Contratto d’appalto e “concorrenza delle garanzie” a tutela del committente
di Alessandra Sorrentino, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., Sez. II, 25 luglio 2019, n. 20184, ord. – Pres. Manna – Rel. Sabato
(art. 1667 c.c., art. 1669 c.c.)
Appalto – Difformità e vizi dell’opera – Concorrenza delle garanzie ai sensi degli artt. 1667 e 1669 c.c. – Ammissibilità – Potere del giudice di qualificare la domanda – Sussistenza – Fondamento – Conseguenze
[1] In tema di appalto sussiste la concorrenza delle garanzie previste dagli artt. 1667 e 1669 c.c., in vista del rafforzamento della tutela del committente; ne consegue che, ove a fondamento della domanda siano dedotti difetti della costruzione così gravi da incidere sugli elementi essenziali dell’opera stessa, influendo sulla sua durata e compromettendone la conservazione, il giudice è sempre tenuto, ove le circostanze lo richiedano, a qualificare la domanda, in termini di risarcimento per responsabilità extracontrattuale (art. 1669 c.c.), ovvero contrattuale di adempimento o riduzione del prezzo e risoluzione (art. 1667 c.c.).
CASO
[1] Il committente-opponente proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo avente ad oggetto le somme richieste dalla società appaltatrice a titolo di corrispettivo per lavori di ristrutturazione effettuati nell’immobile di proprietà del primo ed in relazione ai quali il committente aveva denunciato taluni vizi, chiedendo, in via riconvenzionale, la condanna dell’appaltatore al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della non corretta esecuzione delle opere.
Il Giudice di prime cure revocava il decreto ingiuntivo ed accoglieva la domanda riconvenzionale dell’opponente, condannando l’appaltatore al risarcimento del danno.
La Corte d’appello, riconducendo la fattispecie oggetto d’esame a quella disciplinata dall’art. 1667 c.c., rigettava la domanda riconvenzionale del committente, essendo questi decaduto dal termine per la denuncia dei vizi.
Il committente ricorreva in Cassazione, affidato all’unico motivo per il quale la corte di merito erroneamente avrebbe ricondotto la fattispecie de quo all’art. 1667 c.c., anziché all’art. 1669 c.c., e che di conseguenza i vizi erano stati tempestivamente denunciati, posto che tale ultima norma prevede un termine di decadenza di un anno, anziché di sessanta giorni, come stabilito dall’art. 1667 c.c.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte con la sentenza in commento ha affermato il seguente principio:
– “Il principio per cui in tema di appalto il giudice può qualificare la domanda proposta ricollegandola all’art. 1669 c.c. invece che considerarla quale richiesta di adempimento contrattuale ex art. 1667 c.c., allorché a suo fondamento siano dedotti difetti della costruzione così gravi da incidere sugli elementi essenziali dell’opera stessa, è coerente con la ratio di rafforzamento della tutela del committente sottesa alla stessa introduzione nell’ordinamento dell’art. 1669 c.c., in aggiunta all’art. 1667 c.c. (c.d. “concorrenza delle garanzie”)”.
QUESTIONI
[1] Nella sentenza in commento la questione che ha richiesto l’intervento della Suprema Corte afferiva all’inquadramento della fattispecie de quo nell’alveo della disposizione di cui all’art. 1667 c.c. ovvero in quello dell’art. 1669 c.c., laddove, invece, la corte di merito – dopo aver qualificato il contratto intervenuto tra le parti quale contratto di appalto – l’aveva ricondotta semplicisticamente all’ipotesi di difformità e vizi dell’opera disciplinati dall’art. 1667 c.c.
Prima di esaminare le conclusioni cui è pervenuta la Suprema Corte sul punto, appare opportuno soffermarsi, sia pure brevemente, sui due livelli di protezione approntati dal codice civile a tutela del committente in tema di vizi nel contratto di appalto ed intorno ai quali verte la decisione in commento.
Nel caso di difformità, rispetto al progetto convenuto, o di vizi presenti nell’opera, l’art. 1667 c.c. stabilisce che il committente può invocare un’apposita garanzia nei confronti dell’appaltatore, denunciando difformità o vizi entro sessanta giorni dalla scoperta, pena la decadenza dal diritto alla garanzia medesima. Il committente deve, inoltre, intentare l’azione nei confronti dell’appaltatore entro il termine prescrizionale di due anni dalla consegna.
L’art. 1669 c.c. contempla, invece, una speciale responsabilità dell’appaltatore, qualora si tratti di edifici o di altre cose immobili, quando, nel corso di dieci anni dal compimento dell’opera, per vizio del suolo o per difetto di costruzione, questa rovini in tutto o in parte, o presenti evidente pericolo di rovina o, ancora, risulti affetta da gravi difetti.
In questi casi, l’appaltatore risponde qualora il committente o i suoi aventi causa denuncino la circostanza che intendono fare valere entro un anno dalla scoperta e agiscano nel termine di un anno dalla denuncia.
I due mezzi di tutela differiscono, in particolare, per i presupposti che li caratterizzano: l’art. 1669 c.c.,
infatti, quando parla di “rovina” o “pericolo di rovina” mostra di prendere in considerazione difetti di particolare portata, in ogni caso maggiore di quella che caratterizza i difetti di cui si occupa l’art. 1667 c.c.
