26 Novembre 2019

Violazione degli obblighi informativi a carico dell’intermediario finanziario: risoluzione per inadempimento dell’ordine di investimento

di Emanuela Ruffo, Avvocato Scarica in PDF

App. Venezia Sent., 18/06/2019, n. 2550, Pres. Bazzo, Est. Valle

Obblighi informativi intermediari finanziari – Adeguatezza e appropriatezza dell’operazione –  Onere della prova – Risoluzione per inadempimento – Risarcimento del danno

[1] La violazione degli obblighi informativi ex art. 21 d. lgs. 58/1998 (T.U.F.), nonché artt. 27 e 31 del Regolamento Consob n. 11522/2007 da parte dell’intermediario finanziario comporta la risoluzione per inadempimento del relativo ordine di acquisto, non essendo essenziale stabilire se gli investitori, ove adeguatamente informati circa la reale rischiosità del titolo, avrebbero ugualmente dato corso all’acquisto o meno, poiché la condotta dell’intermediario integra ex se la lesione dell’interesse tutelato.

Disposizioni applicate

Art. 21 d. lgs. 58/1998 (T.U.F.), artt. 27 e 31 Reg. Consob n. 11522/2007, art. 1338 c.c.

CASO

Un investitore conveniva in giudizio la banca che gli aveva proposto e venduto alcune obbligazioni Lehman Brothers, al fine di ottenere in via principale la declaratoria di nullità dell’intero contratto quadro d’investimento sottoscritto, per violazione degli obblighi informativi ex art. 21 d. lgs. 58 del 1998 (T.U.F.). Secondo le prospettazioni attoree, la banca non avrebbe informato adeguatamente il cliente in ordine alla rischiosità dei titoli acquistati. L’intermediario si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda, sostenendo, in particolare, l’insussistenza di obblighi specifici di informazione nel caso di specie, posto che l’investitore aveva dichiarato in sede contrattuale una sufficiente esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari ed una media propensione al rischio.

Il Tribunale respingeva la domanda di nullità del contratto quadro e annullava il singolo ordine di acquisto di obbligazioni Lehman Brothers riconoscendo la sussistenza di un errore essenziale e riconoscibile sulla qualità dell’oggetto della prestazione, condannando la banca a restituire la somma relativa al prezzo di acquisto, previa trattenuta delle somme percette a titolo di cedole, e l’investitore a restituire i titoli.

La banca impugnava pertanto la sentenza avanti la Corte d’Appello competente.

Con la pronuncia in commento, la Corte d’Appello di Venezia si pronuncia, tra le altre questioni, sulla valenza della dichiarazione di esperienza resa dall’investitore in sede contrattuale ed individua, quale rimedio applicabile in caso di violazione dell’obbligo informativo ex art. 21 T.U.F., la risoluzione per inadempimento di non scarsa importanza.

SOLUZIONE

La Corte d’Appello di Venezia, dopo aver precisato che il singolo ordine di investimento costituisce un negozio giuridico autonomo rispetto al contratto quadro e, pertanto, può essere autonomamente risolvibile, statuisce l’irrilevanza della dichiarazione con cui in sede di stipula del contratto il cliente dichiara di possedere un’esperienza “alta” con riferimento ai prodotti finanziari da acquistare ed un’elevata propensione al rischio. Il giudice di secondo grado inoltre individua, quale rimedio per la violazione dei cennati obblighi informativi, la risoluzione del contratto per inadempimento, anziché l’annullamento per errore come invece statuito dal giudice di prime cure.

QUESTIONI

La pronuncia in commento riconosce innanzitutto natura negoziale al singolo ordine di investimento, confermando un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità (Cass. civ. 9382/2018, Cass. civ. 3261/2018, Cass. civ. 20617/2017, Cass. civ. 12937/2017, Cass. civ. 8394/2016). Da tale riconoscimento discende che il singolo ordine di investimento è pertanto autonomamente risolvibile in caso di inadempimento dell’intermediario finanziario, senza necessità di coinvolgere il contratto quadro di investimento.

