10 Dicembre 2019

La sostituzione della delibera impugnata ex art. 2377, comma 8, c.c. e la tipologia dei relativi provvedimenti processuali

di Mario Furno, Avvocato e Professore a contratto di International Business Law presso l'Università degli Sudi di Verona Scarica in PDF

Sentenza del 01.03.2016 nr. 360 Tribunale di Venezia Sezione Specializzata in materia di Impresa

Parole chiave: Delibera Impugnata – Sostituzione – Poteri del Giudice – Cessazione della materia del Contendere – Difetto di interesse ad agire

Massima: Nell’ambito del giudizio avente ad oggetto l’impugnazione della delibera poi sostituita va effettuata una verifica della assenza di vizi suscettibile di provocare l’annullamento o la declaratoria di nullità della delibera che ha determinato la sostituzione e, ciò, a prescindere dalla autonoma impugnazione della seconda.

La norma di cui all’art. 2379 ultimo comma c.c., si estende alle ipotesi di nullità della delibera impugnata in quanto compatibili.

Riferimenti normativi: art. 2377, comma 8, c.c.; art. 2379, ultimo comma, c.c., art. 2479 ter, ultimo comma, c.c.

Caso 

Avanti il Tribunale di Venezia, Sezione Specializzata in materia di impresa, era oggetto di impugnazione una decisione adottata dai soci di una s.r.l. con il metodo del consenso espresso per iscritto ai sensi dell’art. 2479 c.c.. Tale decisione era successivamente rinnovata dai soci e la delibera sostitutiva non risultata esser stata impugnata.

Per tale ragione, nel mentre i convenuti hanno sostenuto la sopravvenuta cessazione della materia del contendere, le altri parti in causa controparti hanno affermato che l’art. 2377, co. 8, c.c. impedisce pronunzia alcuna sulla invalidità della prima delibera solo se la seconda delibera, sostitutiva della prima, non sia affetta da vizi consistenti nella violazione di disposizione di legge o dello statuto.

Soluzione

Il Tribunale lagunare, in conformità a quanto affermato da dottrina e giurisprudenza, ritiene che il Giudice debba necessariamente effettuare la verifica della assenza di vizi suscettibili di provocare l’annullamento o la declaratoria di nullità della delibera che ha determinato la sostituzione.

E ciò a prescindere dalla autonoma impugnazione della seconda delibera.

Questioni applicate nella pratica

La sentenza in esame offre l’occasione di affrontare il tema dei poteri di indagine da parte del Giudice in caso di delibera sostitutiva ai fini della preclusione della dichiarazione di invalidità della delibera impugnata; consente altresì di esaminare quale sia la tipologia del provvedimento che definisce il giudizio in caso di legittimità della delibera sostitutiva.

Ai sensi dell’art. 2377, co. 8, c.c. “l’annullamento della deliberazione non può aver luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto”.

La previsione dell’art. 2377, co. 8, c.c., dunque, preclude l’annullamento della deliberazione assembleare, qualora l’assemblea adotti successivamente una deliberazione sostitutiva conforme a legge ed a statuto anche qualora la deliberazione impugnata sia affetta da vizi di nullità, dato che la previsione è estesa alle ipotesi di nullità ex art. 2379 bis c.c. (Trib. Roma Sez. Spec. Imprese 28.11.2017).

In generale si afferma che nel giudizio di impugnazione di una deliberazione assembleare non si può procedere alla dichiarazione di nullità o all’annullamento della deliberazione impugnata, quando risulti che l’assemblea dei soci, regolarmente riconvocata, abbia validamente deliberato sugli stessi argomenti della deliberazione impugnata (Cass. 6304/1995; Cass. 12439/1997).

La nuova deliberazione, emessa dall’assemblea nuovamente convocata e regolarmente costituita, deve avere lo stesso oggetto della prima e dalla stessa deve risultare, quanto meno implicitamente, la volontà dell’assemblea di sostituire la deliberazione invalida, ponendo in tal modo in essere un atto sostitutivo ovvero ratificante di quello invalido ed una rinnovazione sanante con effetti retroattivi (Trib Roma 20.03.2017 Sez. Spec. Imprese).

Non è tuttavia necessario che il contenuto della delibera sostitutiva sia identico a quello della delibera sostituita: la preclusione normativa trova applicazione anche nel caso in cui la delibera sostitutiva che abbia contenuto diverso dalla delibera sostituita renda inoperante la delibera precedente.

Come rilevato nella sentenza in esame, affinchè si produca l’effetto sanante il Giudice è chiamato sempre e comunque a verificare incidenter tantum che la deliberazione sostitutiva sia conforme a legge e a statuto.

Si tratta di un accertamento incidentale che deve essere sempre effettuato, quand’anche, in ipotesi, contro la nuova deliberazione non sia stata proposta alcuna autonoma impugnazione (Cass. 13 giugno 2008, n. 16017; Trib. Roma 20.03.2017 Sez. Spec. Imprese).

Osserva a tal proposito il Tribunale Lagunare che, ove si ravvisasse la necessità di un’impugnazione autonoma al fine della verifica di conformità, la disposizione contenuta nell’art. 2377, co. 8, c.c. perderebbe la sua portata e risulterebbe svuotata di significato, poiché consentirebbe “defatiganti reiterazioni di delibere, tutte viziate e tuttavia idonee, salva autonoma impugnazione, a vanificare l’impugnazione delle precedenti”.