I gravi difetti, che l’art. 1669 c.c. pone sullo stesso piano della “rovina” e del “pericolo di rovina”, i quali sono intesi come situazioni che incidono sulla stabilità e sulla conservazione dell’opera, sono non solo quelli che incidono sulla stabilità e conservazione dell’opera, pur non comportandone la rovina e pur non comportando pericolo di rovina della stessa, ma anche quelli che ne limitano notevolmente la fruibilità.
Tornando alla pronuncia in commento, la Suprema Corte ha osservato che, sussistendo nel caso di specie difetti costruttivi inerenti alla funzionalità dell’immobile (scorretta sopraelevazione dei pilastri, non perfetta aderenza delle travi di colmo e non corretto appoggio della copertura sulle travi), il Giudice di seconde cure avrebbe dovuto ricondurre gli stessi alla fattispecie di cui all’art. 1669 c.c. e non a quella di cui all’art. 1667 c.c.
Sul punto la Suprema Corte ha ribadito l’orientamento secondo cui nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, in tema di risarcimento dei danni da vizi per appalto d’opera, il Giudice non deve essere condizionato dalle formule contenute nella domanda di parte – che, peraltro, nel caso di specie aveva pure espressamente dedotto l’applicabilità dell’art. 1669 c.c. – , dovendosi piuttosto guardare al contenuto sostanziale della domanda giudiziale, nel rispetto del principio della corrispondenza della pronuncia alla richiesta.
Sulla base di tale principio, i Giudici di legittimità hanno ribadito il proprio orientamento secondo cui in un contratto d’appalto privato, nel caso in cui l’immobile presenti gravi vizi e difetti, è ammissibile la concorrenza delle garanzie contrattuali ed extracontrattuali previste a tutela del committente.
Secondo la Cassazione, in tema di appalto, non sussiste incompatibilità tra le tipologie di danno di cui agli artt. 1667 e 1669 c.c., con la conseguenza che il committente di un immobile che presenti “gravi difetti” potrà invocare, oltre al rimedio del risarcimento del danno (contemplato soltanto dall’art. 1669 c.c.), anche i rimedi riparatori previsti dal combinato disposto dell’art. 1668 c.c. e 1667 c.c. (eliminazione dei vizi, riduzione del prezzo, risoluzione del contratto), purché il committente non sia incorso nella decadenza prevista dall’art. 1667 co. 2°, c.c.
Infatti, secondo la Suprema Corte, nonostante la diversa natura giuridica del titolo di risarcimento (extracontrattuale quello di cui all’art. 1669 c.c., contrattuale l’altro), per quanto concerne la struttura, le relative fattispecie si configurano l’una (art. 1669 c.c.) come sottospecie dell’altra (art. 1667 c.c.), giacché i “gravi difetti” dell’opera si traducono inevitabilmente in “vizi” della medesima.
Talché la presenza di elementi della prima (gravi difetti) implica anche la presenza di elementi della seconda (vizi), con la conseguenza che continua ad applicarsi la norma generale anche in presenza dei presupposti di operatività di quella speciale (Cass. civ., 815/2016; Cass. civ., 3702/2011) e con l’ulteriore conseguenza che si determina, a rafforzare la tutela del committente, una “concorrenza di garanzie”, posto anche il potere d’ufficio del Giudice di qualificare la domanda nel merito quale domanda di risarcimento in forma specifica del danno da responsabilità extracontrattuale ex art. 1669 c.c., anziché di richiesta di adempimento contrattuale ex art. 1667 c.c.
Quindi, di fronte alla domanda con cui venga chiesta la condanna dell’appaltatore a risarcire o eliminare i vizi dell’opera, allorché a suo fondamento siano dedotti difetti della costruzione così gravi da incidere sugli elementi essenziali dell’opera stessa (influendo sulla sua durata e compromettendone la conservazione), il giudice è sempre tenuto a qualificare la domanda, indagando concretamente il contenuto ed il carattere dei vizi posti alla base della domanda giudiziale, così da applicare la soluzione più efficace e conforme alla ratio di rafforzamento della tutela del committente sottesa all’art. 1669 c.c.
La pronuncia in commento coglie, poi, l’occasione per ricordare che i vizi ed i gravi difetti di cui all’art. 1669 c.c. sono certamente quelli che incidono sugli elementi strutturali, ai quali però devono essere aggiunti quelli che, pur attenendo ad elementi secondari ed accessori (impermeabilizzazioni, infissi, rivestimenti, etc.) sono comunque tali da compromettere la funzionalità e la normale utilizzazione del bene, menomandone apprezzabilmente il godimento.
Alla luce delle considerazioni svolte, la domanda del committente volta ad ottenere la condanna dell’appaltatore all’eliminazione dei vizi dell’opera è stata correttamente qualificata quale domanda di risarcimento in forma specifica del danno da responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 1669 c.c., anziché come richiesta di adempimento contrattuale ex art. 1667 c.c., dal momento che il committente ha posto quale fondamento della propria domanda difetti della costruzione talmente gravi da incidere sugli elementi essenziali dell’opera stessa, compromettendone la conservazione.
Secondo tale qualificazione giuridica, il committente ha dunque tempestivamente denunciato il vizio, posto che nella fattispecie di cui all’art. 1669 c.c. il termine di decadenza è di un anno e non di sessanta giorni, come nell’ipotesi disciplinata dall’art. 1667 c.c.
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