Ciò preliminarmente precisato, la Corte veneziana si è occupata di esaminare la disciplina relativa agli obblighi informativi ex art. 21 T.U.F.. Tale disposizione prevede al primo comma che “nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e accessori i soggetti abilitati devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati; c) utilizzare comunicazioni pubblicitarie e promozionali corrette, chiare e non fuorvianti; d) disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi e delle attività”. Gli obblighi informativi discendono altresì dal Regolamento Consob del 2007, il quale all’art. 27, comma 2 prevede che “gli intermediari finanziari forniscono ai clienti o potenziali clienti, in una forma comprensibile, informazioni appropriate affinchè essi possano ragionevolmente comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari interessati e i rischi ad essi connessi e, di conseguenza, possano prendere le decisioni in materia di investimenti in modo consapevole” e al successivo art. 31, comma 1 sancisce che “gli intermediari forniscono ai clienti o potenziali clienti una descrizione generale della natura e dei rischi degli strumenti finanziari trattati, tenendo conto in particolare della classificazione del cliente come cliente al dettaglio o cliente professionale. La descrizione illustra le caratteristiche del tipo specifico di strumento interessato, nonché i rischi propri di tale tipo di strumento, in modo sufficientemente dettagliato da consentire al cliente di adottare decisioni di investimento informate”.

Nel descritto contesto, il giudice di secondo grado in modo apprezzabile ha precisato che anche quando la diffusione di strumenti finanziari avvenga mediante la prestazione individuale di servizi di investimento ex art. 1 comma 5 T.U.F. (e non necessariamente mediante attività di consulenza), ossia mediante attività di negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini, la tutela del cliente è comunque affidata all’adempimento, da parte dell’intermediario, degli obblighi informativi specifici e personalizzati sopra descritti.

Sotto questo profilo, ai fini della valutazione di adeguatezza di tali informazioni, nonché delle omissioni eventualmente in esse ravvisabili, la Corte si è interrogata sulla valenza da attribuire alla dichiarazione di esperienza resa dal cliente ai sensi dell’art. 31 del Regolamento Consob del 1998.

Sul punto si sono formati nel tempo, successivamente all’entrata in vigore del cennato regolamento Consob, due contrapposti orientamenti giurisprudenziali. Un primo orientamento, che potremmo definire formalistico, ha sostenuto che la dichiarazione resa per iscritto dal cliente è di per sé sufficiente ad inquadrare lo stesso come operatore qualificato e, quindi, a sollevare l’intermediario da ogni ulteriore indagine al riguardo (tra le tante, App. Milano, 12.10.2007 e Trib. Venezia, 25.10.2007). Diversamente un secondo orientamento, tentando di andare oltre il semplice dato letterale, ha sostenuto invece l’insufficienza della mera dichiarazione a provare la specifica competenza ed esperienza dell’investitore, dovendo ritenersi altresì necessaria una verifica in concreto da parte dell’intermediario (ex multis, App. Trento, 5.3.2009, secondo il quale “la dichiarazione resa ai sensi dell’art. 31 del Reg. Consob n. 11522/1998 da legale rappresentante di una società ai fini dell’inquadramento del cliente nella categoria degli operatori qualificati deve avere per oggetto la comunicazione delle esperienze effettivamente possedute dal cliente così da consentire all’intermediario una corretta valutazione in ordine alla professionalità del soggetto; la dichiarazione che si limiti a ripetere il contenuto della disposizione legislativa si risolve in una semplice valutazione giuridica e non ha l’effetto di attestare l’esperienza effettiva”, App. Milano, 13.11.2008 e App. Venezia, 16.7.2008). Si ritiene infatti che l’art. 31 in esame dovrebbe essere interpretato alla luce dei principi generali ispiratori del T.U.F., quali quelli di buona fede e correttezza, che imporrebbero di evitare dichiarazioni formali che non corrispondono ad una effettiva condizione del soggetto che le ha rese, e quello per cui l’intermediario dovrebbe operare in ogni caso nella piena consapevolezza delle caratteristiche dell’investitore.

Nella pronuncia in commento la Corte d’appello, accedendo all’orientamento giurisprudenziale più garantista nei confronti dell’investitore, ha asserito che  “non rileva che il cliente abbia dichiarato, in sede di stipula del contratto quadro di investimento, di possedere un’esperienza alta con riferimento ai prodotti finanziari da acquistare ed un’elevata propensione al rischio, né che egli si sia eventualmente rifiutato di dare indicazioni sulla propria situazione patrimoniale”. La dichiarazione del cliente di possedere esperienza in materia di investimenti finanziari non può pertanto esonerare l’intermediario dall’obbligo informativo previsto ex lege.

