione nonostante non sia risultata provata la contemporanea interruzione del contratto commerciale tra datore di lavoro-utilizzatore e agenzia), l’indennità prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, che ha quale sua naturale funzione il risarcimento delle conseguenze retributive e contributive provocate dal danno da mancato adempimento, deve essere commisurata alla retribuzione percepita dal lavoratore presso l’ultimo datore di lavoro-utilizzatore. Muovendo da tale ultimo assunto, la Suprema Corte definisce come soltanto apparente il contrasto di orientamenti delineatosi sulla fattispecie in esame con la precedente pronuncia della stessa Corte – sentenza n. 181 del 2019 – ove la Cassazione, accertando  la natura retributiva dell’indennità di disponibilità ex art. 32 CCNL,  disponeva che, stante altresì la funzione di ripristino dello status quo ante l’illegittimo provvedimento espulsivo, su di essa deve essere calcolato il risarcimento del danno ex art. 18. Infatti, secondo la Suprema Corte, ciò che differenzia le due pronunce di legittimità, giustificando al contempo la difforme applicazione del criterio su cui calcolare l’indennità risarcitoria ex art. 18, risiede nelle risultanze della valutazione ex ante che il giudice deve compiere circa i motivi che hanno determinato l’ingresso in disponibilità della risorsa somministrata. Non è dunque in discussione la natura della indennità di disponibilità, già chiaramente illustrata dalla pronuncia n. 181/2019 ma, bensì, solo il criterio di determinazione dell’indennità risarcitoria prevista dall’ art. 18 L. n. 300 del 1970 che, secondo la Suprema Corte, dipende dalla valutazione delle cause che hanno comportato la cessazione della missione del lavoratore presso l’ultimo utilizzatore. Per tale via, quindi, l’ultima retribuzione di fatto percepita dal lavoratore nel corso della missione, sarà pertanto utilizzata quale parametro di calcolo dell’indennità risarcitoria allorquando sia accertata e dichiarata l’imputabilità all’Agenzia dell’ingresso in disponibilità del lavoratore, ovvero la mancata cessazione del contratto di somministrazione tra agenzia del lavoro e società utilizzatrice nelle ipotesi in cui tale motivo sia al contempo ostentato anche quale ragione giustificatrice del licenziamento.

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