A sostegno di tale impostazione depone l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale è onere del giudice estendere il proprio esame alla nuova delibera per verificare se sia stata eliminata la precedente causa di invalidità (Cass. 16 luglio 1998, n. 2570) e se tale deliberazione sia stata adottata in conformità alla legge e allo statuto. Ciò in quanto una nuova deliberazione nulla o annullabile non sarebbe idonea ad impedire l’annullamento della deliberazione impugnata (Cass. 06 Luglio 1953, n. 2137).

E’ evidente che il suddetto giudizio incidentale non potrebbe mai portare ad una formale declaratoria di invalidità della successiva deliberazione, né comunque potrebbe estendersi ad un sindacato su vizi nuovi ovvero su vizi precedentemente non dedotti (Trib Roma 20.03.2017 Sez. Spec. Imprese).

Tale approccio tuttavia muta anzitutto in caso di impugnazione della seconda delibera, poiché, in tal caso, il Giudice è chiamato a verificare anche la sussistenza di vizi ulteriori rispetto a quelli dedotti in giudizio (Trib. Roma 28.11.2017 Sez. Spec. Imprese).

Inoltre, tale approccio muta in caso di nullità della seconda nuova delibera che sostituisce la prima oggetto di impugnazione; poiché tale vizio è rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 2379, co. 2, c.c., il rilievo ed il conseguente accertamento, pur incidentale, ha come effetto l’esclusione dell’effetto sostitutivo.

Infine, l’approccio muta in caso di annullabilità della nuova delibera, laddove lo statuto sociale contenga la clausola arbitrale: osserva infatti il Tribunale nella sentenza in esame che le questioni inerenti all’annullabilità della delibera sostitutiva sono in tal caso devolute agli arbitri, con la conseguenza che la delibera risulta esser efficace stante l’impossibilità di indagine per la autorità giudiziaria.

Dopo aver verificato quindi, come sopra detto, che con la nuova delibera si sia rimossa la causa di invalidità e che la delibera sostitutiva sia conforme a legge ed a statuto, il Giudice può dichiarare l’intervenuta cessazione della materia del contendere oppure la inammissibilità della domanda, anche per carenza di interesse ad agire dell’attore, laddove le domande delle parti non dovessero convergere nella richiesta di estinzione del giudizio

Come opportunamente osservato, si tratta di soluzioni simili, poiché presuppongono il venir meno delle ragioni di contrasto che hanno determinato l’insorgere della lite, ma al tempo stesso molto diverse fra loro (Bonzi Riccardo, Profili di diritto sostanziale e processuale in caso di sostituzione della delibera assembleare, in Giurisprudenza Commerciale, fasc. 4, 2019, pag. 902).

La cessazione della materia del contendere è fattispecie di estinzione del processo creata dalla prassi giurisprudenziale, che – anche in riferimento alla previsione di cui all’art. 2377, co. 8, c.c. – richiede che le parti sottopongano conclusioni conformi al giudice, dando così evidenza del venir meno delle ragioni che hanno determinato l’insorgere della lite e, dunque, del loro interesse ad agire.

Laddove, dunque, le parti non siano concordi, la giurisprudenza esclude che il Giudice possa dichiarare cessata la materia del contendere.

Nel contempo, tuttavia, la domanda va ugualmente rigettata per sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione (Trib. Roma 20.03.2017 Sez. Spec. Imprese).

Secondo la Corte di Cassazione, infatti, “la sostituzione della deliberazione assembleare impugnata con altra deliberazione conforme a legge e a statuto comporta l’inammissibilità, per sopravvenuto difetto di interesse ad agire, della domanda volta a far valere l’invalidità della delibera sostituita anche quando la sostituzione della delibera impugnata con altra esente da vizi sia intervenuta dopo l’introduzione del giudizio, in quanto la sussistenza dell’interesse ad agire deve valutarsi non solo nel momento in cui è proposta l’azione, ma anche nel momento della decisione” (Cass. Civ. 11 agosto 2017 n. 20071, Trib. Roma 28.11.2017 Sez. Spec. Imprese).

Tale orientamento si rinviene anche in una recente giurisprudenza edita dal Tribunale di Milano (Trib Milano 10 Luglio 2019 Sez. Spec. Imprese), che conclude per la dichiarazione di improcedibilità dell’azione per carenza (sopravvenuta) dell’interesse attuale e concreto ad agire, laddove la situazione di giuridica incertezza creata dalla deliberazione impugnata cessi con la modificazione apportata con delibera successiva: ciò in quanto non sussiste più l’interesse ad agire dell’attrice consistente nell’esigenza della rimozione della disposizione convenzionale incerta e pregiudizievole rispetto ai suoi specifici interessi dedotti in giudizio.

Si osserva, che “venuto meno l’interesse utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice evidenziato dall’attrice in citazione, interesse qualificabile come interesse ad agire ex art 100 cpc, il processo non può proseguire essendo consentito nel sistema solo un utilizzo responsabile del processo per azioni oggettivamente dirette alla tutela effettiva di diritti e al conseguimento del risultato utile e concreto che la parte in tal modo intende perseguire (Cass 24434/2007)”.

Ne consegue quindi che la vertenza vada definita non con una pronuncia di cessazione della materia del contendere, ma con una sentenza processuale di improcedibilità della domanda per il venire meno dell’interesse ad agire quale condizione dell’azione.