Rileva inoltre il giudice veneziano che l’intermediario avrebbe dovuto esaminare preventivamente e adeguatamente gli elementi significativi e caratterizzanti le obbligazioni Lehman Brothers in questione (quali il valore di capitalizzazione della società emittente, l’incremento delle passività ed il deterioramento dell’indice di liquidità (dati desumibili dall’analisi dei bilanci del quinquennio precedente l’acquisto dei titoli), nonché l’andamento del derivato sul rischio di credito associato a dette obbligazioni), avendo l’obbligo di rappresentare agli investitori in modo appropriato e comprensibile le caratteristiche dei titoli, così da consentire loro di compiere in modo concreto ed effettivo un’autonoma valutazione del rischio e, quindi, di adottare decisioni di investimento adeguatamente informate e consapevoli, “non potendo considerarsi compiutamente assolto l’obbligo informativo mediante il semplice riferimento descrittivo alla natura e al rendimento cartolare del titolo, nonché alla valutazione sintetica di affidabilità dell’emittente, espressa attraverso il rating”.

La pronuncia in commento è altresì interessante sotto il profilo dell’individuazione del rimedio giuridico applicabile in caso di violazione degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario finanziario.

Come noto, nonostante sul punto siano intervenute le Sezioni Unite nn. 26724 e 26725 del 2007, escludendo il rimedio della nullità contrattuale e riconoscendo invece la risoluzione del contratto per inadempimento, la giurisprudenza di merito successiva continua a pronunciarsi in modo difforme.

Un primo orientamento riconosce l’annullamento del contratto per vizio del consenso, in particolare per errore essenziale e riconoscibile (in questo senso si era espresso, nel caso di specie, il giudice di primo grado). Tale ricostruzione impone di dimostrare che se il cliente avesse ricevuto adeguate informazioni al momento della contrattazione, non avrebbe posto in essere l’operazione (cfr. Trib. Bologna, 17.10.2016, Trib. Udine, 29.2.2016, Trib. Perugia, 28.11.2014). La giurisprudenza ravvisa tuttavia una convalida tacita del contratto annullabile in alcuni comportamenti esecutivi degli investitori, come per esempio la circostanza per cui quest’ultimi abbiano provveduto a riscuotere il reddito prodotto dagli strumenti finanziari prima del loro default, o a disinvestire parte degli stessi.

Altra parte della giurisprudenza individua invece il rimedio della nullità del contratto sulla base del fatto che l’art. 21 T.U.F. (così come la disciplina contenuta all’interno del regolamento Consob) costituirebbe norma imperativa, essendo la stessa dettata a presidio di interessi generali, quale la tutela dell’integrità del mercato finanziario e la protezione del risparmio pubblico a norma dell’art. 47 della Costituzione (cfr. Trib. Bologna, 29.11.2018, App. Torino, 19.4.2017).

Infine, un terzo orientamento individua nella risoluzione del contratto per inadempimento l’unico rimedio esperibile dall’investitore in caso di violazione dell’art. 21 T.U.F. (cfr. App. Bologna, 16.9.2015, Trib. Roma, 24.5.2013, Trib. Genova, 15.3.2005).

In questi termini si è espressa anche la sentenza in commento. La Corte d’Appello di Venezia ha sul punto richiamato la sentenza della Corte di Cassazione n. 15936/2018, secondo la quale “l’intermediario finanziario è tenuto a fornire al cliente una dettagliata informazione preventiva circa i titoli mobiliari e, segnatamente, con particolare riferimento alla natura di essi e ai caratteri propri dell’emittente, ricorrendo un inadempimento sanzionabile ogni qualvolta detti obblighi informativi non siano integrati”.

La Corte, riconoscendo la sussistenza di un obbligo di informazione a carico degli intermediari nei contratti di investimento (anche laddove non sia stato sottoscritto uno specifico contratto di consulenza e anche laddove il cliente abbia sottoscritto una dichiarazione di esperienza) ha quindi statuito che l’inosservanza di tale obbligo costituisce inadempimento, non essendo rilevante stabilire se gli investitori, ove adeguatamente informati circa la reale rischiosità del titolo, avrebbero ugualmente dato corso all’acquisto o meno.